I funerali in Iran e le scelte politiche estere del giorno dopo
Il corpo del presidente iraniano Ebrahim Raisi è stato trasportato, giovedì, nella sua ultima dimora, vicino al santuario dell’Imam Reza, all’interno della moschea Razavi nella città di Mashhad.
Ai funerali che sono andati avanti da più di due giorni, hanno partecipato milioni di iraniani, oltre ad espatriati provenienti da diversi Paesi. Un certo numero di iraniani si è diretto tramite treni e altri mezzi di trasporto da Teheran e da altre aree alla città di Mashhad per partecipare all’evento.
Ciò che colpisce è il loro numero impressionante. A Mashhad, piccola cittadina di circa 200.000 abitanti il fiume di persone ha superato i due milioni e lo stesso dicasi per il primo giorno a Tehran, e secondo le stime, era ancora più alto. Da aggiungere che la commemorazione si è svolta in una lunga carovana umana con a capo i feretri dei deceduti partendo dalla Capitale, passando per Qom (Città Santa) per poi finire a Mashhad Città natale del Presidente, durata tre giorni, e per una distanza di circa 625 Km.
Lungo il percorso, si è stimato che altri milioni di persone ci sono state per accoglierli con la preghiera e slogan di soidarietà e per dare l’ultimo saluto. Qualcuno ha commentato che episodio simile si è visto, soltanto, nei funerali della commemorazione del fondatore della Repubblica Islamica dell’Iran l’Imam Khomeini e del leggendario generale Soleimani ucciso nel 2020 a Baghdad per ordine del presidente Donald Trump. Oltre alle bandiere tipiche del lutto ha colpito la presenza di una in particolare, quella della Palestina. Sventolava portata da molti partecipanti in tutte le città e lungo tutto il percorso.
D’altro canto colpisce anche un sotto titolo di uno dei canali tematici sui News della TV pubblica italiana, che commentava l’evento della commemorazione di ieri scrivendo: “migliaia di partecipanti in Piazza”. Dico questo perché non si tratta di una percezione bensì di matematica, senza opinione.
Agli occhi di alcuni esperti questa simpatia popolare costituisce un nuovo referendum sul sistema politico iraniano e sulle azioni politiche intraprese dal Presidente Raisi e del suo Ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, anche lui morto nell’incidente.
In questo momento di tristezza per le strade iraniane colpisce la partecipazione di più di 60 delegazioni straniere di alto rango di funzionari governativi, e ne cito alcuni: Egitto, Bahrein Kuwait, Arabia Saudita, anche il presidente tunisino, il Presidente del Venezuela, oltre alla Russia, Cina e tanti delegati dei paesi limitrofi nella regione. Voci parlano della volontà di partecipare da parte di Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vice presidente della commissione ma su richiesta dagli USA non l’ha fatto, notizia riferita da un giornalista locale.
Questa partecipazione colorita afferma che l’elenco dei dignitari stranieri presenti al funerale del Presidente Raisi è considerato una testimonianza del successo degli sforzi compiuti dall’Iran per allentare le sanzioni americane e ricucire le relazioni con i suoi vicini dando un chiaro messaggio su ciò che l’Iran ha raggiunto in risposta alla politica di isolamento e sanzioni imposta dagli USA da circa 45 anni.
Agli scommettitori esteri sul cambio di politica estera iraniana, l’Iran risponde con la riunione delle fazioni alleate (Yemen, Iraq, Libano, Siria e Palestina ed altri) che costituiscono l’asse della resistenza, alla presenza del comandante della Guardia rivoluzionaria, e di Hanyieh il capo politico di Hamas, lanciando un chiaro messaggio del loro amore ai palestinesi, i quali non rimarranno da soli nell’affrontare gli americani e la guerra di annientamento israeliana a Gaza. Posizione ribadita dal nuovo ministro degli Esteri iraniano ai loro Leaders per confermare il suo continuo sostegno a Gaza di fronte all’aggressione atroce di Netaneyahu e del suo esercito.
L’altro messaggio è nel rivolgersi agli altri popoli della Regione sostenendo future azioni diplomatiche ed economiche per cancella le barriere tra i popoli, superando il discorso di conflitti tra sciiti e sunniti creati ad arte dagli Usa ed Israele per un maggiore isolamento di quest’ultima. Insistendo sull’affermazione di un semplice principio che è la maggioranza dei popoli a decidere la sorte della Regione e non il contrario e di non lasciare gli estranei ad approfittarne.
Come ultimo fanno riflettere le parole dell’attuale Guida Suprema dell’Iran Ali Khamenei durante la commemorazione su un tema centrale riguardante il conflitto attuale. L’uso delle parole : “cancellazione dell’entità sionista” è una espressione usata dall’Iran e dai suoi alleati che nulla ha a che vedere con “la distruzione di Israele” come viene usato da alcuni da questa parte spesso in malafede. Sarebbe opportuno approfondire questo tema per capire i margini per la Diplomazia che intende adoperarsi per una pace possibile e futura nella Regione. Se si tratta veramente della distruzione di Israele oppure, cosa molto più credibile, di inserire delle varianti nel progetto per la creazione dello stato ebraico attuale, oggi anacronista nelle sue discriminazioni e che costitutisce fonte di ingiustizie e conseguenti violenze. È da ricordare che questo progetto è nato circa 150 anni fa in tempi oscuri rispetto alle Democrazie di oggi.
Da osservatore neutrale mi preme mettere in evidenza le parole del Ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian verso la fine del suo ultimo intervento all’ONU: “che il destino della Palestina lo decidono le vari popolazioni in Palestina a seguito di un referendum”. Queste parole che meritano un approfondimento, e nessuno per ora, ne ha fatto cenno e seguito.
Insisto su questo perché molti cittadini non vogliono credere che il principio dell’industria della diplomazia e della pace rende molto meno rispetto a quella della guerra con le sue mostruosità ed ingiustizie. L’Italia con il suo attuale corpo diplomatico e per il suo ruolo geopolitico storico potrebbe marcare la differenza per ribaltare la situazione e contribuire a far approdare i popoli della Regione alla pace.
Cittadino torinese di adozione originario dal Libano naturalizzato italiano a metà anni novanta del secolo scorso.
Nato e cresciuto durante la guerra in Libano nella zona di maggioranza cristiana ha vissuto alcuni periodi bui dei conflitti tra queste la guerra di invasione del Libano da parte dell’esercito Israeliano con al Comando Ariel Sharon.
Approdato a Torino nel 1984 a seguito dell’arrivo delle forze multinazionali in Libano in una missione di Peace Keeping per studiare al Politecnico di Torino, dove si è laureato con Lode ed aveva ultimato sui studi superiori come specialista di sviluppo nelle aree urbane dei paesi invia di sviluppo per poi finire con l’ottenimento del titolo di dottore di ricerca. Inoltre aveva partecipato ai i lavori del workshop sullo Sviluppo presso il MIT di Boston nel 1992.
Durante il periodo degli studi superiori aveva svolto attività di didattica e ricerca per alcuni anni nell’Ateneo torinese.
Inoltre aveva partecipato a diversi eventi, dibattiti e conferenze sui conflitti in Medio Oriente sia come organizzatore in qualità di Portavoce dell’Unione Araba di Torino durante il periodo della guerra al terrorismo dichiarata da Bush Jr. sia come scrittore freelance scrivendo articoli ed intervistando alcuni personaggi di spicco in quell’area con lo scopo di illustrare ed esporre le ragioni degli uni e degli altri allo scopo di avvinare le distanze per una possibile pacificazione e sviluppo.
Nella sua città adottiva Torino si è adoperato al servizio della Comunità cittadina nel segno della legalità e dell’integrazione tramite diverse iniziative condotte in prima persona ed con il mondo associativo e di alcuni comitati cittadini ed in stretta collaborazione con le istituzioni cittadine.