A ventun’anni dall’assassinio di Marco Biagi. Il ricordo di Adapt nelle riflessioni degli ex ministri Sacconi e Treu

A ventun’anni dall’assassinio di Marco Biagi. Il ricordo di Adapt nelle riflessioni degli ex ministri Sacconi e Treu

20 Marzo 2023 0

Sono trascorsi ventun’anni dall’assassinio di Marco Biagi, eppure la ferita resta ancora aperta. L’Italia è proprio particolare: primo nella classe nei titoli molto meno nel loro svolgimento. Ed ecco quindi che siamo di fronte ad un Paese che sancisce il diritto al lavoro in Costituzione ma non ha ancora trovato la ricetta per attuarlo in modo concreto: vuoi per le resistenze di alcune componenti sindacali, vuoi per una politica che guarda all’oggi più che al domani.

In occasione della ricorrenza dell’anniversario della morte del giurista italiano, assassinato dalle nuove Br il 20 marzo 2002, Adapt associazione senza fini di lucro, fondata proprio da Marco Biagi nel 2000 per promuovere, in una ottica internazionale e comparata, studi e ricerche nell’ambito delle relazioni industriali e di lavoro, ha organizzato un convegno in sua memoria.

Emmanuele Massagli, Presidente Adapt, ha ricordato che “I vent’anni della Legge Biagi sono una ricorrenza significativa per Adapt, per le relazioni industriali, per il diritto del lavoro e più generale per il nostro Paese. È curioso notare come le annualità che chiudono con la cifra “3” rivestono sempre un carattere particolari per le relazioni industriali in Italia. Vi fu il 1983 con le scadenze relative al patto di San Valentino, poi il 1993 con il Protocollo delle relazioni industriali e infine il 2003 con la Legge Biagi. Dunque viene spontaneo chiedersi che cosa caratterizzerà il 2023: qualche spunto dall’attualità già sta arrivando, ma i risultati si vedranno più tardi.

Il ricordo di Maurizio Sacconi

Il già ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha invece ricordato come le intuizioni del professor Biagi, che diedero luogo alla legge omonima, siano rimaste incompiuta. “Alla base della Legge Biagi – ha ricordato Sacconi – c’è l’idea o la visione descritta nel Libro Bianco: la “società attiva”. Infatti solitamente si contano i tassi di disoccupazione, mentre Biagi introdusse nel dibattito italiano quelli di occupazione, mutuando questi indicatori dalla cosiddetta strategia europea di Lisbona e li considerava utili a capire quale fosse il tasso di vitalità del nostro mercato del lavoro e della nostra società”.

L’esponente del Governo Berlusconi IV ha spiegato che alla base della Legge Biagi c’era l’idea che la risposta migliore alle insicurezze e alle precarietà che si stavano generando in ragione dei cambiamenti nell’economia e nella società avrebbe dovuto consistere non nell’assistenza pubblica, ma nel dinamismo economico e sociale. Un tema ancora di stretta attualità visto che resistono diffusi fattori di insicurezza e sta finendo l’illusione del debito illimitato, dell’economia drogata dalla spesa pubblica e dal denaro a buon mercato con cui lo Stato provvidenziale risponde alle insicurezze.

“Siamo tornati necessariamente a considerare i profili della stabilità finanziaria, il controllo della spesa, il fatto che il denaro non possa essere disponibile a buon mercato. Dobbiamo invece contare sulla vitalità della società, dobbiamo cioè riequilibrare il rapporto fra Stato e società. Lo Stato pesante e ipetrofico per regole e presenza fisica deve lasciare maggiore spazio sussidiario alla società. La sussidiarietà è un concetto ricorrente nel Libro Bianco e nella Legge Biagi”.

Ecco quindi l’eredità di Marco Biagi. Il dinamismo del mercato del lavoro, caratterizzato dall’ascensore sociale, dalla facilità di transitare da un’occupazione all’altra, dalla disponibilità di conoscenze e competenze che rendano le persone continuamente occupabili. E poi il dinamismo nel rapporto di lavoro. “Biagi venne pesantemente contestato a proposito del “contratto a progetto”, che fu richiesta di CISL e UIL. Esse chiesero di regolare meglio le collaborazioni coordinate e continuative affinché l’autorità ispettiva potesse verificarne l’autenticità e l’uso corretto. Biagi voleva cogliere l’occasione di questa domanda per prefigurare il lavoro del domani. Biagi suggeriva di costruire una modalità ibrida che spostasse progressivamente dagli obiettivi ai risultati, quello che oggi chiamiamo lavoro agile o smart working. Il contratto a progetto venne poi cancellato dal governo Renzi in quant simbolo della precarietà e accompagnare la correzione dell’articolo 18. In realtà, l’assenza del contratto a progetto è un macigno”.

E poi Biagi ci ha lasciato secondo Sacconi il dinamismo nelle relazioni di lavoro, “che significa andare ben oltre gli stanchi contratti nazionali, che possono essere cornici utili soprattutto per i grandi fondi di welfare (previdenza, sanità, assistenza). Il dinamismo nelle relazioni di lavoro significa dinamismo di prossimità. L’idea di Biagi che lo Statuto avrebbe dovuto rappresentare alcune norme inderogabili e per il resto rinviare alla contrattazione di prossimità richiede il complemento di una tassazione non di agevolazione o di incentivo, ma strutturale. Si sta discutendo la legge delega sulla riforma fiscale e la progressività non può che interrompersi quando incontra la virtù del lavoratore, cioè quella componente retributiva che corrisponde a produttività, ad upgrading professionale, a scomodità (lavoro festivo, notturno, etc.). Tutte queste componenti della retribuzione dovrebbe avere la tassazione piatta, secca, introdotta nel 2008 e poi di fatto cancellata da meccanismi enormemente complessi e utilizzati quasi per nulla. Una riforma strutturale non va confusa con la detassazione del contratto nazionale, perché invece significa strutturalmente riconoscere che non tutte le componenti della retribuzione hanno le stesse caratteristiche. Il dinamismo, dunque: non è un caso che la copertina che abbiamo scelto per nostro dizionario su Biagi rappresenti il quadro di un artista futurista che raffigura un ciclista, simbolo efficace per descrivere il dinamismo prefigurato dalle idee di Marco Biagi e che ne onora la memoria”.

Il pensiero di Tiziano Treu 

Secondo il presidente del Cnel e già ministro del Lavoro sotto Romano Prodi le rievocazioni sono finalizzate a guardare avanti, proprio come piaceva a Biagi, e nei suoi testi troviamo moltissimi spunti. Secondo Treu è necessario tornare al metodo induttivo del giurista visto che siamo in un Paese pieno di deduttivi: guardare alla realtà senza preconcetti, senza ‘occhiali’, consapevoli che la realtà è in evoluzione e trarne spunti per progettare. Usare dunque l’osservazione della realtà per non subire le regole tramandate dal passato, ma per creare regole adatte al presente e al futuro.

“La legge è importante, ma non basta scriverla: per renderla efficace serve l’azione sociale – ha chiosato Treu -. Biagi era per la law in action sostenuta dalle pratiche degli attori. Il metodo è più utile delle ricette specifiche. Siamo di fronte a trasformazioni complicate e incerte, ma abbiamo l’orizzonte che ci dà l’Europa. Nella mia lunga vita di studio di queste materie, raramente ho visto la presenza e l’indicazione di un orizzonte temporale e alcune linee guide entro cui operare. Biagi è stato il primo vero giurista europeo, già più di vent’anni fa. E oggi ormai siamo immersi nell’Europa. Le transizione ecologica e digitale e la sostenibilità sono grandi opportunità che pongono al giurista e al policy maker scelte più difficili rispetto al passato”.

Marco Biagi d’altra parte come ricordato nel corso del convegno era molto attento a contemperare le ragioni dell’efficienza con le ragioni dell’equità. Una prassi diventata più difficile perché occorre considerare l’ambiente, una variabile che non c’era vent’anni fa. “Noi non ci troviamo né nel liberismo né nei gosplany di memoria sovietica, ma siamo in un sistema misto – ha spiegato l’ex ministro del Governo Prodi -. Dobbiamo far sì che l’opportunità di crescita nuova e sostenibile si traduca in occupazione di buona qualità. Possiamo seguire gli insegnamenti e le linee di pensiero che Marco ha tracciato e che oggi vanno rinnovati. Anzitutto, i lavori di parla anche il Piano sono diversi da quelli di venti o trent’anni fa. Le stime fatte dal CNEL d’accordo con l’Istat sono queste: se il Piano si svolge come si deve, ci saranno di 4,1 a 4,5 milioni di movimento di lavoratori, tra ripiazzamento e lavori nuovi. Ecco un esempio di dinamismo del mercato del lavoro. Però come fare sì che lavori così diversi e numerosi siano un contributo al benessere generale? Bisogna in primo luogo riconoscere la diverstià dei lavori e cercare di offrire delle piste comuni. A proposito di internazionalità, l’idea dello Statuto dei Lavori coincide con l’idea dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 1999, anno in cui quest’ultima fece uscire la cosiddetta Agenda del Lavoro Dignitoso. In essa si parla di dignità di tutte le forme del lavoro; ed è proprio come dice l’articolo 35 della Costituzione: La Repubblica tutela il lavoro in tutte le forme e applicazioni. Tutte le forme, dal tradizionale “Cipputi” operaio di fabbrica all’immigrato ai lavori autonomi. La normativa di molti Stati europei ha cominciato a estendere pezzi di tutela e interventi per lavori diversi, fino al lavoro autonomo. Solo così possiamo dare dignità a tutte le forme di lavoro. Tra l’altro, l’Europa ha iniziato a dire che la libertà di contrattazione può essere estesa anche al lavoro autonomo”.

Treu ha poi concluso affermando che non sia sufficiente dare tutele attive, visto che la dignità del lavoro è la formazione. “Il lavoro del futuro sarà sempre più pieno di attività che richiedono cognizioni di diversi tipi: tecniche, relazionali… La formazione non è più un addendum, ma attiene all’essenza stessa del lavoro. L’Europa dice che il 60% dei lavoratori dovrà essere annualmente immerso nella formazione per restare all’altezza dei cambiamenti vertiginosi. Chi riesce a mettere a regime questo tipo di formazione con queste dimensioni? Parliamo di milioni di lavoratori. Occorrono dunque nuove istituzioni. Così come 60 anni si fece l’alfabetizzazione dell’Italia con l’aumento della scuola dell’obbligo e altre iniziative. Oggi serve mettere insieme le istituzioni, dagli enti bilaterali al pubblico alle imprese per soddisfare i nuovi bisogni e contrastare fenomeni gravi come il mismatch, questo grande spreco che deriva da troppi posti vuoti e poche competenze. Marco Biagi non era un giurista “da tavolino”, ma credeva che affinché le idee diventino attualità ci vogliono le norme e ci vogliono pure le istituzioni e le parti sociali”.

Marco Fontana
marco.fontana

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