Zelensky perfeziona la svendita della terra ucraina alle multinazionali, grazie alle riforme gentilmente imposte dai suoi creditori

Zelensky perfeziona la svendita della terra ucraina alle multinazionali, grazie alle riforme gentilmente imposte dai suoi creditori

21 Luglio 2024 0

In queste settimane i creditori internazionali stanno letteralmente spingendo l’Ucraina verso la bancarotta. Sembra che la loro pazienza sia finita oppure sentono il bisogno di prendere quanto più possibile prima che sia troppo tardi. Zelensky li sta accontentando come può, con la liberalizzazione definitiva del mercato terriero e infischiandosene delle critiche interne.

La pacchia è finita

A proposito dei finanziamenti a pioggia a beneficio di Kiev, il quotidiano francese Le Monde scrive che il “periodo di grazia” è ormai al termine. I principali creditori internazionali stanno infatti premendo sul governo ucraino affinché cominci a pagare i debiti. Non importa se il Paese è ancora impegnato in guerra e sta facendo sempre più fatica a sopravvivere come Stato funzionante. Quando gli squali della finanza mostrano i denti, significa che non c’è pietà. Così hanno formato un comitato i detentori del 20% delle obbligazioni statali, sulle quali nel 2022 era stata imposta una moratoria la cui scadenza sarà il 1º agosto 2024. Si sono quindi presentati a Kiev battendo cassa i vari BlackRock, Pimco, Amia Capital LLP e Amundi SA (sussidiaria di Crédit Agricole). In altre parole, per Zelensky la pacchia è finita.

Consigliati da Rothschild & Co

Meno male però che a fare da consigliere al Ministero della Finanze ucraino c’è la Rothschild & Co! Davvero i massimi esperti mondiali in fatto di indebitamento e liquidazione di intere economie nazionali. Purtroppo le prime trattative svoltesi a giugno non hanno dato alcun risultato. Ma adesso ci stanno riprovando. La proposta di Kiev è di sostituire gli attuali titoli da pagare con altri, che matureranno al più tardi nel 2040 e che fino al 2027 avranno un interesse dell’1%, il quale salirà in seguito. Insomma, va bene qualunque promessa siano disposti a sentire i creditori, pur di dar modo al governo di racimolare i 37 miliardi di dollari necessari a chiudere il budget di quest’anno.

Ristrutturazioni a norma di FMI

Ma la ristrutturazione del debito resta un passaggio indispensabile per ottenere nuovi aiuti finanziari, come richiesto dal Fondo Monetario Internazionale. Purtroppo il tempo a disposizione è poco. Tutto ciò che Zelensky può fare adesso è di chiedere ai creditori di accettare grosse perdite nel breve periodo per recuperarle poi a conflitto terminato. Il Parlamento ucraino intanto ha imposto un divieto temporaneo di pagare il debito estero sovrano fino a ottobre. Come rivelano delle voci uscite dai questi negoziati riservati, tuttavia, se l’Ucraina non si decide per le riforme dell’FMI e per il ripianamento dei debiti, “chiuderà di fatto la porta a nuovi investimenti privati”.

La svendita era già avviata

Investimento privato dall’estero è un’espressione che coincide spesso con l’acquisizione di elementi strategici di un’economia nazionale da parte di soggetti internazionali. A prezzi convenienti, si intende. Sono prezzi che possono permettersi di sborsare con facilità soltanto i fondi di investimento statali (ad esempio quelli della Norvegia e dell’Arabia Saudita, Paesi produttori di petrolio) oppure le grandi multinazionali finanziare come BlackRock e Vanguard. In altre parole, è la svendita del patrimonio dell’Ucraina, fatto soprattutto di terra fertile, di miniere e di impianti agricoli e industriali. La stagione di liquidazione era già iniziata col predecessore di Zelensky, Petro Poroshenko. Nel 2018, infatti, aveva annunciato con l’orgoglio il passaggio in mani straniere della Mriya Agro Holding, una delle principali compagnie agroalimentare dell’Ucraina. Il felice compratore è stata la Saudi Agricultural & Livestock Investment Co. (SALIC), controllata a sua volta dal fondo sovrano di Riad, il Public Investment Fund.

Indorare la pillola

Politici e media mainstream si sforzano di sottolineare quanto tale genere di affari convenga soprattutto alla nazione debole, quella costretta a svendersi per restare a galla. Ad esempio, nel caso in questione il Financial Times titolava “La saudita Salic conclude un contratto per stimolare l’agricoltura ucraina”. Come se dei buoni samaritani altruisti impegnassero miliardi di dollari al solo scopo di risollevare uno Stato che sta andando in bancarotta. E in teoria lo fanno, prendendosi però i pezzi migliori della sua economia. Poroshenko sentiva il dovere di precisare che questo contratto non implica l’acquisto della terra ucraina. Implicava comunque il controllo di oltre 150mila ettari di quella tfamosa “terra nera” che ha reso l’Ucraina il principale produttore europeo di grano. Che felice combinazione: l’Arabia Saudita era in quel momento il maggiore compratore mondiale di orzo. Zelensky ha solo portato a un livello superiore questi meccanismi di business.

Un aiuto da BlackRock ed FMI

L’anno scorso Zelensky ha nominato consiglieri del Ministero dell’Economia un gruppo di manager legati a BlackRock. Ne ha poi incontrato l’amministratore delegato, Laurence Fink, che ha lanciato il Fondo di Sviluppo dell’Ucraina (UDF). Altri aiuti materiali e di consulenza sono arrivati naturalmente dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). Hanno emesso tranche da miliardi di dollari, chiedendo in cambio “una significativa accelerazione delle riforme strutturali necessarie” e “un mercato trasparente per le terre a uso agricolo”. Così è stato. Tre anni fa il governo di Kiev toglieva il bando alla vendita di terra e dal 1º gennaio 2024 la liberalizzazione è completa.

Svendita legale della terra

Il divieto durava da 20 anni ed era inteso proprio a proteggere un asset fondamentale del Paese, quella terra fertile che avrebbe dovuto teoricamente essere distribuita fra tutti i possidenti piccoli e medi. Ma costoro evidentemente non hanno i mezzi per comprare fino ai 100 ettari previsti dalla legge. E proprio a maggio si è registrato il nuovo record di prezzo, con un aumento dell’8,2% rispetto ad aprile e del 5,6% rispetto a maggio. Oggi le cifre di vendita sono le più alte nella storia del settore in Ucraina. In compenso le aziende possono finalmente fare acquisti, grazie al permesso è entrato in vigore quest’anno. Finora potevano solo prendere in affitto i terreni dei privati, ma ormai la liberalizzazione che tanto piace all’FMI e a BlackRock è legalmente fattibile.

Le critiche

Non sono mancate le critiche alle riforme di libero mercato. Prima che Zelenksy le implementasse, sono state osteggiate a lungo perché ritenute il grimaldello con cui gli oligarchi inglobano facilmente ancora più terra e gli “investitori” stranieri entrano direttamente in controllo dei patrimoni nazionali. Alcuni politici ucraini e gli agricoltori stessi hanno denunciato inutilmente il paradosso primario. Da una parte i piccoli agricoltori non riescono ad acquistare nuove terre e dall’altra devono disfarsi di quelle che hanno, per sopravvivere nelle condizioni attuali. L’anno scorso il giornalista argentino Alejandro Marcó del Pont aveva illustrato la situazione: il settore agroalimentare ucraino veniva svenduto alle multinazionali. Se ne era interessato anche l’Oakland Institute col suo rapporto “Guerra e ruberie: la presa del controllo dei terreni agricoli ucraini”, che spiega quali interessi vi sono sulle terre coltivabili e in che modo passano di mano grazie alle riforme agrarie “suggerite” dall’FMI e da BlackRock.

Chi ne approfitta

I dati della Commissione Europea dicono che un quarto delle terre arabili dell’Ucraina appartengono a 70 aziende di grosse dimensioni e controllate da multinazionali. Le società madri hanno la sede legale dove le tasse sono più basse. Così, Ukrlandfarming ed MHP sono basate a Cipro e la Kernel Holding S.A. in Lussemburgo. Sono compagnie che posseggono già oggi centinaia di migliaia di ettari. La Kernel è il principale produttore ed esportatore ucraino di olio di semi di girasole. Fra il 2018 e il 2021 ha ricevuto prestiti per 288 milioni di dollari dalla BERS e 250 milioni di euro dalla BEI, la Banca europea per gli investimenti.

Altrettante decine di milioni sono arrivate nel corso degli anni da parte di questi stessi enti alla MHP, diventata quindi abbastanza potente da assorbire sempre più lotti di terreno dai piccoli possidenti. In queste settimane i creditori internazionali stanno letteralmente spingendo l’Ucraina verso la bancarotta. Sembra che la loro pazienza sia finita oppure sentono il bisogno di prendere quanto più possibile prima che sia troppo tardi. Zelensky li sta accontentando come può, con la liberalizzazione definitiva del mercato terriero e infischiandosene delle critiche interne.

Martin King
Martin King

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