Elezioni in Libia, che vinca l’amore

Elezioni in Libia, che vinca l’amore

2 Dicembre 2021 0

Oltre 2 milioni di libici, esattamente 2.371.846 uomini e donne, hanno ritirato la propria tessera elettorale; 3171 libici si sono candidati per ottenere un posto in Parlamento al 1mo dicembre, mentre si attende di conoscere l’esito dei ricorsi dei 25 candidati su 98 alla presidenza della Libia. Questi numeri, importanti per un Paese come la Libia con una popolazione relativamente contenuta e con una scarsa esperienza di democrazia, confermano l’irrinunciabile desiderio dei libici di scegliere i propri rappresentanti, il proprio destino. Il primo turno resta in programma per il 24 dicembre 2021. Come ci ha spiegato il presidente dell’Alta Commissione Elettorale Nazionale (HNEC), Emad Sayeh, per quanto riguarda le elezioni presidenziali, “il Paese avrà un collegio elettorale in cui tutti i candidati competono tra loro. Il vincitore è quello che ottiene il 50%+1 durante il 1° round. Nel caso in cui nessun candidato abbia ottenuto la suddetta percentuale, si procederà ad un secondo turno, i due candidati che otterranno il maggior numero di voti si sfideranno tra loro, poi vincerà il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti. Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, il Paese sarà diviso in (75) circoscrizioni, il sistema individuale sarà quello di maggioranza, dove vincerà il candidato che otterrà il maggior numero di voti nella sua circoscrizione”. 

Infografica – I numeri elettorali in Libia

Il Governo di Unità Nazionale ha mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti delle elezioni. Se da una parte ha sempre sostenuto di voler andare al voto secondo i tempi previsti dal Libyan Political Dialogue Forum (LPDF) che lo ha nominato a febbraio in Ginevra, in realtà la candidatura del Primo Ministro Abdel Hamid Al-Dbeibah e le sue controverse dichiarazioni hanno remato contro questo obiettivo. “In Libia tutti si stanno contendendo la presidenza – afferma Abdo, un giovane nella capitale – da parte mia, io voterò per Dbeibah perché è l’unico uomo che ha fatto felici noi giovani dal 2012. Ha stanziato fondi a sostegno del matrimonio affinché noi giovani avessimo soldi e potessimo avere una vita matrimoniale, mettere su famiglia. E il suo slogan è stato fin dall’inizio, mai più guerra in Libia. È stato l’unico”. Abdo, non è l’unico a pensarla così, il premier, 63 anni, di Misurata, si era tuttavia impegnato a non ricandidarsi per queste elezioni. Tuttavia, l’ampia disponibilità economica, con le accuse di corruzione che lo hanno accompagnato fin dalla sua nomina, il fatto di aver fatto del lavoro del suo esecutivo una vera e propria campagna elettorale secondo molti, gli ha fatto guadagnare un ampio consenso tra i libici, soprattutto i più giovani che rappresentano la fascia più importante del bacino elettorale. I ricorsi, sembrano ormai decaduti sebbene l’articolo 12 della legge che disciplina l’elezione del presidente prevedesse l’obbligo di dimettersi dalla propria posizione almeno tre mesi prima del momento elettorale. La sua esclusione oggi è impensabile per il successo delle elezioni. Un altro nome che rischia di deragliare la transizione democratica del Paese nordafricano è quello di Khalifa Haftar. Il generale dell’esercito orientale non è accettato nella regione occidentale, soprattutto per numerosi gruppi armati che hanno perso amici, fratelli e vicini per rigettare la sua offensiva su Tripoli nel 2019. Molti crimini restano ancora senza giustizia, come le fosse comuni di Tarhouna, l’uccisione di ventisei cadetti al College militare di Al-Habda nel gennaio 2020, ed è difficile pensare l’entrata di Haftar a Tripoli come presidente, o vederlo parlare da un palco nella capitale per convincere gli elettori. Ancor di più dopo che il procuratore militare di Misurata ha emesso una condanna a morte nei suoi confronti, ed un tribunale di Zawiya ha accolto il ricorso alla sua candidatura. Il conflitto si è dunque spostato sul piano politico a suon di ricorsi e appelli. Soprattutto dopo che il 14 novembre il figlio del compianto rais, Saif al-Islam Gheddafi, ha ufficializzato la sua corsa alla presidenza presso il seggio elettorale di Sabha accompagnato dal suo avvocato Khaled Al-Zeidy. Anche questa mossa, probabilmente voluta da molte tribù, ma forse anche da Paesi che intendono destabilizzare il processo elettorale, ha portato la tensione alle stelle dopo che HNEC ha inserito il nome di Saif tra gli esclusi dalla lista dei candidati preliminare per una sentenza di condanna del 2015 che sarebbe tuttavia stata annullata da una amnistia del 2016. Inoltre Gheddafi deve anche fare i conti con la Corte di Giustizia dell’Aja, sebbene il procuratore generale, che per un gioco della sorte era l’ex legale della spada dell’Islam, Kharim Khan, per la prima volta nel suo discorso al Consiglio di sicurezza ONU non ha richiesto la sua consegna.

La Polizia Giudiziaria incaricata di proteggere la Corte di Giustizia di Sabha, nella Libia meridionale, ha dichiarato che la Corte non si è potuta riunire lunedì perché un gruppo armato, il battaglione 115 e la Brigata Tariq Bin Zayed sotto il comando di Mohamed al-Jarha, affiliati alle forze armate arabe libiche del Maresciallo Khalifa Haftar, aveva chiuso tutte le strade che portano al tribunale, impedendo ai magistrati e ai suoi dipendenti l’accesso. La Commissione d’Appello della Corte di Sabha avrebbe dovuto esaminare già la scorsa settimana il ricorso presentato da Saif Al-Islam Gheddafi contro la decisione di HNEC in merito alla sua esclusione dalla lista dei candidati alle elezioni presidenziali. Dopo la chiusura delle strade che portano al tribunale, dozzine di sostenitori di Saif al-Islam Gheddafi hanno organizzato un sit-in davanti al complesso giudiziario della città in difesa della Magistratura, facendo appello alla comunità internazionale e le Nazioni Unite affinché garantiscano il processo elettorale, indicando che la Corte è stata chiusa a giudici e funzionari al fine di manipolare e interrompere il processo elettorale. Il direttore della sicurezza di Sabha, il generale Muhammad Bashir, ha confermato che il tribunale di Sabha è stato sottoposto a un assedio soffocante con meccanismi armati e mezzi corazzati pesanti appartenenti al 115mo battaglione e alla brigata Tariq Bin Zayed. La direzione ha affermato inoltre che elementi militari hanno fatto irruzione nell’edificio del tribunale due volte, hanno espulso la magistratura, i dipendenti ed hanno impedito a cittadini e avvocati di entrare giovedì scorso, quando l’avvocato di Saif al-Islam, Khaled al Zaidy, si è recato presso il tribunale per presentare l’appello del suo cliente. La Direzione della Sicurezza di Sabha ha denunciato queste violazioni, sottolineando che “la 115a milizia affiliata alla Brigata Tariq bin Zayed al comando di Muhammad al-Jarha è presente nel sud della Libia da più di 3 anni e non ha mai messo in sicurezza alcuna istituzione in generale a Sabha, e in particolare, il tribunale, il che rende la questione chiara a tutti. Mostra chiaramente gli obiettivi di questa palese ingerenza negli affari della magistratura e di intralcio alla giustizia”. Una pagina attribuita al figlio di Gheddafi conferma che “una forza militare ha circondato l’edificio del tribunale di primo grado di Sabha e ha impedito a giudici e dipendenti di entrare per il secondo giorno consecutivo, causando il rinvio dell’esame del ricorso presentato dall’avvocato del candidato presidenziale, Saif al-Islam Muammar Gheddafi, contro la decisione dell’Alta Commissione elettorale”.

Da parte sua, l’avvocato Khaled Al-Zaidy, ha dichiarato: “ci è stato impedito di entrare in tribunale, non solo in tribunale. Tutte le strutture erano circondate da armi pesantemente armate. Tutte le strade che portano al tribunale sono state chiuse con i veicoli militari”.  Secondo l’avvocato, ciò fa sorgere i primi dubbi sul processo elettorale, i seggi, l’ordinamento, il conteggio e le irregolarità che potrebbero verificarsi durante il voto. L’Ambasciata del Regno Unito in Libia ha rilasciato una breve dichiarazione per esprimere preoccupazione per la situazione nel capoluogo meridionale, ribadendo che la Magistratura dovrebbe svolgere le sue funzioni senza alcuna intimidazione. L’incidente a Sabha si aggiunge ad un massiccio dispiegamento di forze da parte del feldmaresciallo Khalifa Haftar nella città di Sirte, dove da giorni è in atto una vera e propria operazione intimidatoria nei confronti di sostenitori di Gheddafi, ma anche attivisti e giornalisti. Da venerdì ad oggi, almeno otto persone sono state prelevate da uomini col volto coperto alla guida di mezzi militari con vetri oscurati. Una fonte militare di Sirte ha tuttavia riferito a Strumenti Politici che nessuno sarebbe stato arrestato che non avesse precedenti. Di fronte a questo clima di scontro politico in cui HNEC si è trovata a lavorare in circostanze al quanto anormali, i ministri dell’Interno e della Giustizia nel Governo di Unità Nazionale hanno tenuto martedì, a Tripoli, una conferenza stampa congiunta per denunciare gravi violazioni che stanno compromettendo il normale svolgimento delle elezioni in Libia. Il ministro dell’Interno, Khaled Mazen, ha affermato che “la situazione non è più accettabile per il normale svolgimento del processo elettorale, dopo che il comitato formato nuovamente presso la Corte di Sebha si è scusato per non aver preso in considerazione i ricorsi, alla luce del caos in termini di sicurezza, a causa di fattori di emergenza che hanno minacciato il piano di sicurezza stabilito”.

I due ministri hanno dato seguito alla dichiarazione della Presidenza del Consiglio dei ministri sull’attacco alla Corte di Giustizia di Sabha, che li aveva incaricati di indagare sulle circostanze. “In passato, sono stati esercitati numerosi attriti e pressioni sui nostri quadri e istituzioni, ma abbiamo preferito moderazione e de-escalation nei media, in ottemperanza alla dialettica del governo di unità nazionale, che cerca il più possibile di assecondare, calmare e spingere per il successo del processo elettorale”. Ha aggiunto Mazen, facendo riferimento anche al sequestro di attrezzature e materiali per garantire le elezioni nella città di Agedabia, mentre erano in viaggio verso i suoi magazzini per la distribuzione ai centri, nonché le minacce dirette avvenute a un certo numero di funzionari della sicurezza che avevano frequentato un corso di formazione per le elezioni nella città di Tripoli. I continui ostacoli al piano di sicurezza, dunque, minacciano l’andamento del processo elettorale e l’impegno ad esso nei tempi previsti secondo i ministri sottolineando che i servizi di sicurezza, sostenuti dalle autorità giudiziarie, stanno seguendo gli sviluppi della situazione securitaria. Mazen ha indicato inoltre che “il popolo libico e le istituzioni interessate al processo elettorale sono informate della realtà della situazione attuale per prevenire frodi e raggiungere la responsabilità legale e nazionale necessaria”. Hanno continuato: “Annunciamo oggi che il continuo ostacolo al piano di sicurezza e l’espansione dell’area delle violazioni e degli attacchi danneggerà tutti gli sforzi fatti, influenzeranno direttamente lo svolgimento del processo elettorale e il suo impegno nel rispettare i tempi, ma soprattutto la sicurezza del paese e delle persone”. La dichiarazione congiunta dei Ministeri dell’Interno e della Giustizia è arrivata sullo sfondo dell’incapacità della Commissione d’appello di primo grado della Corte d’appello di Sebha, da giovedì scorso, di prendere in considerazione il ricorso presentato da Saif Al-Islam Gheddafi perché i giudici non sono riusciti a raggiungere la sede della corte, dopo la presa d’assalto e l’assedio da parte di gruppi armati ricollegabili all’esercito orientale di Khalifa Haftar. Il ministero dell’Interno, in un contesto separato, ha passato in rassegna con l’inviato ONU in Libia, Jan Kubis le sfide al processo elettorale e alla sua sicurezza. Una dichiarazione di Tripoli, citando Kubis, afferma che “le Nazioni Unite forniranno assistenza al Ministero per svolgere pienamente i suoi compiti, garantire la protezione di questo diritto e l’accesso ad elezioni eque”. Se Mosca ha espresso preoccupazione per l’esclusione di alcuni partiti dal momento elettorale, il Comando degli Stati Uniti in Africa (AFRICOM) ha ribadito il suo sostegno agli sforzi diplomatici affinché i libici vadano al voto il 24 dicembre. Commentando questa situazione al quanto controversa, un altro candidato alla presidenza, residente a Sabha, il professor Amarif Mayouf ha affermato che “la situazione in tutto il Paese, non solo a Sabha, è complicata e non solo per me in realtà, ma per tutti i candidati. Anche per chi pensa di essere davvero un esperto di politica. La situazione è completamente nuova, una grande coscienza sta crescendo intorno a noi. Viviamo questo momento contando i giorni. Ogni giorno, non sappiamo se andremo oltre perché in qualsiasi momento tutto potrebbe essere cancellato o posticipato. Quindi, questa è la preoccupazione più grande che stiamo vivendo ora: come queste elezioni verranno attuate con successo, e se il risultato sarà accettato qualunque esso sia”. Mayouf ha aggiunto che “sfortunatamente, il sistema giudiziario continua a rinviare il caso di Saif al-Islam. Questo rinvio dà più speranza ai suoi seguaci e meno agli altri, e viceversa. Sono preoccupato che ritardare il verdetto sull’appello di Saif al Islam possa causare tensioni sociali poiché le persone si radunano davanti alla Corte ogni giorno, sempre di più, e abbiamo visto riunirsi anche i sostenitori dell’altra parte politica del Paese”. Se è vero che le elezioni dovrebbero rappresentare una soluzione globale al conflitto libico, probabilmente il tempo a disposizione non è stato abbastanza per preparare l’elettorato.

La Comunità internazionale oltre che minacciare sanzioni per chi osi ostacolare le elezioni, avrebbe dovuto impegnarsi di più per accompagnare i libici a questo importante appuntamento con la storia, sensibilizzare l’opinione pubblica, facilitare il dialogo, insistere su una giustizia riconciliante perché se in quasi tutti i Paesi i risultati del voto sono spesso contestati – lo abbiamo visto negli Stati Uniti con l’elezione di Joe Biden, la Libia è ad uno stadio in cui perfino le candidature non sono accettabili. E nessuno è disposto a fare un passo indietro. Una delle qualità dovrebbe essere l’amore per il proprio Paese. Vedere che la propria candidatura crei scompiglio o minacci il successo delle elezioni ed insistere nel voler essere “presidente” la dice lunga sulla morale di molti personaggi che hanno avuto un ruolo in Libia negli ultimi cinquanta anni. Dal 2011, il popolo libico cerca disperatamente la propria stabilità. Come una barca in mezzo al mare, i libici si sono trovati in balia dei desideri di un’élite corrotta, che per anni è stata l’unica detentrice di una grande ricchezza. Ed è sorprendente come alcuni membri di questa élite oggi hanno il coraggio di riproporsi, con nuove alleanze, anche schierandosi col nemico di ieri pur di saziare la propria sete di potere. Se da un lato la comunità internazionale ha cercato di imporre soluzioni, ha complicato la situazione non prendendo una linea condivisa, a causa di un evidente conflitto di interessi.

Prima tra Italia e Francia, poi Paesi del Golfo e Fratelli Musulmani, oggi Russia e Turchia in un gioco di scontri e incontri. Sono questi i venti che hanno soffiato per anni in Libia. I libici combattono da anni guerre che non gli appartengono. Dall’ascesa di gruppi terroristici al controllo dei flussi migratori, diventando non più una terra di passaggio, ma una prigione a cielo aperto mentre questa grande nave andava alla deriva. Qualunque cosa accadrà nelle prossime settimane, arrivare al voto sarà già un grande traguardo. Certo, ci sarebbe piaciuto vedere più giovani, più donne, ma è già un buon, nuovo inizio. Come ogni novità può spaventare, le ferite del passato sono ancora aperte, che sia il principio della guarigione o l’ennesima discesa nel caos? Ai posteri l’ardua sentenza.

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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