Il Lend-Lease occidentale per l’Ucraina o della “guerra senza fine”

Il Lend-Lease occidentale per l’Ucraina o della “guerra senza fine”

24 Maggio 2022 0

Proponiamo il punto di vista del politologo russo Denis Baturin sul ruolo di diversi fattori presenti nel conflitto in Ucraina: l’invio di armi da parte dell’Occidente, le reali possibilità che tali forniture hanno di influire sulle sorti dello scontro e i possibili esiti di quest’ultimo. Un modo per conoscere anche l’opinione dell’altra parte di questo conflitto.

L’Occidente non ha voluto dialogare con la Russia a proposito delle garanzie di sicurezza, né su scala globale né nel contesto della crisi ucraina iniziata nel 2014. Gli accordi di Minsk sono ormai carta straccia e Washington ha rifiutato di concludere un’intesa sulle garanzie per la sicurezza della Russia. Dopo l’avvio dell’operazione speciale, nemmeno l’Occidente nel suo complesso ha voluto sedersi al tavolo delle trattative, e ora cerca di infliggere una sconfitta militare alla Russia usando sia armamenti e mercenari propri sia le braccia e le vite degli ucraini. Le sanzioni e le battaglie ibride nell’economia, nelle tecnologie e nello spazio dell’informazione sono direttrici importanti, ma quello che succederà in questi ambiti tra Occidente e Russia verrà determinato solamente dall’esito dell’operazione speciale e dal raggiungimento dei suoi obiettivi.

Il comunicato pubblicato sul sito del governo britannico, al termine dell’ultimo colloquio effettuato dal premier Boris Johnson e dal presidente Volodymyr Zelensky, riferisce quanto segue: I due leader hanno discusso del modo in cui si sono evoluti gli eventi sul campo di battaglia e delle esigenze delle Forze armate ucraine. In particolare hanno parlato della questione della fornitura di armi di gittata maggiore, finalizzata a evitare cannoneggiamenti sulla popolazione civile. Non viene però specificato di quali armamenti possa trattarsi esattamente – ma non sarebbe comunque necessario: è chiaro che si tratta di armamenti pesanti. C’è una bella differenza tra l’inviare i Javelin e il dare obici, lanciarazzi multipli e complessi missilistici antiaerei, perché ciò non consisterebbe più nel fornire mezzi difensivi, ma diventerebbe la possibilità concreta di mettere sotto tiro sia i territori ucraini liberati che i centri abitati della Federazione Russa, nonché le infrastrutture russe. Dunque a Kiev gli “armamenti a gittata maggiore” non servono assolutamente “all’evitare i cannoneggiamenti della popolazione civile”. Il progetto di legge americano del Lend-Lease Act è stato approvato dal Congresso il 29 aprile, ma era stato presentato alla Camera dei Rappresentanti già il 19 gennaio, vuol dire prima dell’inizio dell’operazione speciale: gli Stati Uniti, dunque, intendevano inviare armamenti mediante una “schema semplificato” (ossia in maniera intensiva) all’Ucraina senza una ragione obiettiva, ma soltanto per riempire preventivamente di armi il Paese e far sì che la provocazione di un’Ucraina sempre più militarizzata diventasse una potenziale minaccia per il Donbass, e poi magari anche per la Crimea. Sullo sfondo di uno Stato che si andava caricando di armi, le innumerevoli “strategie di restituzione/de-occupazione” del Donbass e della Crimea possono essere viste oggi come un programma di preparazione dei cittadini ucraini e della comunità internazionale alla via militare per la ripresa dei territori persi. Ad esse si sono aggiunte e vanno aggiungendosi le leggi “sui collaborazionisti” e altre norme di carattere lustrista. Tutto questo cumulo di documenti non è più conforme all’attuale situazione, in cui le Repubbliche del Donbass espandono i propri confini fino a corrispondere all’ampiezza delle rispettive oblast’, mentre è stata liberata la oblast’ di Cherson nella quale avevano attuato il piano di blocco marittimo della Crimea e dove si concentravano delle forze in grado di minacciare la penisola.

Una delle risorse chiave dell’esercito ucraino è quella professionale e quantitativa. Ma dare armi a chi non sa usarle in maniera efficace non ha senso: non possono essere i mercenari a risolvere la questione, né grazie alla loro qualità e nemmeno grazie al loro numero, senza considerare poi quanto si trovano male in Ucraina: tali “cani da guerra”, infatti, devono combattere contro un esercito vero e le azioni vengono condotte non solo coi fucili, ma pure con armamenti pesanti. Per utilizzare gli armamenti stranieri bisognerebbe pagare specialisti come cannonieri, artiglieri di antiaerea, carristi e operatori di droni oppure servirebbe l’addestramento, ma ci vogliono anche gli uomini da addestrare. Sarebbe un procedimento relativamente lungo insegnare agli ucraini precettati e impreparati. Talvolta è persino inutile, come ad esempio nel caso del complesso C-300, dei semoventi antiaerei Gepard o dei carri Leopard, per non dire poi dei caccia F-16, il cui pilotaggio non è né semplice né rapido da acquisire persino per un pilota militare professionista (ed è ancora più difficile saperlo portare in combattimento!). Il problema si può risolvere mandando in Ucraina militari di carriera di Paesi NATO sotto le mentite spoglie di volontari o magari rendendo legale la loro posizione concedendo loro la cittadinanza ucraina. Resta però aperta la questione della quantità di combattenti professionisti da opporre all’esercito russo.

Vi è ancora un altro elemento di interesse: gli americani si aggrappano alla chance più unica che rara di indebolire la potenza della Russia usando forze altrui. Qualche tempo fa era uscita un’informazione secondo cui gli USA avrebbero trasmesso a Kiev i dati di ricognizione che hanno poi portato alla morte di ufficiali russi. Gli americani hanno negato tale ipotesi piuttosto in fretta: Gli Stati Uniti non passano all’Ucraina dati di ricognizione riguardanti la posizione sul campo di alti ufficiali russi, ha dichiarato il Pentagono, che però ha anche ammesso di comunicare dati agli ucraini, ma senza partecipare alla selezione degli obiettivi da colpire. È un’affermazione curiosa: “non passiamo i dati… ma li trasmettiamo”. La prima conclusione che si può trarre da questa faccenda proviene dall’esperto Dmitry EvstafevDietro a queste mezze verità stanno circostanze reali, c’è l’effettiva interazione fra USA e Stato Maggiore dell’Ucraina che viene legalizzata un poco per volta. È la stessa maniera in cui gli americani scivolarono nella guerra del Vietnam, cioè tramite reparti comando nello Stato Maggiore, nelle direzioni operative, con consiglieri a livello di grosse formazioni, di brigate e di battaglioni. Invece la seconda conclusione è: in questo suo segmento di partecipazione alla crisi ucraina, Washington sta cercando di creare più danni possibile all’élite militare russa. Si tratta di un’intenzione chiara, e della quale si è certamente preso nota. Uno degli obiettivi principali dell’invio di armi è la direttrice di Odessa, l’unico porto di rilievo e l’unico sbocco sul mare rimasto a Kiev, nel quale i militari occidentali vogliono installare una potente formazione antiaerea e antinave per contrastare la Flotta russa del Mar Nero e per minacciare direttamente la Crimea con sistemi missilistici della portata di 300-500 chilometri.

Su come fermare le forniture di armamenti sono stati condotti moltissimi dibattiti e ne vengono organizzati ancora, sia in televisione che in rete, e ai militari sono state fatte non meno domande di quanti consigli siano stati rifilati. Ma non è il caso di occuparsene qui. Proviamo invece a interpretare le azioni dei militari. Il metodo più efficace è distruggere le armi nei punti di raccolta. Non è da escludere l’intenzione di attendere la massima accumulazione nel luogo in cui si saprà con certezza che verranno inviate: ad esempio la concentrazione che si trova a Dnipro (Dnepropetrovsk) suggerisce quali siano le esigenze delle formazioni per l’area di Donetsk. Lasciamo dunque che gli armamenti vengano accumulati, per poi poterli distruggere meglio. Un ennesimo avvertimento è caduto proprio su uno dei ponti di Dnipro, ma se nemmeno questo sarà ascoltato, l’Ucraina potrebbe restare senza ponti sul fiume Dnepr, il confine naturale che divide il Paese e le città principali fra riva destra e riva sinistra, cioè la già citata Dnipro, poi Kiev e Zaporižžja. Con riferimento alla questione della conduzione dell’operazione speciale abbiamo le nostre risposte. L’aver lasciato che lo spazio dell’informazione si bruciasse completamente, permettendo ai propagandisti di oltrepassare ogni misura, l’aver consumato i mezzi di mobilitazione e quelli dell’economia, permettendo che l’Europa svuotasse le sue rimanenze belliche in condizioni di deficit di risorse energetiche e di crisi politica: sono questi i timori che in maniera più o meno volontaria ha espresso il generale americano in congedo Michael Repass, già capo del Comando delle operazioni speciali USA in Europa e che negli ultimi sei anni è stato consulente dell’esercito ucraino, come da contratto col governo degli Stati Uniti. Il generale Repass ha dichiarato che le spedizioni di armi per le Forze armate ucraine non sono sufficienti a impedire la vittoria della Russia. Ma le parole più interessanti della sua intervista sono queste: Si stanno delineando tre scenari evidenti: la Russia ottiene la vittoria militare; l’Ucraina ottiene la vittoria militare; si arriva a un nulla di fatto. Due dei tre scenari implicano una vittoria russa. In caso di parità, la Russia potrà semplicemente proclamare di aver vinto di fatto in determinate zone e continuerà ad occupare il territorio ucraino a tempo indeterminato. Per la Russia non sarebbe una vittoria piena, ma controllerebbe una porzione significativa di territorio. 

Della vittoria di Kiev il generale non sembra particolarmente convinto, quindi ritiene che “la comunità internazionale deve rafforzare considerevolmente il sostegno all’Ucraina”. Ma è difficile, ci sono diversi fattori, come ad esempio le condizioni del complesso militare-industriale dell’Occidente: le aziende del settore della difesa di vari Paesi sono affette da ritardi nelle consegne legati alla pandemia, da limitazioni della catena di distribuzione e della forza lavoro, con la conseguenza di una minore capacità produttiva, che alla fine non consente loro di soddisfare una richiesta improvvisamente aumentata. Nel frattempo le riserve di armi nei Paesi fornitori si esauriscono: gli americani, ad esempio, dicono di aver spedito già un terzo dei propri Javelin, così che gli europei passano a Kiev le apparecchiature sovietiche giacenti nei loro arsenali. Sembra si sia finalmente capito che il complesso militare-industriale occidentale non è in grado di rimpiazzare in tempi brevi gli armamenti più moderni dati all’Ucraina. Su questo sfondo, le ambizioni dell’Occidente di prolungare il conflitto impongono la domanda: ma chi è veramente disposto a una guerra senza fine? Sull’Ucraina pende la minaccia di un’ulteriore disintegrazione territoriale, di una distruzione totale dell’economia, della migrazione della popolazione sia internamente al Paese sia con il proseguimento delle dinamiche migratorie, e infine di una profonda crisi politica che avverrà quando si capirà che Kiev non può vincere la guerra.

In Europa, sotto la pressione delle contro-sanzioni russe e il riorientamento definitivo della Russia verso i consumatori di energia asiatici, è altamente probabile uno scenario negativo per l’economia: Finché tutta l’attenzione dei politici europei è riservata alla guerra in Ucraina, alla fornitura di armi e di soldi a Kiev, il sistema finanziario dell’Unione Europea finirà in un precipizio. La restituzione del debito greco è aumentata in un anno di 6 volte e mezzo: il rendimento dei bond ha passato la barra del 3,4% con un’inflazione nel Paese all’8,9%. (…) Se un decennio fa l’Unione Europea era finanziariamente forte e relativamente coesa, oggi le possibilità di placare la crisi debitoria montante sono nulle. Il default della Grecia sarà la prima tessera di un domino che si tirerà dietro una catena di default, nella quale i successivi Paesi saranno Spagna e Portogallo. E se crolla l’Italia vi saranno grossi guai pure per la Francia. La crisi debitoria sposterà rapidamente l’attenzione dei politici dall’Ucraina alle problematiche interneLa mia ipotesi è che la crisi ucraina, così come per la Crimea, finirà in una nuova normalità. Nel mondo vi sarà presto una riorganizzazione: una nuova concezioni di valori come la sicurezza, che era stata fondamentale dopo la vittoria sulla Germania nazista e che è stata svuotata di significato dalle manipolazioni politiche e dall’applicazione della “teoria del caos”, nonché dalla retorica sulla sicurezza collettiva. Stavolta non riusciranno a far pagare alla Russia il prezzo della sicurezza collettiva, e prima l’Occidente lo capirà, più velocemente inizierà la stabilizzazione delle relazioni internazionali e la creazione di un nuovo ordine mondiale.

Redazione Strumenti Politici
Redazione Strumenti Politici

Iscriviti alla newsletter di StrumentiPolitici