Come sarà il 2032 secondo il politologo americano Ian Bremmer

Come sarà il 2032 secondo il politologo americano Ian Bremmer

12 Settembre 2022 0

Si è soliti pensare che il prossimo conflitto fra superpotenze sarà quello che vedrà lo scontro degli USA con la Cina. Ma per il politologo americano Ian Bremmer, fondatore della società di consulenza Eurasia Group, la minaccia principale per l’Occidente arriverà dal cosiddetto Sud globale, il cui leader sarà l’India, che oggi è alleata di Washington. Proponiamo la sua analisi pubblicata dal settimanale britannico The Economist.

Man mano che ci addentriamo in questo XXI secolo piagato dalle crisi, lo scontro fra Oriente e Occidente campeggia sui titoli dei giornali. Guardando più in profondità, però, risulta evidente come le minacce e le sfide più pericolose del prossimo decennio arriveranno dalla tensione fra Occidente e Sud globale, che in senso ampio comprende le regioni dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e dell’area del Pacifico. Si è soliti pensare che il prossimo conflitto tra superpotenze sarà uno scontro frontale fra America e Cina. Tuttavia, tra questi due Stati non vi è – e non vi sarà – alcuna guerra fredda planetaria: il motivo è che le minacce che erano caratteristiche del XX secolo non cancellano l’interdipendenza presente nel XXI. La fiducia fra Washington e Pechino oggi è effettivamente in declino, ma la dirigenza americana capisce che per il successo del Paese serve sempre la Cina. Gli alleati più stretti degli USA in Europa, in Asia e nelle Americhe non intendono assolutamente partecipare al conflitto delle due grandi potenze: il commercio con la Cina, infatti, è troppo importante per il loro futuro.

Una forte destabilizzazione del Celeste Impero porterebbe a un sicuro annientamento economico reciproco. Pechino è ancora per Washington il maggiore partner commerciale, il maggiore fornitore di merci e il terzo per volume del mercato export. L’America, a sua volta, rimane per la Cina sia il partner maggiore per scambio di merci sia il più grande mercato per le esportazioni. E Xi Jinping sa che il monopolio del Partito Comunista Cinese sul potere politico interno si regge sulla realizzazione delle aspettative del popolo; per continuare ad alzare il tenore di vita, Pechino ha la necessità di mantenere delle salde relazioni commerciali con l’Unione Europea, l’America e il Giappone, con cui si svolge complessivamente il 40% dell’export cinese. L’interdipendenza tiene dunque est ed ovest sulla stessa barca, in viaggio verso un punto comune di approdo. Purtroppo sono proprio i Paesi poveri del Sud mondiale i più vulnerabili rispetto agli sconvolgimenti politici ed economici. L’India, che secondo le previsioni diventerà il prossimo anno il Paese più densamente popolato al mondo, è una di essi. Tali Paesi avanzano, e nel prossimo decennio potrebbero diventare la fonte da cui partiranno milioni di migranti e di profughi. Ciò aggrava a sua volta la confusione globale.

La rottura della catena distributiva, i tassi di interesse che salgono e l’inflazione galoppante, unitamente al crollo dei ritmi di crescita economica e la riduzione del numero dei trasferimenti di denaro, creano le condizioni con le quali i Paesi in via di sviluppo affondano in una crisi debitoria nel corso dell’attuale decennio. E tutto ciò nonostante negli ultimi decenni il flusso internazionale di idee, di informazioni, di persone, di soldi, di merci e di servizi abbia bruscamente ridotto lo scarto fra Stati poveri e Stati ricchi e abbia anche creato la prima “classe media mondiale” (quei Paesi il cui reddito supera di cinque o dieci volte la soglia di povertà stabilita dalla Banca Mondiale). Parte della colpa è da attribuire alla pandemia, che ha gettato in una situazione pericolosa i Paesi poveri, fortemente indebitati già da prima. La Banca Mondiale ha avvisato che il 58% degli Stati più poveri al mondo o sono già in condizioni critiche dovute all’indebitamento o rischiano fortemente di finirci. E i Paesi a reddito medio sono i prossimi della fila. L’operazione speciale russa ci ha aggiunto pure la volatilità dei prezzi e il deficit dei beni alimentari e del combustibile. Considerando l’alta probabilità che la condizione dell’Ucraina, instabile e senza via di uscita, contribuirà all’incertezza ancora per molti anni, questo problema andrà ad allargare la spaccatura tra Occidente e Sud durante la maggior parte del prossimo decennio. America ed Europa insistono dicendo che la pressione economica ulteriore che il conflitto ucraino sta mettendo sui Paesi poveri è il risultato dell’evidente “aggressione colonialista” della Russia. I Paesi del Sud globale, però, si sono accorti dell’ipocrisia occidentale e ritengono che lo sdegno di USA ed Europa sia destinato soltanto ai crimini commessi contro i bianchi e alle condizioni infelici dei profughi bianchi. E invece gli altri? Beh, non sono poi così importanti.

I Paesi poveri, inoltre, sono preparati peggio di quelli ricchi per limitare le perdite dovute ai cambiamenti climatici, ed è un problema pressante per Africa e Medio Oriente, dove le temperature in aumento saranno sempre più spesso un test di resistenza per la popolazione, e anche per l’America centrale, una zona che è già impantanata nella miseria e nella criminalità violenta. Nei prossimi anni, i Paesi più ricchi reagiranno a queste crisi mediante misure elaborate specificamente al fine di proteggersi essi stessi, ed è qualcosa di tanto prevedibile quanto miope. La paura dell’inflazione alta e della recessione toglierà ancora di più ai politici americani ed europei la voglia realizzare grandi investimenti finanziari per la lotta alle emergenze e alla ristrutturazione del debito di altre regioni. I timori per la minaccia costituita dal conflitto ucraino distrarrà sempre di più i leader occidentali dai conflitti e dalle crisi già in corso in Afghanistan, in Yemen e in molti altri posti. Al centro dei piani per limitare i danni ambientali vi saranno le catastrofi e gli spostamenti di persone all’interno degli Stati stessi. Le istituzioni sotto il controllo occidentale, come ad esempio il Fondo Monetario Internazionale, dovranno effettuare scelte difficili su dove indirizzare le risorse, le quali diventano sempre più scarse a causa del crescente numero di emergenze a livello locale. I Paesi poveri, in risposta, troveranno il modo di chiedere grandi aiuti come un unico blocco nell’ambito delle istituzioni internazionali, oppure romperanno il consenso, determinando le condizioni per un’instabilità economica e politica persino maggiore, per violenze peggiori e per le migrazioni forzate.

In tali circostanze instabili, l’India detiene il posto di leader del Sud globale. Al momento costituisce un alleato degli USA nel loro sforzo di contenimento della crescente influenza di Pechino, ma dalla Cina e dalla Russia giunge una quantità di possibilità commerciali troppo grande per essere ignorata. Quando si tratta di scambi commerciali, di tecnologie e di cambiamento climatico, l’India ha davvero molto in comune con i Paesi in via di sviluppo. Quale sarà nei prossimi anni la reazione del governo di Narendra Modi alle difficoltà economiche sempre maggiori con cui si scontrerà il suo Paese? L’attuale vicinanza fra Nuova Delhi e Washington ha forse raggiunto il suo massimo possibile. Per superare tutte le difficoltà insite nel decennio incombente, l’Occidente dovrà coordinare i suoi piani il più possibile, Inoltre, i Paesi ricchi dovranno investire generosamente nella stabilità globale, ad esempio alleggerendo il peso dei debiti, oppure trasferendo tecnologie o programmi di adattamento al clima. Nel contesto dei bisogni del Sud globale, un qualche tipo di cooperazione con Pechino sarebbe attuabile? Per adesso sembrerebbe solamente una fantasia, ma la Cina, il principale creditore mondiale, avrebbe molto da perdere dal caos sui mercati in via di sviluppo, persino più degli USA e dei loro alleati. Alla fin fine, un’interazione costruttiva fra Oriente e Occidente è possibile ed è anche l’unica maniera per salvare il Sud globale dalla totale rovina.

Redazione Strumenti Politici
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