Armi, per l’Ucraina i saldi sono finiti. Ora agli USA coi magazzini quasi vuoti servono anni e miliardi di dollari per produrre armi nuove

Armi, per l’Ucraina i saldi sono finiti. Ora agli USA coi magazzini quasi vuoti servono anni e miliardi di dollari per produrre armi nuove

20 Marzo 2023 0

Sta diventando difficile per il Pentagono continuare a mascherare le condizioni spiacevoli delle scorte militari statunitensi. Per cambiare la realtà non basta far ripetere alla stampa il ritornello della Russia che sta per finire i missili, soprattutto quando all’orizzonte qualcuno prefigura lo scontro diretto con Mosca o persino con Pechino.

Al Congresso i deputati americani chiedono conto di come sono stati spesi i denari per l’assistenza a Kiev, mentre i ricercatori analizzano le cifre e prevedono tempistiche lunghissime per il ripristino della potenza militare americana, dissanguata dalla “guerra di prossimità” combattuta con le mani degli ucraini.

Ammissioni tardive e imbarazzanti

L’allarme sui magazzini quasi vuoti e sull’impossibilità di riempirli a breve termine era già stato lanciato lo scorso autunno, ma in quel momento non gli venne dato ascolto, forse perché a Washington e a Bruxelles erano convinti di concludere il conflitto in poco tempo. Tuttavia, dopo che i roboanti annunci di vittoria fatti da Zelensky di fronte al Congresso si sono rivelati illusori, e soprattutto dopo che i Repubblicani in maggioranza alla Camera hanno iniziato a fare le pulci alla contabilità bellica dell’amministrazione Biden, ormai certi problemi devono essere ammessi apertamente.

Nei primi otto mesi di conflitto, l’esercito ucraino ha consumato un volume di missili terra-aria Stinger e di missili anticarro Javelin che doveva bastare rispettivamente per 13 e 5 anni: sono i dati rilasciati dalla Raytheon Technologies, la compagnia produttrice. In questo momento le forze ucraine sparano una media di 7700 colpi al giorno, molto più di quanto le fabbriche americane producessero mensilmente prima del 2022. Sono numeri che sbugiardano quanto suggerito ai media europei dalle varie intelligence euroatlantiche, tra cui spicca quella britannica. Abbiamo letto che i russi dovevano terminare le munizioni già un anno fa, poi dovevano restare a secco di missili, infine i loro soldati si sono ridotti a combattere a colpi di pala.

E invece a marzo 2023 è Zelensky a trovarsi a corto di armamenti e pure di uomini, stando a quanto viene riferito sui metodi di arruolamento forzato che le autorità di Kiev applicano sui propri cittadini. Sono messi male pure gli Stati Uniti, che secondo lo studioso Mark Cancian necessiterebbero di almeno 10 anni per rimpiazzare la flotta di elicotteri UH-60 Black Hawke di più di 20 anni per riempire nuovamente i magazzini di missili aria-aria a medio raggio.

Saldi di fine stagione, il Pentagono svuota i magazzini

Dell’enorme quantità di armi inviate da Washington a Kiev, la gran parte proviene dai magazzini del Pentagono. Si tratta di armi vecchie anche di decenni, risalenti alla Guerra Fredda, in maniera speculare da quanto fatto dai membri NATO dell’Europa orientale, una volta appartenenti al Patto di Varsavia, che hanno fornito all’Ucraina i mezzi di fabbricazione sovietica. Per queste armi vent’anni di servizio sono abbastanza e al momento attuale si sarebbe dovuto incominciare a pensare al loro smaltimento.

E invece le richieste ucraine sono cascate a fagiolo, come si suol dire: il governo degli USA e quelli dei Paesi della NATO hanno potuto dimostrare la loro solidarietà a Kiev, dipengendosi come statisti generosi e amanti della pace, e al tempo stesso hanno risparmiato un sacco di soldi e si sono evitati disturbi tecnici e logistici. Pazienza se non si esattamente dove siano finite quelle armi o come vengano usate: quel che conta è che sono state spedite in Ucraina e sono servite a trattenere l’avanzata russa almeno per un po’.

La сonvenienza per il benefattore americano

L’aver mandato le armi vecchie agli ucraini ha dunque fatto spazio alle nuove armi che verranno prodotte, generando introiti da capogiro per i fabbricanti e posti di lavoro di cui l’amministrazione Biden potrà rivendicare la paternità in campagna elettorale. La convenienza è consistita soprattutto in un colossale risparmio di denari che sarebbero stati spesi per smaltire quelle armi. Il costo effettivo è difficile da quantificare con precisione, ma è possibile fare una stima che giustifichi la scelta di Washington.

Il quotidiano American Thinker si è basato sui calcoli effettuati nell’ambito delle armi chimiche, in cui per una spesa complessiva di 2,7 miliardi di dollari per la produzione di tali armi 1,7 miliardi occorrono per il loro smaltimento. Rendere innocue le armi convenzionali è certamente meno costoso delle armi chimiche, che molto più subdole e nocive, ma è possibile dare delle cifre prudenti. Dei 46,6 miliardi di aiuti militari all’Ucraina lo smaltimento sarebbe costato circa 35 miliardi. Quindi molto più della metà. Sebbene possa apparire come una cifra sproporzionata, bisogna considerare che le armi convenzionali contengono elementi pericolosi e complessi da rendere innocui e dunque richiedono una gran mole di lavoro e di risorse finanziarie.

La macchina militare-industriale americana non tiene il passo

Dunque è arrivato il momento di produrre nuove armi e in fretta. L’Ucraina ha ancora bisogno dell’assistenza militare euroatlantica, anzi più passa il tempo più sembra averne bisogno. E in una prospettiva di medio o addirittura di breve periodo, è la stessa America a sentire la necessità vitale di avere un esercito fornito di armi funzionanti e soprattutto in quantità sufficiente. Raggiungere questo obiettivo, però, si sta rivelando più difficile del previsto. La sete di armi dell’Ucraina ha rivelato i problemi nascosti dell’industria militare americana.

Il Center for Strategic and International Studies (CSIS) ha pubblicato una ricerca che dimostra cifre alla mano che gli sforzi produttivi americani potrebbero non bastare ad evitare l’esaurimento delle scorte degli articoli essenziali per questa guerra, gli elementi basilari come i proiettili o i missili dei lanciarazzi portatili. Anche aumentando i ritmi di produzione, ci vorrebbero alcuni anni per tornare a un livello decente.

Ed è ancora peggio se parliamo di armi sofisticate come i missili teleguidati, i droni da combattimento o i velivoli pilotati: la ritrosia di Biden a concedere all’alleato ucraino i pezzi pregiati non si spiega solo col timore fondato di provocare un’escalation, ma anche con la consapevolezza che perderli significherebbe dover attendere molti anni per riaverne in numero adeguato. Il CSIS parla di 8 anni a ritmi di produzione accelerati (da tempo di guerra) e 15 con ritmi di tempo di pace.

Washington deve tornare a spendere

A questo punto della guerra, i costi di produzione delle armi destinate a riempire nuovamente i magazzini superano il risparmio dato dalla fornitura delle armi vecchie. Nonostante le prevedibili perdite finanziarie, è improbabile che la NATO modifichi il suo corso di appoggio incondizionato all’Ucraina. Eppure l’opinione pubblica si sta accorgendo dell’ennesima incongruenza: da un lato viene detto che i russi combattano a colpi di pala, dall’altra viene proclamata la necessità di produrre ancora più armi e che per farlo servono soldi: i soldi dei contribuenti, ovviamente.

Oggi gli USA hanno in programma di elevare la capacità produttiva dei proiettili da 155 mm, passando da 14mila a 30mila pezzi in questa primavera fino a toccare i 90mila pezzi. La Difesa spenderà altri 80 milioni di dollari per una linea di produzione dei motori dei Javelin al fine di raddoppiarne il numero. E ci sono anche problemi di organizzazione e attribuzione delle risorse.

Come fanno notare gli analisti, il Pentagono per adesso è riuscito a investire soltanto 7 miliardi dei 45 assegnati dal Congresso agli aiuti militari per Kiev. Così, la burocrazia lenta è un elemento che frena la macchina militare a stelle e strisce.

Ma che cosa ne pensano i contribuenti americani?

Degli oltre 76 miliardi di dollari spesi dagli USA per l’Ucraina fra il gennaio 2022 e il gennaio di quest’anno 46,6 miliardi sono di assistenza militare. Sulla carta, gli americani non sono contrari a un riarmo che permetta agli USA di restare ai vertici della potenza militare mondiale. Nella pratica, invece, i contribuenti sono stanchi di vedere le loro tasse spese in aiuti a un Paese come l’Ucraina, della cui corruzione endemica ormai si conosce la profondità e la cui annunciata vittoria sulla Russia tarda ad arrivare.

I cittadini americani si sentono traditi dall’amministrazione Biden, che da un lato è di manica molto larga quando si tratta dell’impegno militare in Europa e in Asia, e dall’altro è inerme e cieco di fronte alle catastrofi interne come quella dell’Ohio. Un recente sondaggio mostra come fra gli elettori repubblicani si sia passati dal 9% convinti che gli Stati Uniti diano troppo all’Ucraina all’attuale 40%. La spesa militare ha superato il 3% del PIL: ammettendo pure che siano d’accordo con le motivazioni alla base di tale salasso, quanti altri sforzi sono disposti a fare gli americani tartassati dall’inflazione e minacciati dall’insicurezza economica?

La paura di una guerra senza fine

Ormai temono di restare impantanati in una guerra senza fine. Lo ha affermato di fronte ai rappresentanti del Pentagono Lisa McClain, deputata repubblicana del Michigan, la quale spiega che gli elettori del suo distrettoritengono di essere impegnati a spendere denaro e risorse per una lotta che si svolge oltreoceano, invece di mettere ordine nelle nostre finanze pubbliche.

Questo sentimento si sta diffondendo in tutta l’America e potrebbe diventare ciò che fermerà la politica guerrafondaia di Biden, costringendo Washington a più miti consigli e a cercare la strada della diplomazia e della cooperazione.

Sta diventando difficile per il Pentagono continuare a mascherare le condizioni spiacevoli delle scorte militari. Per cambiare la realtà non basta far ripetere alla stampa mainstream il ritornello della Russia che sta per finire i missili, soprattutto quando all’orizzonte qualcuno prefigura lo scontro diretto con Mosca o persino con Pechino. Analisti e ricercatori studiano i numeri e prevedono tempistiche lunghissime per il ripristino della potenza militare americana dissanguata dalla “guerra di prossimità” combattuta con le mani degli ucraini.

Martin King
Martin King

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