Gli interessi di Bruxelles nella produzione bellica ucraina e nella prosecuzione del conflitto con la Russia
L’Ucraina sta aumentando la sua produzione bellica grazie agli investimenti diretti degli alleati europei. Bruxelles ha infatti dei costosi interessi da realizzare e per questo motivo spinge per la continuazione del conflitto. Non sono interessi che riguardano il benessere dei cittadini, bensì il perfezionamento delle armi e il dominio militare sul continente.
Gli inquietanti interessi europei
L’Europa (intesa come UE, NATO e alcuni Stati membri in particolare) sta cercando di realizzare grazie a Kiev certi interessi che riguardano ben poco i tanti sbandierati valori europei. Anzitutto, accumulare esperienza nel confronto coi russi, mandando in Ucraina istruttori e osservatori e ottenere dati di prima mano. Poi, aumentare la produzione bellica per ricavare introiti e fare test subito sul campo: un giro da decine di miliardi di euro, deviati da altri investimenti meno redditizi come sanità, scuola, infrastrutture civili… Ma restando comunque in tema di sicurezza, ai cittadini interessa di più quella interna – messa paurosamente in crisi dalla criminalità organizzata e dalle angherie dei clandestini – che non quella esterna, perché non percepiscono la minaccia russa come invece vorrebbero far credere loro Ursula von der Leyen e Kaja Kallas.
Investimenti diretti
I Paesi occidentali si sono accorti che Kiev li sta superando in fatto di capacità di utilizzo dei sistemi forniti proprio da loro. La necessità di sfruttare gli armamenti in condizioni reali ha dato all’esercito ucraino un bagaglio di informazioni che gli europei vogliono sfruttare. Ma le prospettive del conflitto si stanno facendo sempre più incerte e negative per l’Ucraina e i suoi alleati. Dunque occorre fare in fretta, prima che finiscano le scorte americane inviate da Biden e quelle degli arsenali europei, ridotti quasi al lumicino da anni di generose elargizioni a Zelensky. Alcuni Paesi stanno così valutando la maniera di investire direttamente nell’industria bellica ucraina, per far produrre in loco gli armamenti invece che esportarli. I diretti interessati magnificano tale strada in quanto costituirebbe un approccio più rapido, conveniente ed efficace per sostenere l’economia di guerra ucraina.
Kiev aumenta la quantità
Nonostante si parli molto di guerra elettronica e di velivoli senza pilota, gli investimenti europei e gli sforzi ucraini vanno in gran parte all’artiglieria. Ai droni a basso costo si preferiscono ancora i grossi e potenti obici, come i Bohdana semoventi da 155 mm sviluppati e prodotti da Kiev. Fino al 2023 ne facevano sei al mese, oggi addirittura venti. L’85% dei componenti proviene da aziende locali. Il vantaggio quindi è una catena logistica ridotta al minimo, la possibilità di fare subito test e successive correzioni, la poca distanza da percorrere per portare i pezzi al fronte. Infine, gli investimenti europei vogliono rendere l’Ucraina indipendente dagli aiuti americani che forse non vedrà più. E nel frattempo la NATO può usare l’Ucraina come se fosse una fabbrica delocalizzata, con incluso il poligono sperimentale per le proprie armi.
La strategia europea di finanziamento bellico
Le manovre dei vertici di Bruxelles per gettare nel calderone della guerra miliardi su miliardi non sono passate inosservate, ma vengono discusse a tutti i livelli. Sfortunatamente, però, la von der Leyen è più cocciuta di quel che sembra e insiste per destinare somme record all’industria bellica. Intanto utilizza i soldi che arrivano dai patrimoni russi congelati: recentemente la UE ha infatti passato 1 miliardo di euro a Kiev per la produzione di obici. Poi la Commissione destinerà la bellezza di 150 miliardi di euro sotto forma di prestiti al fine di accelerare la produzione e l’acquisto di armamenti. La priorità andrà agli articoli fatti dagli Stati membri, dalla Norvegia e dall’Ucraina. Proprio per tali investimenti saranno date opportunità alle aziende europee pronte a cooperare con quelle ucraine per la produzione militare. Un secondo scopo risulta così quello di favorire l’integrazione dell’industria militare ucraina con quella UE.
Le iniziative dei singoli Stati membri
Alcuni Paesi membri stanno lavorando parallelamente alla UE per implementare i progetti di investimento sulla produzione militare ucraina. In primis la Svezia: il brigadier generale Johan Axelsson ha infatti incontrato il viceministro della Difesa ucraino Serhii Boiev per discutere i dettagli della cooperazione sulla fabbricazione di bombe plananti, di droni e soprattutto del mezzo corazzato da fanteria CV-90. I francesi non stanno a guardare: oggi il 90% delle canne dei cannoni dell’obice Caesar vengono spediti in Ucraina. Poi ci sono i tedeschi, la cui Rheinmetall AG intende diventare l’elemento portante della catena di forniture di artiglieria dell’intera NATO. Il suo amministratore delegato Armin Papperger ha annunciato un aumento della produzione di munizioni fino a 350mila pezzi all’anno nel sito di Unterlüß in Bassa Sassonia. Nel frattempo, l’azienda ha incorporato la spagnola Expal Systems, i cui impianti detengono il record di produzione di proiettili di artiglieria: 450mila all’anno.
Zelensky contro i cinesi
Nemmeno i britannici stanno con le mani in mano. La Brexit non è un grosso ostacolo quando si tratta di affari industriali e militari col Continente. Londra è infatti in trattativa con Bruxelles: per avere un posto alla mangiatoia dei 150 miliardi è disposta a sacrificare parte dei suoi diritti di pesca. Per il premier Keir Starmer vendere armi agli europei (dandole così di riflesso agli ucraini) è più importante del lavoro dei pescatori inglesi. E secondo Kiev è perfettamente legittimo farsi armare da una serie di Stati esteri, mentre Mosca non può. Zelensky ha infatti accusato Pechino di permettere ai suoi cittadini di recarsi in Russia per lavorare nelle fabbriche di droni o addirittura per combattere al fronte. Ha fatto convocare l’ambasciatore Ma Shengkun per esprimergli la propria “seria preoccupazione” in merito. Nessun commento ufficiale da Pechino, che finora ha sempre negato qualunque coinvolgimento diretto nel conflitto.

Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.