La politica del doppio legame

La politica del doppio legame

30 Giugno 2024 0

Dopo un precedente scritto su queste pagine (“Fantasmi si aggirano per l’EuropaFantasmi si aggirano per l’Europa”), vorrei riprendere la riflessione sui processi politici che in Europa sono in corso.

Oggi avrà luogo il primo turno delle elezioni per il rinnovo del Parlamento in Francia, decise anticipatamente da Macron dopo il risultato, clamorosamente negativo per lui, delle elezioni europee. L’attenzione dei media, o meglio quella a cui i media indirizzano, è tutta concentrata su una domanda: si riuscirà a porre argine all’ondata montante e apparentemente inarrestabile dell’estrema destra?

La domanda giusta da porsi

Poiché la domanda contiene un messaggio inequivocabile all’elettorato, bisogna però considerarla parte della contesa elettorale. I cittadini francesi, e attraverso loro tutti i cittadini europei, sono invitati a guardarsi da un pericolo, quindi il loro voto dev’essere tale da scongiurarlo.

Ma allora la domanda giusta che ci si dovrebbe porre è un’altra: perché una chiamata così netta, che distingue inevitabilmente, nell’ambito del diritto democratico alla libertà di voto, un voto che è a sostegno delle istituzioni democratiche e un voto che le mette in pericolo?

Che rapporto c’è tra i miei timori e quelli che sono indotti?

Si tratta di una domanda che può prescindere dagli orientamenti politici personali, nel senso in cui tradizionalmente li intendiamo. Molti, per storia personale e per una visione politica e valoriale consolidatasi nel tempo, potrebbero avere valide ragioni per condividere la preoccupazione che i media inducono, ma non dovrebbero trascurare il fatto che la inducano.

Dovrebbe quindi chiedersi: che rapporto c’è tra il mio timore e quello che viene fomentato? Hanno la stessa natura? C’è, tra me che sono un privato cittadino, senza particolare potere e alle prese coi normali problemi della vita, e un giornalista ben noto della carta stampata o della televisione, inserito quindi in un sistema comunicativo che a sua volta è notoriamente legato a certi potentati, e in ogni caso con un notevole potere nell’orientare l’opinione pubblica, una semplice convergenza di vedute?

Fa problema che il potere si trovi in sintonia con noi?

È naturalmente una domanda che non ci si pone volentieri.

Chi da sempre nutra in perfetta buona fede convinzioni connesse con certi valori umani nella loro portata più universale, e quindi sia preoccupato ogniqualvolta li veda posti in discussione – quando ad esempio veda chieste limitazioni all’accoglienza degli immigrati e via dicendo -, potrebbe avvertire con sollievo una sintonia da parte di chi ha un ruolo così importante nel guidare la coscienza collettiva, e non vedere nulla di problematico in ciò.

Potrebbe anzi pensare che le istanze di cui spontaneamente sente di doversi fare interprete sono così importanti che nessuna persona che abbia a cuore la dignità umana può sottrarvisi. E, siccome a ostacolare la piena realizzazione di tali istanze sa che non possono che essere strutture di potere che per loro natura tendono a limitarla, il fatto di avvertire piena convergenza con i portavoce dei poteri accreditati pare sorprendentemente scioglierlo da un ricorrente disagio.

Il sollievo di non sentirsi più controcorrente

Chi si è abituato a pensare di essere controcorrente rispetto alle strutture di potere vigenti, di fronte al fatto di sentirle in sintonia coi propri vissuti, può non sentirsi di mettere in discussione le proprie convinzioni. Molto più facile è pensare che questa volta il loro valore sia talmente indiscutibile che i poteri costituiti stessi non possano che convergere.

Forse, inconsciamente, ricava sollievo dal potersi sentire finalmente pienamente accolto, senza più dover sentire la fatica di essere controcorrente. Si tratta di un bisogno umanamente presente in tutti. Finirà dunque facilmente per pensare che il nemico questa volta è tanto indegno da meritare che tutti si uniscano contro di lui.

Sembra di dover fare ricorso a un particolare accanimento critico, sempre sospetto di complottismo, per dubitare di una situazione psicologicamente così rasserenante…

Il dubbio è troppo inquietante

Come si vede, veramente difficile è porsi la domanda che è davvero importante: perché mai, visto che in democrazia è qualificante la libertà di opinione, e in un contesto elettorale essa dovrebbe venire sancita nel modo più solenne, accade invece che da fonti autorevoli viene inequivocabilmente fatto intendere che una sola è la scelta giusta?

Difficile è che questa domanda emerga con chiarezza, perché ha implicazioni per cui l’idea stessa di democrazia potrebbe venire messa in dubbio. Il rischio è di dover pensare che la libertà, riconosciuta formalmente a ciascuno, nella realtà dei fatti sia per lo più condizionata dal volere e gli interessi di alcuni: che sia insomma una sorta di oligarchia mascherata.

Pericolosa la critica della democrazia

Nulla naturalmente di nuovo: la critica della democrazia è in Occidente antica quanto la democrazia stessa, lungo un arco di pensiero che va da Platone a Marx e oltre; senonché, dopo la sconfitta delle grandi alternative che nel Novecento vi si sono opposte, cioè i fascismi e il comunismo, è diventato ovvio che la si ritenga un valore insuperabile e soprattutto incontestabile.

Si può accettare di considerarla una condizione imperfetta sempre e ogni volta perfettibile, ma appare immediatamente pericoloso il pensiero che ci sia qualcosa di sbagliato o quanto meno equivoco nelle sue fondamenta. Tanto più che oggi un pensiero di tal genere è almeno implicito in tutta una critica che all’Occidente è rivolta da grandi contesti culturali che nel mondo si pongono in contrasto con esso.

Da essi viene quanto meno detto che si tratta di un concetto tutto occidentale, in quanto tale privo del valore universale che pretende di avere.

Ma cosa avviene quando la domanda decisiva è rimossa?

Ci sono quindi ragioni assai profonde per cui quella domanda difficilmente affiora. Il che però genera un rimosso nella coscienza collettiva.

In superficie, meglio pensare che la sorprendente sintonia nel contrastare un pericolo sia dovuta all’effettiva entità del pericolo stesso. In profondità, l’incongruenza non può però non essere avvertita.

E, poiché nella vita personale una rimozione ha indubbiamente conseguenze problematiche, non potrebbe accadere altrettanto anche in quella collettiva?

Il doppio legame nella comunicazione politica

Cerchiamo di capire bene.

Si chiede di compiere una certa scelta elettorale per difendere i valori democratici, al cui centro c’è indubitabilmente un’idea di libertà. Ma, poiché la comunicazione è nella forma di un comando, formulato da parte di poteri socialmente riconoscibili, la scelta non può essere davvero libera.

È una situazione che, nella psicologia sistemica, è descritta come doppio legame. Se si obbedisce, si sceglie ciò che è definito come libertà, ma, per il fatto stesso di obbedire, non si è liberi. Se si disobbedisce, si esercita con ciò stesso un atto di libertà, ma è un atto che non viene riconosciuto, in quanto definito come contrastante con quei valori universali a cui la libertà umana si collega.

Si aggiunga che è anche esplicito il messaggio che una tale scelta si fa complice di quei soggetti mondiali in competizione con l’Occidente, considerati portatori di una sostanziale negazione della libertà, oltre che della democrazia.

Una politica patologica

Non apparirà strana la precisazione che, nella psicologia sistemica, il doppio legame caratterizza una situazione patogena.

In qualunque modo agisca, chi vi è soggetto sbaglia.

Se disobbedisce, su di lui cade un discredito a cui gli sarà difficile sottrarsi, non potendo esercitare alcun controllo sul sistema valoriale vigente. Sarà inesorabilmente inchiodato al ruolo di nazionalista, razzista, portatore di una visione angusta, ispirata alla paura anziché alla fiducia, tendenzialmente asservito a poteri nemici.

Chi però obbedisce, avrà senz’altro ogni riconoscimento pubblico e in vario modo trarrà vantaggio dalla posizione assunta, ma questo fatto stesso lo porrà in una posizione molto delicata con quella coscienza a cui ha ritenuto di mantenersi fedele. Non gli sarà facile replicare all’accusa che dall’altra parte comprensibilmente gli verrà rivolta, di essersi cioè posto a difesa di un sistema di poteri costituiti; e sempre più finirà per identificarsi con quel ruolo, inibendo in sé quella creatività che era originariamente data dall’esercizio di una funzione critica – condannandosi così a un inevitabile declino.

Come uscirne?

È difficile prendere coscienza di esser posti in una situazione di questo tipo.

Affinché accada è richiesta una sorta di salto cognitivo, che conduca al di fuori degli schemi entro i quali il dilemma elettorale è posto.

Bisognerebbe davvero insistere sulla domanda: ma perché mai, se la democrazia si basa sulla libertà di scelta di coloro che dovranno rappresentarci, una sola è la scelta giusta?

In cosa si distingue allora la democrazia da altri sistemi che storicamente le si sono contrapposti e che nuovamente le si contrappongono, che oggi chiamiamo autocrazie, per intendere che il potere non è di tutti ma solo di qualcuno?

Ragioni per non volerne uscire

Una domanda inquietante, che mina le certezze su cui ci sembra di doverci fondare, senza offrire un’alternativa chiaramente identificabile.

Cosa offri in cambio?, chi insista nel porre la domanda si sentirebbe a sua volta chiedere. E, quand’anche a fondamento della democrazia ci fosse in ultimo una non completa verità, per cui la libertà del popolo è sempre in qualche misura condizionata dalla volontà di certe élite, non è forse invece vero che in altri sistemi essa non viene riconosciuta del tutto? E non sarà allora che, chi ponga la questione, diventa inevitabilmente un agente al loro servizio?

Difficile la via della libertà

Difficile, davvero, mantenersi saldi, e rispondere che una via di libertà autentica si apre solo quando si rinuncia alle facili rassicurazioni; con la fiducia che, usciti da un certo paradigma, in cui le alternative poste sono in fondo fasulle, le cose si mostreranno diversamente.

E può darsi che la libertà sia davvero una condizione innanzitutto spirituale, non nel senso di prescindere dai rapporti sociali, bensì in quello di saper uscire dalle false alternative che un sistema di potere, qualunque esso sia, ricorrentemente pone chi vi è soggetto.

Strategie del potere

Tornando alla questione attuale, in cui al corpo elettorale è chiesto di saper porre un argine al dilagare dell’estrema destra, razzista e sospetta di collusione col nemico, non è impossibile prevedere una situazione in cui, chiunque esca vincitore dal verdetto delle urne, rimarrà sotto controllo.

Nel caso che il risultato sia quello voluto, si celebrerà in pompa magna la capacità del popolo di essere rimasto fedele, nel momento della prova estrema, ai valori su cui si fonda la convivenza democratica. Nessuno andrà a vedere quanto ciò sia costato in termini di logoramento della credibilità della forze vincitrici rispetto a quella pancia del popolo verso cui già in partenza si era invitato a diffidare.

Nel malaugurato caso in cui fosse quest’ultima invece a prevalere, sui vincitori peserà un condizionamento che renderà il loro potere drasticamente limitato. Rappresentando per definizione quella che è la parte più spregevole della società, su cui anche per questo grava il sospetto di collusione col nemico, soprattutto sul tema della politica internazionale dovranno mostrare nel modo più inequivocabile la loro affidabilità.

Si sentiranno quindi in obbligo di essere, come si dice, più realisti del re: fungendo da baluardo contro ogni tentazione di cambiamento negli schieramenti internazionali. Qualora anche la minima incertezza dovesse farsi strada, non si esiterebbe a suscitare nella società la mobilitazione antifascista.

Il loro potere verrebbe sempre percepito come abusivo, perché in contrasto coi valori fondanti, quindi indegno di essere veramente esercitato, e perciò stesso più che mai sotto condizione.

Non avviene già così in Italia col governo Meloni?

Quel che è in gioco in Francia

Si aggiunga un’ultima circostanza, che non dovrebbe sfuggire. Germania e Italia sono in Europa le due sconfitte della Seconda Guerra Mondiale, per cui la loro politica estera non è da allora e non può tuttora essere del tutto autonoma. La Francia invece, in quanto vincitrice, è il fondamentale riferimento per una possibile autonomia europea dal predominio angloamericano.

Nelle elezioni in Francia molto dunque è in gioco…

Claudio Torrero
Claudio Torrero

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