La solidarietà all’Ucraina ha messo in crisi l’economia di diversi Paesi europei: parla il viceministro bulgaro dell’Agricoltura
La solidarietà al governo di Kiev sta avendo effetti collaterali molto pesanti sulle economie dei Paesi europei, in particolare di quelli confinanti con l’Ucraina. L’importazione di alimentari ucraini sgravati dai dazi ha ridotto in ginocchio interi settori dell’agroalimentare di Bulgaria, Polonia, Ungheria e Slovacchia.
Questi Paesi si sono quindi rivolti all’Unione Europea per risolvere la questione, ma si sono visti proporre compensazioni finanziarie utili solo a tamponare la ferita, senza però sanarla. Hanno così imposto divieti unilaterali che a loro volta violano i principi basilari del libero commercio europeo. Il quotidiano bulgaro Dnes ha intervistato a tal proposito il viceministro dell’Agricoltura Georgi Sabev, che ha esposto i punti critici della questione per Sofia e per le altre capitali dell’Europa orientale messe in crisi dai “corridoi di solidarietà”.
I “corridoi di solidarietà” non operano come semplici canali di transito, mentre l’import parallelo e liberalizzato dall’Ucraina sta inondando la periferia dell’Unione Europea e sta facendo crescere la pressione sui produttori locali. Siamo stati testimoni di anomalie di mercato senza precedenti. Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria, una dopo l’altra, hanno introdotto divieti unilaterali sulle importazioni dall’Ucraina. Fra i Paesi colpiti, solamente la Romania ha preferito non imporre limitazioni e attendere. La Bulgaria non ha gradito le misure di compensazione proposte dall’Eurocommissione. L’Europa deve essere solidale con l’Ucraina: al tempo stesso, però, deve esservi solidarietà anche all’interno dell’Unione verso gli agricoltori e i produttori, compresi quelli dei Paesi in prima linea. Il viceministro bulgaro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Georgi Sabev ha esposto i suoi commenti a proposito proprio alla vigilia dell’entrata in vigore dell’ennesimo embargo parziale decretato da Sofia alle importazioni dall’Ucraina.
– Ministro Sabev, come si è arrivati al punto in cui quattro Stati membri della UE hanno vietato le importazioni dall’Ucraina?
– L’Ucraina si trova in una condizione molto difficile. Sul suo territorio si stanno svolgendo operazioni belliche. Noi siamo solidali coi produttori ucraini e li aiutiamo. Usiamo due strumenti: i cosiddetti “corridoi di solidarietà” e il commercio liberalizzato (cioè l’annullamento dei dazi doganali e delle quote, secondo l’Accordo di associazione fra Ucraina e UE). Tuttavia, i Paesi della nostra regione hanno sofferto proprio a causa degli strumenti suddetti.
Già dallo scorso anno ci eravamo rivolti alla Commissione, ma adesso, mentre anche altri membri hanno subito effetti negativi, si è verificata un’unione spontanea, così noi, la Polonia, l’Ungheria, la Slovacchia e la Romania alla fine di marzo abbiamo scritto una lettera alla UE con la richiesta di limitare l’import dall’Ucraina. La Polonia non ha aspettato la decisione della Commissione e ha applicato un divieto unilaterale, e ad essa si sono accodate rapidamente Ungheria e Slovacchia. Una decisione analoga è stata presa dalla Bulgaria e la data di inizio è il 24 aprile. Noi riteniamo che l’Europa debba coordinare meglio le proprie azioni, affinché i prodotti importati non rimangano solo sui territori dei Paesi periferici.
Noi ci aspettiamo che anche altri Stati, tra cui quelli dell’Europa centrale e occidentale, della penisola iberica eccetera, intervengano e aiutino a diminuire la pressione sulla nostra area.
– Perché i corridoi di solidarietà si sono “rotti”? Che cosa si può fare affinché diventino effettivamente canali di transito?
– Sembra che non abbiano ragionato abbastanza sull’utilizzo dei corridoi. Essi non fungono da transito, perché la gran parte dei prodotti non raggiunge i mercati di destinazione e rimane nei Paesi adiacenti. Una delle misure discusse dai ministri dell’agricoltura di tali Paesi è l’accompagnamento delle merci dal punto di entrata nella UE fino all’arrivo al punto finale di destinazione, e la piombatura dei veicoli di trasporto.
Può esserci anche il tracciamento elettronico o l’accompagnamento degli organi amministrativi competenti. Ogni Paese deve fare una proposta su come implementare ciò sul proprio territorio. Viene anche valutata l’introduzione di tariffe di garanzia, di somme depositate, che dovranno essere pagate al momento dell’ingresso nello spazio UE e che verranno restituite all’uscita dal territorio dell’Unione.
– Ci sono chance che le proposte sul transito vengano approvate prima?
– Vedo interesse da parte della Commissione, con la quale vi è una comunicazione molto attiva. Noi, ovvero i Paesi più colpiti, speriamo che la UE e gli altri Paesi si riconoscano in noi, perché questo problema toccherà anche loro se non verrà trovata una soluzione.
– Se l’accordo sul grano non verrà prolungato dopo il 18 maggio, la Bulgaria potrà prendersi un carico grosso?
– Fino allo scorso anno l’Ucraina aveva un ruolo esclusivo nel programma alimentare dell’ONU per i Paesi più poveri e bisognosi, grazie al grano e alle merci ucraine che si esportavano tramite i porti del Mar Nero. Sussiste ancora il cosiddetto corridoio del Mar Nero, ma non è chiaro cosa accadrà dopo il 18 maggio quando scadrà il termine dell’accordo sulla sua esistenza.
Il carico del corridoio attraverso il nostro Paese non sarà un problema, se tale corridoio sarà effettivamente un canale di transito.
– Che cosa propone la Commissione per risolvere la situazione riguardo ai divieti unilaterali? Si tratta di qualcosa di accettabile per la Bulgaria?
– Secondo la visione dell’Eurocommissione, sulla quale però non vi è stata ancora una votazione, fino al 5 giugno 2023 sarà vietata l’importazione dall’Ucraina di quattro prodotti: mais, frumento, colza e semi di girasole. A noi preoccupa che in questa lista non siano stati inseriti i prodotti che sono sotto pesante pressione di importazione, quindi chiediamo l’allargamento dell’elenco. Insistiamo che venga aggiunto l’olio di girasole, i latticini come il latte in polvere, il latte fresco, il latte concentrato e pure il miele e i prodotti di apicoltura.
La Commissione ha proposto altri prodotti per il monitoraggio, con la possibilità di attivare un meccanismo analogo in maniera urgente, ma in tale elenco non vi sono i prodotti fondamentali per noi. A Bruxelles sono in corso trattative sul loro inserimento. Per adesso abbiamo solo una proposta verbale della UE sulla limitazione all’import dei quattro articoli suddetti. Il 25 aprile è prevista una sessione del Consiglio dell’agricoltura e della pesca in Lussemburgo, nella quale si discute tale istanza. Ci aspettiamo che segua una votazione.
– Una scadenza così breve, fino al 5 giugno, potrà avere effetto?
– L’attuale regolamentazione che liberalizza il commercio con l’Ucraina sarà valida fino a quella data. Bisogna comprendere ciò che accadrà dopo il 5 giugno, perché da lì inizierà una nuova campagna. Dalla fine dell’estate scorsa abbiamo condiviso le nostre analisi e le nostre preoccupazioni con Bruxelles. Abbiamo fatto notare le osservazioni sull’enorme crescita delle importazioni di girasole dall’Ucraina alla Bulgaria. Sono 30 volte in più in un solo anno: nel 2021 sono state importate 37mila tonnellate contro le 900mila del 2022.
– Quali altre anomali sono state individuate?
– Nel 2021 dall’Ucraina alla Bulgaria sono state importate 3mila tonnellate di olio di girasole, mentre nel 2022 sono state 243mila. Un aumento enorme. La situazione del miele è particolarmente preoccupante.
Nell’ambito dell’Accordo di associazione Ucraina-UE entrato in vigore nel 2016, proprio in quell’anno venne concordato che dall’Ucraina si potevano importare in UE senza dazi fino a 5mila tonnellate di miele, poi tale quantità è salita a 5,8 mila tonnellate, ma soltanto in Bulgaria l’anno scorso sono state importate quasi mille tonnellate: in altre parole, da noi è arrivato un quinto dell’intero import di miele ucraino nell’Unione Europea.
Si tratta di un’assoluta anomalia di mercato che provoca una grossa pressione sull’apicoltura bulgara. Ecco perché vogliamo che il miele venga aggiunto alla lista dei divieti. Anche per quanto riguarda i latticini, il latte in polvere e il latte concentrato, notiamo un’allarmante tendenza dall’inizio dell’anno, quindi continuiamo a insistere nell’allargamento dell’elenco.
– Gli aiuti promessi dalla UE sono proporzionati alle perdite subite dai settori dei vari Paesi e soprattutto dalla Bulgaria?
– Non sono per nulla proporzionati. Non sappiamo come la Commissione voglia distribuire i 100 milioni di euro promessi, se in parti uguali fra i vari Paesi oppure in base a una qualche formula, ma anche se ricevessimo l’intera somma (ed è impossibile) non sarebbe comunque abbastanza per compensare le perdite sofferte dai produttori.
– Quindi la Bulgaria non è propensa a togliere l’embargo?
– Per la Bulgaria è estremamente importante trovare una soluzione funzionante e non semplicemente farsi dare dei soldi. Il problema non è finanziario. Per la Bulgaria conta che quei volumi di import dall’Ucraina trovino sbocco o in altri Stati membri della UE o in Paesi terzi. Perciò noi esortiamo la Commissione a compensare per esempio le spese di trasporto dei produttori ucraini per l’export verso Paesi terzi.
Vogliamo trovare una soluzione che sia valida anche dopo il 5 giugno. Se non verrà presa una decisione unica per tutti, il problema peggiorerà e si accumulerà ancora più merce in perdita.
– Ma l’Eurocommissione ha stabilito delle condizioni per l’aiuto ai Paesi come la Bulgaria che hanno imposto i divieti e le ha rinfacciate. E allora che cosa è più probabile, un rapido annullamento delle limitazioni oppure delle nuove proteste?
– La UE ha annunciato di essere pronta a proporre garanzie se i Paesi membri rinunceranno alle proprie misure protettive nazionali. Ciò ha senso, ma secondo noi quei quattro prodotti sono troppo pochi. Anche gli altri Paesi vogliono allungare l’elenco con i prodotti che sono strategici per loro, in modo che sia un elenco rappresentativo. In sostanza, la stessa Commissione propone delle misure analoghe a quelle introdotte unilateralmente dai Paesi colpiti, cioè propone proprio come noi delle limitazioni all’import dall’Ucraina, dunque non vedo motivi di critica.
Per il business, mantenere il mercato è più importare dell’ottenere compensazioni finanziarie. Persino in tempo di pace l’aumento delle importazioni di qualsiasi coltura di alcune migliaia di punti percentuali non è un processo naturale, ma un’anomalia contro la quale bisogna combattere. L’aumento di 30 volte dell’import di girasole in Bulgaria corrisponde al 3000%. Se non verranno prese delle misure a livello europeo, la situazione rimmarrà così com’è. Ed è logico, a mio modo di vedere, attendersi delle proteste.
– La lotta fra i settori è già iniziata. Ad esempio, le aziende di trasformazione del girasole sono soddisfatte dell’aumento delle importazioni e non approvano l’embargo. Dall’altro lato, qualunque sia l’elenco di divieti stabilito dalla UE, alcuni settori risentiranno di perdite. Vi aspettate dei nuovi rischi?
– I rischi ci sono, perciò siamo coerenti rispetto alle nostre richieste di aggiungere più prodotti alla lista dei divieti. Gli articoli di cui parliamo non sono casuali: su di loro abbiamo dei dati statistici di un grave aumento dell’import. I problemi di un settore significano problemi per lo Stato, quindi cerchiamo una soluzione generale per il settore agricolo e per quello della lavorazione.
– La Slovacchia e l’Ungheria hanno recentemente lanciato l’allarme per la scoperta di pesticidi, OGM e sostanze tossiche nei prodotti ucraini. Vi sono stati casi simili in Bulgaria?
– Abbiamo informazioni sul fatto che vi sono stati problemo del genere, ma l’anno scorso c’erano più infestanti nei magazzini e probabilmente la causa erano le importazioni dall’Ucraina. Oggi stiamo conducendo verifiche sul grano importato. Per quanto riguarda ciò che consumano i bulgari sono tranquillo, ma per l’import lo diranno le analisi.
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