Arte in Tunisia. Nesrine Mahbouli: dai piccoli passi di ‘Micaela’ al ritmo metal di Cartagena

Arte in Tunisia. Nesrine Mahbouli: dai piccoli passi di ‘Micaela’ al ritmo metal di Cartagena

7 Marzo 2024 0

“La mia storia con la musica è iniziata probabilmente con mio padre. Mio padre era anche un cantante e un chitarrista. Ovviamente avevamo stili diversi. A lui piacevano le cose più moderne, mentre io ho sempre preferito l’opera. A dire il vero, è un po’ strano il modo in cui è iniziata. Facevo musica rock e metal, avevo quindici o sedici anni, nella band del liceo con mio cugino come cantante. Mi hanno presa e ho iniziato da lì. Poi, nel corso degli anni, ho scoperto questo sottogenere, il metal sinfonico, che sposa musica metal ad una tecnica vocale operistica. Ho incominciato a cantare a caso, letteralmente a caso, poi verso i vent’anni ho realizzato che fosse qualcosa di veramente bello. Ho sentito qualcosa muoversi dentro, allora non sapevo cosa fosse. Era solo supporto, canto con il diaframma. Così ho iniziato a provare qualsiasi canzone che mi piacesse, dai temi dei film ai cartoni animati, dalle sigle ai temi dei videogiochi. Ho iniziato a cercare e capire la mia voce. Ho preso a postare video, a registrare a poco a poco e lo stile che più mi ha colpito di più è stata l’opera”. Questa è la storia di Nesrine Mahbouli, la giovane soprano che in “Carmen” interpreta la protagonista che interpreta l’amore puro e innocente, l’altra faccia del femminile che si contrappone a Carmen, ammaliante seduttrice.

Ho scoperto – prosegue – una insegnante di canto lirico, dalla Bulgaria, che viveva qui in Tunisia, Hristina Hadjieva. Così ho preso lezioni di canto. L’ho incontrata. Aveva un’audizione ogni ottobre in cui non accettava principianti. Quindi mi sono esercitata da sola a casa per due anni così da essere sufficientemente preparata per l’audizione. Mi accettò ed è iniziata così la mia avventura”.

Se dovesse scegliere tra l’opera e il metal, cosa preferirebbe?

“Faccio ancora entrambe le cose in realtà. Ho appena finito di registrare un album con la mia band ‘Cartagena’ tre mesi fa. È ancora in fase di mixaggio. Mi piacciono entrambi, ma non posso scegliere. Posso esprimermi in entrambi, in modo diverso forse. Se nell’opera devo seguire un ruolo, anche nel metal ci sono i personaggi, ma le storie sono io a scriverle. Quindi forse sono un po’ più libera”.

Come si è calata nei panni di Micaela?

“Micaela non era un personaggio del tutto nuovo per me, lo trovo un po’ simile a Madame Butterfly nell’innocenza, nella purezza, nella religiosità e cose del genere. Quindi l’ho paragonato a Madame Butterfly su cui avevo già lavorato sebbene non fosse stato realizzato alla fine. La prima cosa che faccio è studiare la musica. Esamino la partitura, ogni piccolo dettaglio, anche le parti che sono state tagliate dal finale. Ho preparato assolutamente tutto. Ho ascoltato tutte le versioni possibili nei video, su YouTube, su Internet, ovunque. Poi ho iniziato ad entrare sempre più profondamente nel ruolo. Mi sono concessa abbastanza tempo per non giudicarlo. Perché anni fa, quando ho iniziato a lavorare sui personaggi, giudicavo troppo in fretta. Ad esempio, Madame Butterfly, pensavo che fosse troppo ingenua. Mi chiedevo perché fosse così naïve, ma poi, quando sono andata più in profondità, l’ho amata. Ed ora è una delle mie preferite in assoluto. Per Micaela, grazie a quell’esperienza con Butterfly, le ho dedicato il mio tempo e ho iniziato a sperimentare sul palco durante le prove. Non solo sul palco, ma anche in studio con il pianista. Mi sono data abbastanza tempo per capire i suoi motivi, le ragioni, per cui quelle note sono scritte in un certo modo. È stato molto utile anche per trovare il colore della voce, perché non è la stessa cosa se avessi interpretato Fraskita. Ecco trovare il colore giusto ha richiesto molto tempo. Ho dovuto sperimentare, cambiare, lavorarci ogni singolo giorno, con il pianista, e da sola a casa. Giorno e notte perché il tempo era così breve”.

C’è stato qualcosa che avrebbe voluto cambiare?

“Beh, ovviamente molto, non improvvisato, ma proposto al coreografo. Ad esempio, la prima metà del duetto tra Michael e Don José è stata tagliata con la musica. Ho provato a parlare con il regista, ma mi ha detto che era impossibile perché quella è la versione della colonna sonora su cui stavamo lavorando. Quindi ho fatto del mio meglio per sistemare la cosa, perché tagliando la prima parte del duetto, si rischiava di perdere il contesto, quando, ad esempio, Micaela dà a Don Josè la lettera e i soldi che sua madre gli ha mandato e gli ha anche dato un bacio. Quindi ho dovuto riscrivere quella parte per inserirla nel dialogo. Non ho cambiato nessuna parola. Ho semplicemente preso le parole dalla parte tagliata e le ho trasformate in dialoghi. Fatta eccezione per il finale, dove Carmen non viene uccisa, per il resto abbiamo rispettato scrupolosamente il libretto originale”.

Quali sono state le principali sfide nel realizzare ‘Carmen’?

“Oh, il tempo. Ovviamente il tempo era molto breve per questo ho dovuto prendere una pausa dal lavoro di un mese e mezzo. Insegno canto all’Istituto Superiore di Musica. Sono stati molto comprensivi e mi hanno incoraggiato. Eravamo talmente felici di lavorarci, qualunque sfida avessimo dovuto affrontare. Uno dei miei studenti era con noi come solista ed era la sua prima volta con un’orchestra. Ricorda la prima scena con Micaela e Morales, era lì. Lo ha fatto in maniera sorprendente. Eravamo davvero tutti diversi, con background diversi. Personalmente ho scoperto un sacco di potenziale come, ad esempio, Frasquita. È stata una vera sfida avere sul palco principianti, professionisti, insegnanti e studenti. Tutti hanno dato il massimo e il risultato è stato sorprendente. Non avevamo un regista di scena, ma solo il coreografo del balletto, quindi il signor Abou Lagraa lavorava sia con i ballerini che con noi. Era una miscela nuova per tutti. Quindi ci siamo aiutati molto. Abbiamo proposto delle cose. È stato molto umile, comprensivo, ci ascoltava e cercava di essere onesto sia con i ballerini che con i cantanti, perché non è facile metterli entrambi in scena contemporaneamente e dare delle azioni a entrambi allo stesso tempo. Poi una sfida personale nell’interpretare Micaela è stato calarmi nel modo in cui cammina. Io sulla scena sono solitamente una persona molto veloce, ho anche passi molto grandi. Per Micaela mi sono concentrata molto sui miei passi, ho dovuto renderli sempre più piccoli, perché lei è più giovane, innocente, ingenua ed è un po’ infantile. Mi manca già…spero che riusciremo a fare più spettacoli, magari quest’estate. ‘Carmen’ manca a tutti. Con tutto il pianto, le sfide, il tempo, i malanni. Ad un certo punto, eravamo circa tre settimane prima dello spettacolo e tutti si sono ammalati. Avevamo la febbre ma siamo andati comunque a provare, eravamo qui. Io personalmente un giorno mi sono allontanata, ero a letto e poi la mattina dopo ho indossato la maschera e sono andata a provare”.

E nell’essere un artista in Tunisia?

“Sicuramente finanziariamente. Non riusciamo a fare molti spettacoli, quindi non possiamo essere abbastanza stabili solo attraverso l’arte. Ad esempio, noi artisti, soprattutto musicisti, la maggior parte di noi, insegniamo. Questo diventa il lavoro principale e poi abbiamo gli spettacoli. Vorremmo poter avere più opportunità di essere sul palco, ma questa è la situazione attuale. Spero che la presentazione che abbiamo appena fatto, con un cast completamente tunisino, cambi le cose. Siamo molto fiduciosi che questo sia l’inizio di una nuova era per l’opera in Tunisia. Questo teatro dell’opera è stato inaugurato solo nel 2018, quindi siamo ancora in movimento, cercando di trovare soluzioni, opportunità, potenziali investitori”.

Sogni da realizzare?

“Mi piacerebbe esibirmi all’estero, cantare, semplicemente cantare ed esprimermi, interpretando quanti più personaggi diversi possibile. Adoro interpretare personaggi diversi sul palco. È divertente, l’ho sempre fatto. Fin dall’inizio, anche quando facevo piccoli spettacoli, con piccoli recital con il pianoforte, dove dovevo cantare più di uno o due pezzi. Laddove devo cantare più di uno o due pezzi, scelgo sempre cose diverse. Ad esempio, scelgo un’aria russa molto tragica e poi inizio a cantare qualcosa come un’operetta tedesca molto divertente, ballando sul palco, poi passo a un’area della Carmen. Quindi è impegnativo, ma è divertente. Anche senza cambiare costume, il che è ancora più impegnativo, ma adoro farlo. Ho cantato una volta all’estero, nell 2018, con la mia band ‘Cartagena’, band symphonic metal. Abbiamo partecipato ad un festival Femme dedicato alle band metal con una cantante femminile, ad Eindhoven, nei Paesi Bassi. Ho incontrato così tante persone, gran parte del pubblico non sapeva nemmeno dell’esistenza del nostro Paese. Quando hanno visto la lista, il programma del festival, hanno visto ‘Cartagena TN’, e si sono chiesti, cos’è questo TN? Tunisia? Ok, scopriamolo. Suonavamo sul palco piccolo, destinato ai gruppi emergenti. La gente sentiva parlare della nostra band, era incuriosita, e mentre mi esibivo ho visto tantissima gente, tutto intorno al palco era estremamente pieno. Indimenticabile”.

Ci dica di più su Cartagena…

“Cartagena è una band nata nel 2012, prima di me hanno inciso due album con due cantanti diverse. Ora abbiamo appena finito di registrare un nuovo album, che vede protagonisti personaggi femminili della cultura cartaginese e amazigh. È un progetto molto storico, ma con un tocco di fantasia. Interpreto personaggi diversi, compresi quelli immaginari. Ci sono anche molti suoni inquietanti, con elementi di stregoneria della cultura cartaginese, ma anche della cultura Amazigh. Quindi sì, ci sono molte sorprese in arrivo”.

Le è mai capitato qualcosa di divertente sul palco, come dover improvvisare perché ha dimenticato le parole?

Come quelle minuscole sillabe che a volte scompaiono. Soprattutto, succede con il tedesco, la cosa più difficile. Ho già cantato arie russe davanti a un pubblico russo più volte. Lo sento come una responsabilità enorme, ma ho lavorato davvero tanto sulla pronuncia, tanto da ricevere anche complimenti dai russi. Quindi sì, faccio del mio meglio per evitarlo, in realtà, ma certo che è capitato. Anche in italiano una volta è successo una volta mentre cantavo “Il Bacio”. Ricordo che ero estremamente stressata, non so nemmeno perché. C’era una piccola parte del pubblico che era italiana, ma non era questo che mi metteva ansia. La mente mi diceva che stavo per dimenticare qualcosa. Ero perfetta, mi ero esercitata abbastanza, ho pensato, ma poi sono arrivata ad un punto della canzone in cui c’era questa mezza parola, che ora non ricordo quale fosse, e l’avevo dimenticata. Così ho inventato una sillaba per sostituirla. Poi tornando a casa, ascoltando la registrazione, in realtà la sillaba che credevo di aver inventato era quella corretta. Ho riso così tanto. La mente a volte cerca di ingannarti. Ma è stata una lezione, perché dovevo essere completamente fiduciosa, conosco i miei testi, conosco le mie note, so tutto, so dove camminare”.

Come è stato crescere in una famiglia di artisti?

“Sì entrambi i miei genitori sono cantanti, mio padre era un cantante professionista. Era un tenore, ma non è mai stato incuriosito o amante dell’opera. La rispetta, ma pensava che sia molto rumoroso. Ricordo che quando ho iniziato ad ascoltare metal e poi ho finito per fare l’opera, lui mi ha detto, perché hai scelto due stili estremamente rumorosi? Musica metal con distorsioni, percussioni, doppi pedali e roba del genere e poi l’opera con le urla nelle note alte. Non lo so, forse mi piacciono le cose rumorose. All’inizio mi ha incoraggiata, ma mi ha sempre consigliato di non prendere la musica come una carriera. Perché sapeva che non sarò mai finanziariamente stabile se perseguo questo obiettivo, soprattutto quando ha iniziato a vedere che mi stavo dedicando all’opera. Ma poi, a poco a poco, primo anno, secondo anno, terzo anno, ho iniziato ad essere riconosciuto sempre di più, ho iniziato a fare più spettacoli. La gente e le scuole hanno iniziato a contattarmi per prendere lezioni. Quindi era molto interessato e cominciò anche a venire ai miei spettacoli. Mi ha sempre detto: se vuoi farlo, devi farlo correttamente. Mi ha anche dato lo spazio per esercitarmi perché a casa c’è molto rumore. Ringrazio davvero tutte le famiglie del mondo e i vicini che hanno accettato di avere un familiare o un partner che faccia opera perché per esercitarsi ci vuole spazio. Devi permetterti di essere rumoroso. Io personalmente, ad esempio, dovevo avvisare ogni volta la mia famiglia. Di solito prendo il soggiorno perché è grande e ora ho lì il pianoforte. Ricordo il mio saggio di laurea magistrale. Mio padre era lì quattro giorni prima di morire. Ha osservato ogni singolo dettaglio sul palco. È stato un programma molto lungo. Dovevo cantare, stare sul palco per un’ora intera, di fila, senza pause, da sola. Avevo solo due duetti. Tutti gli altri erano soli con il pianista. Era molto concentrato. Piangeva, pensando: sì, mia figlia lo sta facendo. Mia figlia finalmente lo fa. È successo anche a me, nel guardare i suoi spettacoli, le volte in cui era sul palco. Mi ricordo di quella volta che ha duettato con Alfa Blondi, il musicista reggae, a Cartagine. Quindi ricordo quel giorno. Ero con mia sorella e mia mamma. Ed era il 2016, credo. Mio padre stava per salire sul palco e noi eravamo tra il pubblico. Ero così stressata per lui, all’idea di varcare un grande palco. Immaginavo me stessa al suo posto, esattamente come lui venendo ai miei spettacoli. Posso immaginare che abbia provato la stessa cosa”.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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