Cambio di narrativa a Kiev: Zelensky parla di negoziati e diplomazia con americani, britannici e Vaticano

Cambio di narrativa a Kiev: Zelensky parla di negoziati e diplomazia con americani, britannici e Vaticano

6 Agosto 2024 0

Ai vertici del governo ucraino si sta intensificando la narrativa sulla disponibilità a negoziare. Interviste, visite ufficiali, dichiarazioni assortite per preparare l’opinione pubblica – e soprattutto le frange interne del potere – al momento in cui una delegazione ucraina si siederà al tavolo con quella russa per chiedere la fine delle ostilità.

L’intervista alla BBC

Il presidente ucraino Zelensky è stato in visita in Inghilterra il 18 e il 19 luglio per partecipare al forum intergovernativo della Comunità politica europea (CPE) e per incontrare il nuovo premier britannico Keir Starmer. Con l’occasione ha anche rilasciato un’intervista alla BBC, dalla quale sono uscite affermazioni molto interessanti. La più potente di tutte riguarda il cambio totale di prospettiva sul conflitto armato. Ormai il presidente ucraino è definitivamente passato dalla retorica della “vittoria totale”, che usava fino al 2023 parlando al Congresso americano e ai Parlamenti europei, a quella di una prossima fine delle ostilità. Penso che se agiremo in modo concordato e seguiremo il formato del summit di pace, allora potremo mettere fine alla fase calda della guerra. Possiamo cercare di farlo prima della fine dell’anno. Non sono frasi da poco. Infatti dà alle operazioni belliche una possibile scadenza cronologica piuttosto ravvicinata nel tempo.

Ancora un po’ di fuoco, se possibile

E con le successive parole apre ufficialmente la porta alle trattative. Ciò non significa che tutti i territori verranno riconquistati con la forza. Penso che la forza della diplomazia potrà essere d’aiuto. Tuttavia aggiunge che al tavolo negoziale si arriverà più facilmente soltanto se l’Occidente farà pressione su Mosca. E gradirebbe anche se potesse indebolire un po’ la Russia sul campo, magari grazie ai tanto propagandati caccia F-16. In questo modo l’Ucraina avrebbe una posizione più favorevole al tavolo dei negoziati, perché quella attuale è di oggettiva inferiorità. Zelensky chiede al Regno unito e agli altri alleati occidentali il permesso di usare i loro armamenti per colpire l’interno della Federazione Russa, senza più sottostare a limitazioni di raggio per il lancio dei missili. Azioni del genere comporterebbero l’altissimo rischio di un’escalation. Proprio per questo motivo finora i fornitori dei razzi Storm Shadow e SCALP-EG non hanno dato l’autorizzazione.

Il fattore americano

Zelensky fa coincidere di fatto la possibile chiusura delle ostilità con le elezioni americane. Il fattore decisivo di questo conflitto, quindi, rimane la posizione degli USA. Per la parte ucraina, l’ultima parola spetta a Washington, da cui dipende la gran parte dell’approvvigionamento militare e finanziario di Kiev. Di questo piccolo dettaglio è perfettamente al corrente pure Zelensky, che infatti dice di essere pronto a lavorare con chiunque sia il prossimo inquilino della Casa Bianca. Ammette che se tornasse Trump sarebbe un “duro lavoro”, ma dovrà in ogni caso fare i conti con lui. Sulla convinzione di quest’ultimo di poter mettere fine alla guerra in 24 ore, dice che ne sarebbe persino lieto, ma prima occorre capire a quale prezzo otterrebbe una conclusione così rapida. E chi pagherebbe quel prezzo? Secondo lui sarebbero certamente gli ucraini, che dovrebbero farlo con la resa e con la cessione dei territori.

La telefonata con Trump

Negli stessi giorni della visita inglese, Zelensky e Trump hanno avuto una conversazione telefonica: la prima volta conversazione in almeno quattro anni. L’ha commentata lo stesso Trump, dicendo che si è trattato di “un’ottima telefonata”, nella quale Zelensky si è congratulato con lui per la formalizzazione della nomina a candidato presidenziale dei Repubblicani e ha condannato il tentativo di assassinio avvenuto in Pennsylvania. In un post su X, Zelensky ha confermato questa versione, aggiungendo di avergli augurato forza e salute e di aver discusso con lui la possibilità di un incontro tête-à-tête per il componimento del conflitto. Trump ha detto di aver apprezzato la chiamata del presidente ucraino e ha ribadito che una volta tornato alla Casa Bianca farà terminare la guerra e riporterà la pace. Si è detto sicuro che le controparti sapranno negoziare un accordo che spiani la strada verso la prosperità.

Vance disinteressato all’Ucraina

Ma non è solamente con Trump che a Kiev devono fare i conti. Gli ucraini temono soprattutto il suo vice designato J.D. Vance. Le sue affermazioni sono eloquenti e contrarie a tutta la retorica che sorregge la narrativa occidentale in merito. Ha infatti detto che a lui non interessa quello che succederà all’Ucraina in un modo o nell’altro. Il suo elettorato si attende che risolva anzitutto i problemi del cittadino medio, del contribuente americano che ha visto finire oltreoceano decine di miliardi di dollari negli ultimi tre anni. Dunque Vance è probabilmente ancora più anti-NATO dello stesso Trump, che a febbraio aveva detto di voler incoraggiare la Russia “a fare quello che le pare” coi membri dell’Alleanza Atlantica che non pagano la propria quota di contributi. Nell’intervista alla BBC Zelensky prova a minimizzare la questione dicendo che il futuro vicepresidente forse non comprende davvero ciò che sta avvendendo in Ucraina.

Ci mette bocca pure Johnson

È intervenuto pure il più fervente filo-ucraino dell’intera anglosfera, uno che insieme alle truppe di Kiev gridava “Slava Ukraini!”. È l’ex premier britannico Boris Johnson, che il 16 luglio ha incontrato Trump e ci ha scritto un articolo per il quotidiano Daily Mail. Johnson ha voluto dare i suoi modesti consigli. Si dice convinto più che mai che Trump abbia la forza e il coraggio per salvare l’Ucraina e terminare questa spaventosa guerra. Secondo lui il candidato presidente comprende i fattori in campo e cioè che la sconfitta di Kiev sarebbe una sconfitta per l’America. Quindi proprio come Zelensky prefigura la fine del conflitto, ma chiede all’Occidente un ultimo sforzo di assistenza militare (giusto per non capitolare con Mosca). Quindi ci si prepari pure alle trattative, ma intanto mandiamo ancora armi e lasciamo che gli ucraini le usino come vogliono. Però il traguardo finale rimane sempre l’accordo di pace.

L’incontro col rappresentante pontificio

Il cambio di narrativa è proseguito con la visita del segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, che il 23 luglio si è recato nella capitale ucraina. Così Zelensky è passato dal dire dopo l’incontro col Papa del 2023 “Non ci interessano mediatori” agli attuali ringraziamenti al Pontefice e a tutto l’alto clero per il “supporto” al Paese. In effetti quella vaticana è stata l’unica ambasciata a non aver mai chiuso negli ultimi due anni e mezzo. Dopo il vertice Parolin ha detto di aver percepito un “clima diverso”. Riguardo a Zelensky, evidenzia come finalmente riconosca che sia necessaria la partecipazione della Russia ai futuri colloqui di pace. Ed è proprio ciò che propugna il Vaticano, che secondo Parolin si è sempre distinto per il suo equilibrio fra le parti e per la contrarietà a prendere “posizioni radicali contro l’uno o contro l’altro”.

Conditio sine qua non

Parolin non ha dubbi: in un modo o in un altro la Russia andrà coinvolta. C’è la piattaforma di pace di Zelensky, dice, che la Santa Sede appoggia, ma che è debole perché non prevede la partecipazione della Russia. Il segretario di Stato invita a cercare modi creativi per avviare il processo di pace e a trovare nuove formule per aprire spiragli. Ai vertici del governo ucraino si sta intensificando la narrativa sulla disponibilità a negoziare. Interviste, visite ufficiali, dichiarazioni assortite per preparare l’opinione pubblica – e soprattutto le frange interne del potere – al momento in cui una delegazione ucraina si siederà al tavolo con quella russa per chiedere la fine delle ostilità.

Martin King
Martin King

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