Un’Ucraina a metà, purché entri nella NATO: proposte fantasiose e paralleli storici audaci per giustificare la prosecuzione del conflitto

Un’Ucraina a metà, purché entri nella NATO: proposte fantasiose e paralleli storici audaci per giustificare la prosecuzione del conflitto

15 Luglio 2024 0

Il 75esimo summit della NATO ha lasciato il governo di Kiev con l’amaro in bocca. Nemmeno stavolta è arrivato l’invito a diventare membri a pieno titolo. Foreign Affairs, prestigiosa rivista americana di geopolitica, ha pubblicato le considerazioni in merito dell’accademica Mary Elise Sarotte, storica della Guerra Fredda. Se il suo pensiero influenza quello dei vertici politici euroatlantici, allora merita una lettura approfondita. Purtroppo, infatti, riguarda anche il futuro dell’Europa.

Per lei l’unico obiettivo possibile è inglobare l’Ucraina nell’Occidente politicamente, economicamente e militarmente. Le conseguenze prefigurate sono tutte meravigliose per gli ucraini, mentre quelle per gli europei – non tanto buone – vengono taciute. La sua visione della Russia è datata, stereotipata, contraddittoria, imprecisa e americanocentrica. Riduce i motivi del conflitto alle ambizioni personali di un dittatore sanguinario, un cattivo a due dimensioni da film d’azione hollywoodiano. Nei commenti che si sentono al bar c’è talvolta più buon senso che nelle analisi di questa docente universitaria americana. Ma se assurge alla pubblicazione sulle riviste mainstream, allora potrebbe avere peso su ciò che pensano coloro che prendono le decisioni a Washington e a Bruxelles.

Per adesso l’Ucraina resta fuori

Sappiamo ciò che non sarebbe potuto accadere al 75esimo summit della NATO tenutosi a Washington: che l’Ucraina non sarebbe diventata il 33esimo membro della NATO. Ora gli americani ipotizzano la creazione per Kiev “un ponte verso la NATO”, come detto recentemente dal direttore superiore del Consiglio di sicurezza nazionale per l’Europa Michael Carpenter. Ma quando si parla della vera e propria membership, ecco che molti dei leader dell’Alleanza (Germania e USA compresi) si preoccupano del fatto che un invito formale non sia possibile fintanto che Kiev è in guerra. La questione riguarda la centralità dell’articolo 5 del Trattato, secondo cui un attacco contro un membro è considerato un attacco contro tutti i membri.

Ma queste comprensibili ansie non tengono conto a sufficienza delle condizioni attuali della politica americana e del conflitto stesso. Il “ponte” dell’Ucraina verso la NATO potrebbe facilmente tramutarsi in un ponte verso il nulla qualora Trump vinca le presidenziali di novembre. Infatti l’ex presidente ha minacciato di ritirare gli USA dall’Alleanza. Potrebbe comunque minarne le fondamenta trattenendo le quote contributive, richiamando i comandi e i soldati americani dall’Europa e bloccando le decisioni importanti del Consiglio Atlantico. E ha pure promesso di mettere fine in un giorno solo alla guerra in Ucraina.

Cosa potrebbe accadere presto

Anche se Trump non dovesse vincere, sarebbe comunque improbabile la continuazione del flusso di assistenza dai governi euroatlantici ai livelli degli ultimi due anni e mezzo. In compenso aumenteranno le chance di una grossa avanzata dei russi o perfino di uno sfondamento. Ciò potrebbe causare fra gli Stati confinanti con la Russia (e non solo) panico e movimenti destabilizzanti di rifugiati. Alcuni di questi Paesi potrebbero rispondere facendo quanto aveva proposto il presidente francese Macron: inviare le proprie forze in Ucraina, cosa che magari provocherebbe una rappresaglia contro i loro territori sotto ombrello NATO.

Per gli USA e i loro alleati assicurare il futuro dell’Ucraina non dovrebbe essere sminuito come gesto altruistico da rimandare a dopo. Invece è un atto di autodifesa che richiede immediata attuazione. Gli accordi bilaterali sono utili, certo, ma non hanno il potere di restare in piedi quando le elezioni rimescolano i governi su entrambi i lati dell’Atlantico. È difficile non individuare nell’adesione all’Alleanza la soluzione più duratura a un conflitto con conseguenze potenzialmente catastrofiche.

Creatività per l’adesione

E allora l’Ucraina come può diventare a breve un membro, posto che le forze russe sono praticamente sicure di rimanere in controllo di parti del suo territorio negli anni a venire? La storia fornisce delle risposte. Vi sono dei precedenti su come garantire l’ingresso a uno Stato diviso, persino a uno che sta sulla linea del fronte. Tali modelli storici non sono necessariamente perfetti per l’oggi. Le loro possibilità di realizzazione sono lontane dalla certezza di successo e avrebbero dei costi immensi. Infatti implicherebbero che l’Ucraina interrompa lo scontro armato e tolleri una divisione provvisoria del suo territorio. Ma nonostante il prezzo, è il momento di prendere seriamente in considerazione tali modelli.

A Kiev occorrono infatti dei modi creativi per poter accedere. In effetti c’è posto per la fantasia, perché sebbene il Trattato costitutivo del 1949 obblighi gli alleati a considerare l’attacco contro uno come l’attacco contro tutti, non impone dei critici univoci e validi universalmente. Dunque alcuni Paesi potrebbero negoziare dei termini su misura. Ad esempio la Francia era rimasta alleata anche dopo che il presidente Charles de Gaulle sembrava aver rotto definitivamente a metà degli anni ‘60, ritirando Parigi dal comando integrato della NATO. Altri due esempi sono persino più pertinenti di questo e sono Norvegia e Germania Ovest. Entrambe trovarono il modo di unirsi all’Alleanza pur essendo rispettivamente una a contatto diretto con l’URSS e l’altra in conflitto con essa.

Esposizione a settentrione

Settantacinque anni fa, la Norvegia voleva ciò che desidera oggi l’Ucraina: diventare un alleato nonostante confinasse con l’allora Unione Sovietica. Bisogna notare che Mosca non aveva mai invaso il territorio norvegese, anzi l’Armata Rossa aveva persino aiutato a liberare dai nazisti alcune zone della Norvegia. Nonostante ciò, i norvegesi ricordavano con amarezza quando la loro neutralità era stata violata brutalmente dall’occupazione nazista. Erano rimasti inorriditi quando la Cecoslovacchia, Stato precedentemente occupato e che stava fra est e ovest, era caduta sotto il controllo sovietico nel 1948. Tali esperienze avevano così diminuito l’attrattiva di una prolungata neutralità. I norvegesi discussero due alternative. Una consisteva in una cooperazione difensiva nordica e l’altra nell’alleanza transatlantica. Quest’ultima presentava il rischio di essere l’unico membro fondativo della NATO confinante con l’URSS. Ciò implicava la responsabilità di portare l’organizzazione sulla porta di casa dei sovietici. La Norvegia scelse proprio la seconda opzione, ma una particolarità.

Limitazioni e flessibilità

Il governo emise una dichiarazione unilaterale il 1º febbraio 1949, due mesi prima della creazione dell’Alleanza, in cui diceva che non avrebbe reso le basi sul territorio norvegese disponibili alle Forze armate di potenze straniere, fino a che la Norvegia non dovesse essere attaccata o soggetta alla minaccia di un attacco. E in seguito aggiunse limitazioni simili riguardo alle armi nucleari. Gli alleati borbottarono sia allora che dopo. Durante l’espansione della NATO dopo la fine della Guerra Fredda, il Consiglio di sicurezza nazionale dell’amministrazione Clinton criticò l’eventualità di dare lo “status norvegese” ai nuovi membri.

Ma nella stessa Norvegia c’era consenso sul fatto che tale strategia avesse servito bene la sicurezza del Paese, garantendo comunque una piena estensione dell’articolo 5 e non una versione “leggera”, essendo in vigore la possibilità di modificare la postura di Oslo in risposta a eventuali sviluppi. Fino ad oggi, quindi, la Norvegia può reagire alle minacce cambiando o lasciando cadere queste restrizioni autoimposte e attuando un meccanismo di allerta e deterrenza. Nonostante le molte differenze fra la Norvegia della Guerra Fredda e l’Ucraina di oggi, quel modello resta rilevante in quanto mostra come un Paese che confina con la Russia possa unirsi alla NATO. E lo può fare stabilendo peculiari eccezioni unilaterali per ridurre il rischio di una risposta ostile da parte di Mosca.

Un altro vantaggio

C’è pure un altro beneficio derivante dal modello norvegese. Sia l’ex presidente russo Boris Eltsin sia l’attuale leader Vladimir Putin denunciarono l’espansione della NATO ad est. Tuttavia, nel momento decisivo hanno mostrato una diversa conclusione, opponendosi solo all’espansione delle infrastrutture NATO. Ad esempio il 17 dicembre 2021 Putin comunicò un ultimatum de facto all’Alleanza, dicendo “firmate qui o per l’Ucraina sarà peggio” e chiedendo non che Kiev rinunciasse ad aderire, ma che rifiutasse di far installare le infrastrutture del tipo “forze militari e armamenti” e i “missili basati a terra a corto e medio raggio”.

È una distinzione che consente di aprire una breccia. Nel 1997 consentì alla NATO di rendere a Mosca l’allargamento post-Guerra Fredda minimamente tollerabile perché nel NATO-Russia Founding Act si dice che l’Alleanza effettuerà missioni nei nuovi Stati membri con mezzi che non siano “lo stazionamento permanente di forze combattenti significative” con le relative armi e infrastrutture. La strategia nazionale norvegese ha ottenuto lo stesso senza impedire la costruzione di un quartier generale per le Allied Forces Northern Europe e accumulando attrezzature militari pesanti per le Forze americane e quelle canadesi, così come tanti altri preparativi.

Uniti ma divisi

Il percorso della Germania Occidentale all’adesione nel 1955 è attinente per una ragione diversa: mostra come un Paese possa diventare membro seppur diviso al suo interno. Se vogliamo proporre questo modello, dobbiamo fare parecchie distinzioni. L’ideale sarebbe che l’Ucraina respingesse gli invasori russi e ristabilisse le frontiere del 1991. Tuttavia, nonostante il coraggio, i soldati ucraini hanno disperatamente poche chance di farcela militarmente e a breve. Le loro possibilità si ridurranno ancora di più se Trump diventa presidente. Dunque valutare di rendere membro un’Ucraina divisa è una necessità difficile ma urgente. E non lo è nel modo proposto dai commentatori del summit 2023 di Vilnius, i quali dicevano che, essendo entrata nell’Alleanza una Germania divisa, allora lo può fare anche un’Ucraina divisa, subito così com’è. Questa è lettura sbagliata della storia: membro della NATO era la Germania Occidentale, non la Germania divisa. La Germania Orientale voleva rimanerne fuori.

L’esempio tedesco occidentale

In parole povere, nessuno Stato che non abbia dei confini chiari e precisi può diventare membro della NATO. Infatti l’articolo 5 per essere credibile deve avere un’applicazione territoriale ben definita. Una frontiera stabile però non significa una frontiera irrevocabile o internazionalmente riconosciuta. Quindi un Paese può seguire l’esempio della Germania Ovest e adottare la strategia della provvisorietà, che implica l’ammissione iniziale che tale frontiera è temporanea. Il modo migliore per comprendere questa strategia è ricordare come i leader tedeschi occidentali la misero in atto. Costoro capirono che dovevano sopportare una divisione a tempo indeterminato e rinunciare a “ricorrere alla forza per ottenere la riunificazione della Germania”. Dissero subito candidamente che avrebbero sopportato – e non accettato – la divisione rifiutando di riconoscere il confine tedesco interno.

Non adottarono una Costituzione, bensì una “legge fondamentale” esortando “l’intero popolo tedesco (…) a raggiungere l’unità e la libertà della Germania con la libera autodeterminazione” e promettendo di rendere definitiva la struttura giuridica dello Stato tedesco solo dopo tale evento. Scelsero così come capitale non una grande città, ma una cittadina della Renania chiamata Bonn, sottolineando così l’idea di una Germania Occidentale come entità provvisoria. Se invece avessero scelto un centro grosso, per esempio Francoforte, sarebbe sembrato qualcosa di permanente. Hanno poi sostenuto l’obiettivo della riunificazione negli accordi diplomatici, dall’adesione alla NATO all’Atto finale di Helsinki nel 1975 che mantenne la possibilità di mutamenti di confine in caso di richiesta della Repubblica Federale Tedesca (RFT).

Il parallelo con l’Ucraina

Kiev naturalmente merita qualcosa di meglio che non tale “amaro” modello. Dato che l’Ucraina e i suoi sponsor non sono stati in grado di mettere fine alla divisione de facto del Paese, oggi questa divisione è realtà. E allora è meglio seguire l’esempio della Germania Ovest e ottenere la piena adesione alla NATO di un’Ucraina indipendente che non stare a guardare come il supporto essenziale degli USA diminuisca mentre al Congresso litigano e la rielezione di Trump diventa sempre più probabile. D’altronde l’Ucraina può sperare di seguire il modello della RFT anche in un altro modo. Dopo l’adesione alla NATO nel 1955, Bonn rafforzò il suo recupero economico e la sua democratizzazione, divenendo un Paese esportatore e un forte membro dell’Alleanza Atlantica. Auguriamo sinceramente un tale futuro pure per Kiev.

Spiega lo storico Stephen Kotkin: La condizione sine qua non per il raggiungimento della pace è un armistizio e la fine delle ostilità al più presto, poi delle garanzie di sicurezza e infine l’accesso all’Unione Europea. Cioè un’Ucraina stabile e sicura che si unisce all’Occidente. Una membership NATO che copra la gran parte del territorio ucraino permetterebbe al Paese di muoversi verso tale futuro senza dover aspettare che Putin glielo conceda.

Più di mezza torta

Partendo dalle lezioni di questi esempi storici, i leader degli Stati dell’Alleanza dovrebbero incoraggiare in privato Kiev a fare tre cose. Anzitutto, delineare un confine temporaneo e militarmente difendibile. Secondo, accettare limitazioni alla infrastrutture sul territorio ancora sotto controllo, cioè lo stazionamento permanente di truppe straniere o di armi nucleari. Andrebbe aggiunta l’importante “distinzione norvegese” che tali restrizioni saranno valide fino a che l’Ucraina non venga attaccata o minacciata di attacco. Il terzo punto, il più doloroso, è impegnarsi a non usare la forza militare al di là del confine se non per autodifesa. Lo stesso fecero i tedeschi occidentali, per garantire agli alleati che non si ritroveranno improvvisamente in guerra con la Russia una volta che Kiev sarà membro. Il costo di tale passo è l’accettazione di una divisione a tempo indeterminato, ma il beneficio è di dare a più della metà dell’Ucraina un rifugio sicuro dentro la NATO.

Una volta raggiunto l’accordo, Kiev e gli alleati potrebbero renderlo pubblico. La NATO potrebbe amplificare le dichiarazioni unilaterali con una dichiarazione analoga. L’obiettivo sarebbe di avere un’Ucraina indipendente che aderisca alla NATO appena ciò diventi fattibile, idealmente entro il 20 gennaio 2025, oppure se proprio necessario nell’ambito del “contratto” di Trump. Mentre tali annunci, se presi insieme, rappresenterebbero un fatto compiuto e dunque non sarebbero negoziati con la Russia, vi sarebbe comunque un’implicita negoziazione: al posto di uno scambio “territorio per pace”, vi sarebbe l’incentivo del “nessuna infrastruttura per pace”. Sollevare questa istanza pubblicamente avrebbe poi il vantaggio di svelare due priorità chiave dei russi: capire cioè se Putin ancora una volta tratterà sulle infrastrutture e se la cooperazione russa e la membership NATO siano mutualmente esclusive.

Rischi e sfide

È una proposta che implica rischi e sfide di alto livello. Ne vengono in mente almeno cinque. Per prima cosa, tutti gli alleati dovrebbero approvare l’adesione di Kiev, cosa che negli USA richiede la ratifica del Senato. Dunque un percorso ripido e in salita, ma comune a tutte le adesioni NATO, non certo un caso unico. In secondo luogo, la Russia si opporrà (detto eufemisticamente). L’ex presidente russo Dmitry Medvedev ha invitato a una ripartizione, ma Mosca per salvarsi la faccia potrebbe definirla una vittoria. Poiché la priorità maggiore di Putin – anche più del successo in Ucraina – è la sopravvivenza del suo governo, una versione spendibile dell’adesione alla NATO gli potrebbe bastare. Coloro che ne soffrirebbero sarebbero tragicamente gli ucraini che vivono nelle regioni incorporate nella Federazione Russa. A meno che l’Occidente non decida che reclamare quei territori valga il rischio di un’escalation, sarà comunque così.

Terzo, Mosca boicotterà qualsiasi negoziato effettivo. Infatti Putin sente che il tempo gioca a suo favore, così non ha interesse a regolare la situazione. Ma nessun documento firmato da Putin è credibile, perciò questo è un problema soltanto apparente. Sì, recentemente sta girando un documento che proverebbe come la Russia volesse un accordo già nel 2022, ma Mosca non è comunque un partner credibile. L’Ucraina e i suoi alleati possono e devono puntare a una pace senza Putin. Il risultato sarebbe una mancanza di riconoscimento internazionale al confine ucraino. Ma come dimostra il caso della RFT, non è un ostacolo all’ingresso nella NATO fintanto che la frontiera sia ben demarcata e militarmente difendibile.

In quarto luogo, per un’iniziativa simile molti ucraini attaccherebbero Zelensky, il loro presidente. Lui potrebbe e dovrebbe rispondere accusando l’Occidente, al fine di proteggersi sul piano interno. E vi sarebbe un grosso vantaggio per gli ucraini, come si vede nel lavoro dell’accademico Jade McGlynn. Secondo lui, gli esausti soldati di Kiev stanno sempre più perdendo la speranza e la voglia di combattere. Pur odiando l’idea di accettare una divisione, troverebbero ispirazione nel sapere che per le loro il famiglie una larga parte del Paese è diventata sicura. Infine, proteggere un’Ucraina indipendente nel corso del processo di adesione sarebbe enormemente difficile. La recente decisione di consentire l’uso di armamenti donati dall’Occidente contro obiettivi situati dentro la Russia mostra però un’aumentata tolleranza al rischio. Come suggerito da McGlynn, tale volontà potrebbe andare a coprire la graduale introduzione di una no-fly zone sul confine provvisorio di divisione durante il periodo di adesione.

Il prossimo alleato

Questa proposta si poggia fondamentalmente sulla fiducia verso l’intatto potere di deterrenza dell’articolo 5. Pur apparendo arrogante e brutale, Putin non ha mai lanciati grossi attacchi su territori coperti dall’articolo 5. Non senza ragione gli scettici direbbero che l’accesso dell’Ucraina alla NATO sarebbe l’evento scatenante di un suo cambio di opinione e quindi di una catastrofica escalation. Ma persino nell’autunno del 2022, quando le truppe russe fuggivano umiliate dalla rapida avanzata ucraina e venne riferito che Putin avrebbe considerato il ricorso alle armi nucleari, ebbene il capo del Cremlino non violò l’articolo 5. Poiché i russi hanno consolidato le loro posizioni a dispetto degli eroici sforzi ucraini e che Kiev otterrebbe la membership NATO soltanto rinunciando all’uso della forza e con restrizioni alle infrastrutture militare, non è irragionevole pensare che l’articolo 5 reggerà.

Alla fine, però, il tempo sta scadendo e sono rimaste solo poche opzioni. Se l’Ucraina non vuole proseguire da sola mentre l’assistenza USA si affievolisce e se non vuole dover implorare gli europei di tappare i buchi lasciati dalle discordie del Congresso e dai tagli del secondo mandato di Trump, allora sarà necessario prendere in considerazione tutte le alternative in modo da istituzionalizzare la sua sicurezza in ambito NATO. Norvegia e Germania Ovest mostrano come fare. Intraprendere questa via sarebbe altamente preferibile rispetto al continuo rimando dell’accesso finché Putin non avrà rinunciato alle sue ambizioni sull’Ucraina o finché la Russia non avrà compiuto uno sfondamento sul campo. Tale percorso porterebbe Kiev più vicina a una sicurezza duratura, alla libertà e alla prosperità, di contro all’isolamento della Russia, o in altre parole più vicina alla vittoria.

Redazione Strumenti Politici
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