Fondazione Italia-Cina, Boselli: “Rapporti commerciali più forti dopo il lockdown”. Ora lavoriamo al China International Import Expo 2020

Fondazione Italia-Cina, Boselli: “Rapporti commerciali più forti dopo il lockdown”. Ora lavoriamo al China International Import Expo 2020

15 Luglio 2020 0

Prosegue l’escalation di tensione tra Usa e Cina. In un contesto dove sempre più analisti parlano di una ‘nuova guerra fredda’, seppure con connotati del tutto diversi, è comprensibile che l’Unione Europea e soprattutto l’Italia si trovino in mezzo a questo braccio di ferro economico tra superpotenze cercando di ritagliarsi un proprio ruolo nei complicatissimi nuovi assetti geopolitici. Partendo da queste considerazioni abbiamo voluto contattare il neopresidente della Fondazione Italia Cina, Mario Boselli, per comprendere come si stia muovendo la sua organizzazione in questo contesto e quali prospettive abbia il nostro Paese nei rapporti con Pechino.   

Infografica – La biografia dell’intervistato Mario Boselli

– Quali sono i Suoi obiettivi nell’assunzione di questo nuovo incarico?

– L’investitura è arrivata in maniera del tutto inattesa. È una realtà che io già apprezzavo e stimavo, ma che non conoscevo pienamente. Perciò il mio primo passo è stato quello di cercare di capire, e sono giunto alla conclusione che si tratta di una realtà con grandi potenzialità, ma che ha bisogno di essere più vicina ai problemi reali dei soci, specialmente in questo momento così delicato dal punto di vista economico. Quindi la priorità verrà indirizzata proprio verso i soci e le imprese. Poi occorrerà dedicarsi al ruolo istituzionale, quello delle relazioni Italia-Cina di alto livello, coerentemente con il ponte creato negli anni tra i nostri due Paesi, un legame da vivificare in questo momento non facile nei rapporti geopolitici di tutto il mondo.

– Partendo dai dati del vostro centro studi, potrebbe dirci come stanno mutando i rapporti commerciali con la Cina? Quali sono le criticità che stanno incontrando i vostri soci nel post-Covid, rispetto a quelle che vi erano prima della crisi sanitaria?

– I rapporti non si sono mai davvero interrotti, ma le due quarantene, prima quella in Cina e poi quella italiana, hanno rallentato moltissimo l’attività commerciale nel suo complesso. Questa fase è stata superata grazie alla solidarietà in entrambi i sensi. Prima abbiamo dato noi una mano ai cinesi, pur con mezzi modesti, poi questi ultimi sono intervenuti in nostro aiuto con grandi quantità di materiali. Se parliamo più specificamente della sfera commerciale, potendo godere di una visione diretta del retail, sono in grado di dire che vi è stata una ripresa molto forte subito dopo la cancellazione del lockdown cinese. Ad esempio gli outlet, rimasti chiusi da fine gennaio a inizio marzo, alla riapertura sono stati quasi presi d’assalto dai clienti e hanno fatto registrare un’impennata nelle vendite di oltre il 100%. Poi la ripresa si è stabilizzata. Se confrontiamo questo periodo con quello analogo del 2019, siamo comunque vicini alla normalità, perché la differenza è appena di un 10% in meno. Certo, dobbiamo ancora vedere cosa accadrà da qui a fine anno: non bisogna attendersi dei miracoli, ma probabilmente arriveremo quasi alla parità con le cifre dello scorso anno. Considerate le paure e le incertezze dei mesi scorsi, ritengo che vada bene così. Per quanto riguarda invece il PIL, anche se il governo cinese non ha rilasciato dichiarazioni in merito, ci si attende un aumento dell’1-2%. Non sarà il +6% del 2019, ma si tratta pur sempre di un gran bel risultato rispetto all’andamento del PIL degli altri Paesi del mondo, caratterizzati dal segno meno. L’indicazione per tutti, quindi, è quella di restare vicini alle opportunità che offre la Cina.

– Come possono fare le imprese per cogliere queste opportunità? Come le accompagnate in questo percorso?

– Facciamo un esempio, piccolo ma significativo. In questo momento stiamo aiutando il rientro o la ripartenza dei manager da e per la Cina. Abbiamo aiutato a organizzare voli charter che hanno consentito a un certo numero di persone di recarsi in Cina o di venire in Italia per proseguire gli affari. Un esempio importante è rappresentato dalla China International Import Expo, una manifestazione espositiva ideata quattro anni fa da Xi Jinping, che si tiene ai primi di novembre a Shanghai: la particolarità è che è riservata alle aziende di tutto il mondo esportatrici verso la Cina. La finalità del Presidente cinese è di aumentare i consumi interni e di frenare la fuoriuscita di valuta provocata dal turismo all’estero: un rimedio è proprio quello di far acquistare i prodotti stranieri direttamente sul territorio nazionale. Noi curiamo questa iniziativa per quanto riguarda la parte italiana, in collaborazione con l’AICE e con la Camera di Commercio Italo Cinese. È qualcosa di molto interessante specialmente per le piccole e medie imprese ed è un evento molto importante perché è la prima vera manifestazione di carattere internazionale che si tiene dopo le chiusure da coronavirus.

– Quali saranno i punti su cui si focalizzerà la China International Import Expo?

– Merceologicamente non vi sono vincoli, è una manifestazione generalista come era una volta la “Fiera Campionaria” poi divenuta la “Grande Fiera d’Aprile” di Milano. Il focus è sulle PMI, che possono trovarvi il distributore giusto per il mercato cinese, mentre le aziende di grandi dimensioni certamente non sono escluse, ma probabilmente parteciperanno per motivi di immagine e di prestigio.

– Qual è in concreto l’approccio cinese alle produzioni straniere? Sappiamo, ad esempio, che l’atteggiamento della Russia, un altro grande Paese importatore di beni di consumo stranieri, sta andando sempre più verso il made with Italy al posto del puro e semplice made in Italy, cioè ospita aziende italiane o straniere sul proprio territorio per farvi assemblare o addirittura produrre ciò che poi verrà venduto. E la Cina?

– La Cina ci vede come un importante mercato di sbocco. Le esportazioni cinesi sono maggiori delle importazioni. E quindi la bilancia commerciale è nettamente a favore della Cina. Il fatto che le PMI italiane vadano a produrre in loco non è di grande interesse né per loro né per noi. Ovviamente il discorso è diverso per le aziende di grandi dimensioni. Non dimentichiamo, poi, che per produttività e attrattività la Cina è sempre interessante, ma un imprenditore italiano può avere interesse ad andare a produrre in Cina non per reimportare i beni in Italia ma per venderli là oppure sul mercato asiatico in generale.

– E la Nuova via della seta quali prospettive dà alle aziende italiane, quali sinergie può sviluppare?

– Sono stato fin da subito un sostenitore della Nuova via della seta. Il Covid-19 ne ha rallentato gli sviluppi, ma può ancora essere una strada che unisce veramente tutti i Paesi che attraversa consentendo di “dissodare” i nuovi mercati che si incontrano lungo di essa. Le prospettive sono ancora tutte da scoprire, soprattutto quando la mobilità tornerà ai livelli precedenti.

– Come vivete la guerra dei dazi con gli Stati Uniti, che indirettamente influisce anche sull’Europa?

– La stiamo vivendo malissimo. Qualunque genere di guerra porta danni anche a chi non vi partecipa direttamente. Non è vero che tra i due litiganti il terzo gode: molto spesso finisce per prendersi qualche coltellata pure lui! L’incertezza che deriva dalle decisioni in materia di dazi è pessima. Guardi le borse: a volte basta un tweet del presidente americano per affossarle o per farle schizzare. Non abbiamo alcuna possibilità di tutela o mezzi per difenderci, possiamo solo subire; non siamo in grado di minacciare ritorsioni, anche se comunque non ritengo quest’ultime uno strumento positivo.

– Pensa che il Governo italiano e la Commissione europea possano creare una via preferenziale o uno spazio per togliersi dalla lotta tra USA e Cina e salvaguardare i commerci con quest’ultima?

– Partiamo dal presupposto che la firma del memorandum della Nuova via della seta del 23 marzo 2019 non è stata gradita né dagli americani né da alcuni Paesi Europei. Gli USA preferiscono un’Europa debole, mentre non la vedono di buon occhio quando essa conduce una politica propria, forte e diretta all’interesse dei suoi Stati membri. Uno smarcamento dalle iniziative americane sarebbe senz’altro auspicabile.

– A novembre vi saranno le elezioni americane. Alcuni osservatori credono che un eventuale cambio alla presidenza non muti la strada intrapresa dagli USA che li allontana dalla Cina, perché il solco ormai è troppo profondo. È davvero così? Oppure un nuovo presidente potrebbe ammorbidire la tensione con la Cina?

– È vero, c’è un solco che divide Cina e Stati Uniti e che è stato tracciato in maniera molto profonda, dunque è difficile prevedere un cambiamento nelle relazioni anche con un presidente che non sia Trump. Però è possibile cambiare nei modi: lo stile di un nuovo presidente potrebbe migliorare la situazione, ci vorrebbe forse più pacatezza e più ponderazione rispetto a Trump.

– Quali sono le caratteristiche che le aziende italiane dovrebbero sviluppare per essere appetibili al business cinese e interessanti per gli investimenti?

– In realtà è l’area di attività dell’azienda che fa sorgere l’interesse degli investitori cinesi, i quali verificano se essa coincide o meno con le priorità e le strategie che si sono dati. Come esempio possiamo citare le aziende che rappresentano il “life style” italiano, le cosiddette 3F, ossia food, fashion, furniture: è qualcosa che si trova sempre in cima ai desideri dei cinesi. Oppure si tratta di aziende strategiche del reparto tecnologico. Il fatto di avere manager e personale in grado di interagire con i cinesi è molto positivo, ma può anche arrivare in un secondo momento, quando i rapporti sono già avviati. Per imparare la lingua cinese comunque non è mai troppo tardi e lo si può fare presso la nostra Scuola di Formazione Permanente diretta da Francesco Boggio Ferraris, che in Cina è molto apprezzata.

Marco Fontana
marco.fontana

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