Il dialogo politico libico a Ginevra, un’occasione mancata

Il dialogo politico libico a Ginevra, un’occasione mancata

2 Luglio 2021 0

A Chavannes-des-Bogis, a pochi chilometri dalla capitale svizzera, l’atmosfera non è stata delle migliori. Settantaquattro membri scelti dalla Missione di Sostegno delle Nazioni Unite (UNSMIL), provenienti da tutta la Libia e di ogni estrazione sociale, sono stati chiamati da lunedì scorso a decidere sulle basi costituzionali e il meccanismo per le elezioni, precedentemente programmate per il 24 dicembre 2021, giorno in cui la Libia celebra l’anniversario della sua Indipendenza. Il Libyan Political Dialogue Forum avrebbe dovuto concludersi giovedì, ma la Missione ONU ha ottenuto un giorno in più per cercare di giungere ad una conclusione positiva. Ma non è stato così.

Non siamo riusciti a raggiungere un accordo sulla norma costituzionale, e questo non è di buon auspicio”. Ha annunciato ieri sera, venerdì, il vicesegretario generale e coordinatore della Missione di Sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), Rizdon Zeninga. “Il sipario si cala oggi e vi invitiamo a continuare il dialogo tra voi per raggiungere un compromesso tra tutte le parti, e continueremo a lavorare con il Comitato di Riconciliazione per preparare alcune opzioni per costruire un terreno comune che il forum discuterà di nuovo”. Ha proseguito Zeninga, anticipando che i membri del LPDF torneranno in Libia e da lì continueranno a lavorare su questo dossier.

Nulla di fatto, dunque, nonostante gli appelli della Comunità internazionale che ha fatto pressioni nelle ore precedenti affinché i partecipanti al LPDF raggiungessero un accordo sulla base costituzionale. “Lasciare Ginevra senza un meccanismo per le elezioni non è una opzione” aveva avvertito invano il capo di UNSMIL Jan Kubis in apertura della terza giornata di incontri, ma è successo proprio così. Sull’incontro, meno incisivo rispetto ai precedenti condotti dall’ex inviata Stephanie Williams, ha pesato anche il coronavirus. Dopo che Kubis non ha potuto presenziare, un membro dello staff della Missione ONU ed uno dei partecipanti al Dialogo, Hussain Al-Ansari, sono risultati positivi al covid.

Decine di delegati, mercoledì, hanno condannato gli appelli a posticipare la data delle elezioni, utilizzando il pretesto di indire un referendum costituzionale prima di elezioni nazionali. Alcuni hanno anche ipotizzato, in una missiva indirizzata alle Nazioni Unite che il nuovo governo ad interim di Abdel Hamid al Dabaiba voglia mantenere il potere, puntando il dito contro gli islamisti, gli autori del sabotaggio al momento elettorale. I messaggi giunti in queste ore dalla Libia hanno fatto sembrare che il desiderio dei libici di scegliere i propri rappresentanti stesse vacillando. Tra leader di gruppi armati e il Consiglio dei Notabili di Misurata che hanno rilasciato un susseguirsi di comunicati di condanna e rigetto per la base costituzionale in discussione a Ginevra, rigettando la possibilità per i leader militari di candidarsi e l’istituzione di qualsiasi organo di Governo fuori dalla capitale Tripoli.

I membri si sono divisi in tre gruppi: il primo, favorevole a tenere elezioni in tempo secondo quanto indicato nella road map; il secondo, che includerebbe i sostenitori del feldmaresciallo Khalifa Haftar, che hanno chiesto elezioni che consentano la sua corsa al ruolo di presidente; ed il terzo, rappresentato dai sostenitori del Governo provvisorio di unità nazionale, della Camera dei Rappresentanti e dell’Alto Consiglio di Stato, la cui tendenza è quella di rinviare il voto e mantenere lo status quo, con il pretesto o la credenza, che l’attuale esecutivo debba risolvere questioni prioritarie prima che i libici scelgano direttamente i propri rappresentanti.

Una minoranza che controlla il processo decisionale e le risorse in Libia

Una rappresentante del Forum di dialogo politico, Saida Al-Yaqoubi, ha accusato una minoranza anonima dei membri del Forum di dialogo di presentare proposte volte a cancellare le elezioni e garantire la sopravvivenza del “partito di fatto“, considerando che tenere le elezioni nella data prevista per il 24 dicembre rappresenti un “incubo” per una elite che continua a mettere i propri interessi personali di fronte al bene del Paese, per gli usurpatori del potere e per i partiti importati dall’estero che controllano il processo decisionale e le fonti di finanziamento della Libia. Al Yaqoubi ha invitato UNSMIL a “rimettere il treno sui binari, fermare questa assurdità e non discutere le proposte lasciate dai partiti che beneficiano della continuazione dello status quo dentro e fuori il Forum di Dialogo“.  Ha avvertito inoltre che la missione ha quattro linee rosse che non devono essere superate o ignorate: la volontà dei libici, la road-map, la regola costituzionale e le risoluzioni 2570 e 2571 del Consiglio di Sicurezza ONU.  “La road map è una regola da cui non si può prescindere, non importa quante firme si raccolgono nei corridoi e nelle stanze, e non importa quanto si eluda il voto e l’adozione della legge costituzionale. Le elezioni saranno la soluzione inevitabile”.

Un buon risultato considerate le opzioni sul tavolo

Un’altra donna che ha preso parte al dialogo, Elham Saudi, ha affermato che secondo lei invece il forum si è concluso venerdì, con un buon risultato, considerate le opzioni sul tavolo. “Questo round è stato revocato, e questo non è il risultato che alcuni di noi avevano sperato, ma è il risultato migliore che si potesse ottenere dopo aver preso in considerazione le opzioni che erano sul tavolo e l’incapacità della leadership della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia di mantenere i colloqui sulla buona strada”. Ha commentato Saudi attraverso i social networks.

C’è chi punta il dito contro Misurata

Dal 2011, non c’è una città che non sia stata abbandonata o una tribù che non sia stata distrutta. Non vi è città dove non abbiamo visto massacri, diritti violati, una capitale occupata, una patria consegnata in dono ai suoi occupanti, dove non abbiamo visto sostenere i terroristi, ma abbiamo trovato Misurata dietro tutte queste disgrazie, i suoi giovani, uomini d’affari e le armi delle sue milizie”. Ha affermato l’attivista Mohammed Keshout, aggiungendo che “la città è stata afflitta dall’arroganza” ed avvertendo che “pagherà un prezzo molto difficile se non si salva e torna alla razionalità…prima che sia troppo tardi”. In molti credono che Misurata abbia perso un’altra chance per allinearsi al desiderio di tutto il resto dei libici, andare alle elezioni il 24 dicembre 2021. È per questo che l’attuale esecutivo, il cui Primo Ministro è originario di Misurata, è stato ben accolto, oltre che per la consapevolezza che peggio di chi l’ha preceduto, non avrebbe potuto fare. 

Il principale scoglio: la mancanza di fiducia tra i libici

La mancanza di fiducia tra i libici è ciò che emerge maggiormente da questa sessione di dialogo, l’impossibilità a dimenticare il passato senza compensazioni e giustizia, e le paure per il futuro. La Libia nel 2011 ha subito uno shock da cui fatica a riprendersi. Le elezioni presidenziali sono – secondo un candidato al ruolo di Primo Ministro, che ha preferito parlare in condizione di anonimato – il principale punto interrogativo che non ha permesso ai membri del LPDF di raggiungere un accordo comune. In questi giorni, in Libia, tra i nomi dei probabili candidati presidenziali sono spuntati quello di Saif al-Islam Gheddafi, Fathi Bashagha e Khalifa Haftar. Sono loro, che avendo maggior sostegno, o così almeno sembrerebbe sui media, a spaventare di più. Ma indipendentemente dai nomi, la Libia teme lo spettro della dittatura, della vendetta, dei poteri incentrati nelle mani di un unico uomo, più del rischio di un conflitto considerato che non si è mai concluso. I libici non vorrebbero mai ritrovarsi nella situazione che li ha condotti fino a qui. Per questo, secondo lo stesso candidato, sarebbe opportuno che il ruolo del presidente venisse condiviso da tre persone, uno per ciascuna regione della Libia. La maggior condivisione del potere consentirebbe di non incorrere nel rischio di dividere il Paese, qualora uno dei candidati considerato “forte” non dovesse accettare il risultato del voto. “La Libia ha più bisogno di un Parlamento valido, più che di un presidente forte.” Sostiene, proponendo una soluzione simile a quella applicata in Serbia nel 1995. 

Un’occasione mancata

La conclusione del LPDF senza una base legale e un meccanismo per elezioni risulta essere un’occasione mancata per i libici. Trovare un accordo significava allontanare lo spettro del conflitto, per cui ancora si contano i morti, ma soprattutto avrebbe riflesso la volontà e l’aspirazione dei libici ad una maggiore unità. Secondo quanto emerso dai risultati pubblicati da USAID, l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale degli Stati Uniti, dei 15755 sondaggi condotti dal 20 aprile al 5 maggio 2021, per tracciare i cambiamenti nell’atteggiamento dei libici nei confronti degli sviluppi sociali e politici, 3/4 dei libici (il 74%) sono favorevoli alle elezioni in dicembre. Il 58% credono che andranno al voto secondo le date stabilite senza sostanziali differenze regionali, la grande maggioranza (il 71%) ritiene che le elezioni avranno successo, mentre solo il 16% crede che non potrà votare per via di ragioni logistiche come la mancanza di documenti o numeri nazionali. Le altre motivazioni fornite dagli intervistati sono state la percezione della corruzione dell’attuale classe politica, la mancanza di interesse, e i dubbi sulla trasparenza del processo elettorale. Le principali preoccupazioni tra i libici, invece, restano le solite: la corruzione degli ufficiali di Governo, il COVID-19 e l’interferenza straniera.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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