Dal Baltico al Mar Nero. Il grande gioco dei gasdotti e la crisi ucraina
Nella partita ucraina che, dal dicembre scorso, le grandi potenze hanno ripreso apertamente a giocare sulla grand chessboard eurasiatica Mosca pare avere conseguito un primo significativo risultato, seppure suscettibile di essere inficiato dal mutare improvviso degli eventi. Il 13 gennaio scorso il Senato del Congresso degli Stati Uniti ha infatti rigettato (con soli 55 voti favorevoli rispetto ai 60 necessari) un’iniziativa di legge, presentata dal repubblicano Ted Cruz e sostenuta da Kiev, finalizzata ad applicare sanzioni al gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Il disegno di legge, noto come Protecting Europe’s Energy Security Implementation Act, è stato affossato dai Democratici con l’avvallo sostanziale dell’Amministrazione Biden, lasciando così supporre che la fase più acuta della crisi fosse già stata toccata e (forse) superata, poiché Mosca stava ricevendo da Washington un segno incoraggiante rispetto a ciò che appare essere l’attuale posta in gioco: le forniture di Liquefied natural gas (Lng, “gas naturale liquefatto”) al mercato tedesco e quindi all’Ue, bypassando Kiev. Secondo i Democratici il provvedimento sarebbe stato inutile perché, anche se approvato, non avrebbe inciso molto sull’influenza (energetica) esercitata da Mosca sull’Europa occidentale, dato che il gasdotto è oramai una realtà consolidata e per via del fatto che un’ostinata opposizione ad esso, da parte statunitense, potrebbe tracciare un solco profondo tra Washington e i suoi alleati transatlantici, in specie con la Germania, dato che Berlino avrebbe sostenuto che il Nord Stream 2 sia vitale per il suo settore industriale. Peraltro, un segnale che Stati Uniti e Germania stessero sommessamente maturando ovvero concordando un’apertura di natura geoeconomica nei riguardi della Russia si era già manifestato nel luglio scorso, quando una Dichiarazione congiunta tedesco-statunitense pur condannando l’uso (da parte russa) dell’energia come arma geopolitica non aveva però espresso alcuna chiara obiezione contro il nuovo gasdotto baltico, limitandosi ad un generico riferimento circa l’impegno tedesco a rispettare il Third Energy Package dell’UE, oltreché a facilitare un’estensione fino a dieci anni ovvero oltre il 2024 (data limite stabilita dai tre protocolli d’intesa siglati tra la russa Gazprom e l’ucraina Nafgotaz il 31 dicembre 2019) degli accordi di transito del gas russo attraverso l’Ucraina.
Nonostante le rassicurazioni fatte da Stati Uniti e Germania al governo di Kiev, in quel documento congiunto la leadership ucraina coglieva un’ambiguità di fondo, poiché, non ritenendosi soddisfatta, chiedeva colloqui formali con l’Ue e Berlino. L’attività diplomatica di Kiev aveva interessato pure Varsavia, in considerazione del fatto che anche la Polonia rappresenta una via di transito per il gas russo, poiché lungo il suo territorio corre il Transit Gas Pipeline System (TGPS), sezione polacca del gasdotto Yamal che giunge dalla Russia attraverso la Bielorussia. I ministri degli Esteri ucraino e polacco il 21 luglio 2021 rilasciavano quindi una Dichiarazione comune in cui affermavano che il progetto Nord Stream 2 “has created political, military and energy threat for Ukraine and Central Europe, while increasing Russia’s potential to destabilize the security situation in Europe, perpetuating divisions among NATO and European Union member states” (<<ha creato una minaccia politica, militare ed energetica per l’Ucraina e l’Europa centrale, aumentando al contempo la capacità della Russia di destabilizzare la situazione della sicurezza in Europa, perpetuando le divisioni tra gli Stati membri della NATO e dell’Unione Europea>>). La reazione dell’asse Kiev-Varsavia può forse contribuire a spiegare perché il misterioso messaggio veicolato sui server di alcuni uffici governativi ucraini da ignoti hacker (ma da alcuni attribuito a mani russe) il 14 gennaio scorso sia stato scritto – oltre che in lingua ucraina – anche in polacco. Accanto agli aspetti politico-militari e di sicurezza, va pertanto considerata anche la questione prettamente finanziaria relativa ai ricavi che ucraini e polacchi traggono dall’applicazione delle tariffe di transito a carico di Gazprom, le quali, per 1.000 metri cubi ogni cento chilometri,ammontano a 1,05 dollari statunitensi (USD), per il passaggio in territorio polacco, e a 2,66 USD, per l’attraversamento dell’Ucraina, [dati 2022; fonte: Oxford Institute for Energy Studies/dw.com]. Tali introiti potrebbero subire una decurtazione per via delle due bretelle Nord Stream passanti sotto il Mar Baltico e, conseguentemente, per il possibile ridimensionamento, in specie verso l’Ucraina, dei flussi di gas provenienti dalla Russia dopo il 2024.
Come risposta alla mossa ucraino-polacca, la scorsa estate, Washington aveva inviato a Kiev e a Varsavia il consigliere – con rango di Under Secretary – del Dipartimento di Stato Derek Chollet nel tentativo di spegnere le polemiche alimentate da quelle due capitali, sebbene senza successo, perché il 21 luglio 2021 i rappresentanti della Verkhovna Rada* rilasciavano un Appeal to the United States of America and the European Union on the unacceptability of launching Nord Stream-2. Nella conferenza stampa del 7 febbraio scorso il Presidente statunitense Joe Biden – affiancato dal Cancelliere federale tedesco Olaf Scholz – ha ribadito la propria posizione, incarnata nella formula della nonstop diplomacy, citando il Normandy Format (Francia, Germania, Russia, Ucraina) quale gruppo di discussione dal quale ripartire per affrontare la questione della de-escalation. Fatto ancor più significativo, Biden aveva implicitamente affermato che gli Stati Uniti non si opporranno al Nord Stream 2 fintantoché Mosca non invaderà l’Ucraina; solo in quel caso, infatti, “there will be no longer a Nord Stream 2” (<<non ci sarà più un Nord Stream 2>>) [fonte: whitehouse.gov]. Le parole di Biden se da un lato lasciavano supporre che, nella sostanza ovvero al netto di qualsivoglia coro propagandistico ad usum Delphini, una sorta di intesa di massima per evitare il precipitare della crisi fosse (già) stata abbozzata, dall’altro rischiano di riportare indietro di alcuni anni i rapporti tra Naftogaz e Gazprom, che sembravano avere trovato un modus vivendi con i negoziati commerciali conclusi il 31 dicembre 2019. Con quegli accordi infatti veniva posto termine ad un aspro periodo di contenziosi legali tra le due compagnie energetiche che aveva toccato l’acme nel biennio 2017-18 con il lodo arbitrale discusso dinnanzi alla Camera di Commercio di Stoccolma che si era pronunciata per mezzo di due distinte sentenze relative al contratto di fornitura e alle clausole di transito. Il 29 marzo 2018 la decisione di Stoccolma era stata impugnata da Gazprom, senza tuttavia che ciò impedisse a Naftogaz di procedere alla richiesta di blocco degli assets dell’azienda russa in alcuni Stati esteri. Attualmente per Kiev sembrerebbe delinearsi quello che essa considera come lo scenario più infausto, consistente in una (percepita) strategia di aggiramento messa in atto a suo danno dalla Federazione Russa dal Baltico al Mar Nero attraverso gasdotti bypassanti il territorio ucraino. Yuriy Vitrenko, CEO** di Naftogaz, nel novembre scorso aveva definito l’aggiramento energetico dell’Ucraina come “the only goal” (<<l’unico obiettivo>>) [fonte: spglobal.com] del Nord Stream 2. L’obiettivo di Mosca – secondo Vitrenko – sarebbe duplice: punire Kiev per la sua adesione al blocco euro-atlantico riducendone l’importanza quale hub energetico per l’UE senza che tale azione punitiva possa avere ripercussioni significative sulle esportazioni di gas russo. D’altro canto, pur senza citare gli aspetti penalizzanti evocati dal CEO di Naftogaz, il 22 luglio 2021 Alexey Miller, Chairman of the Management Committee di Gazprom, aveva riconosciuto che la costruzione del Nord Stream 2 mira “to reduce the cost of gas for end consumers via a shorter transportation route that reaches Germany almost 2,000 kilometers ahead of the route traversing the gas transmission system of Ukraine” (<<a ridurre il costo del gas per i consumatori finali attraverso una rotta di transito più breve che raggiunge la Germania quasi 2.000 chilometri prima del percorso che attraversa il sistema ucraino di trasporto del gas>>) [fonte: gazprom.com]. A tal proposito, un dato, sopra tutti, può contribuire a fornire un quadro della situazione: tra il 1998 e il 2021 la quantità di gas russo transitante attraverso l’Ucraina avrebbe subito una riduzione del 70% [fonte: energymonitor.ai]. Il raddoppio della via baltica rappresenterebbe così il suggello a questa grand strategy energetica di Mosca, il cui orizzonte temporale si estende, secondo le linee programmatiche del Ministero dell’Energia russo, sino al 2035, dato che se il Nord Stream 2 divenisse operativo esso andrebbe ad aggiungersi al TurkStream e al Blue Stream che dalla Russia corrono sotto il Mar Nero, contribuendo così a consolidare la posizione dominante già detenuta da Mosca quale principale fornitore di gas per l’UE e la Turchia.
Senza darsi per vinta, Kiev nel dicembre scorso aveva eccepito, dinnanzi all’UE, che il Nord Stream 2 non rispetti i principi del Third Energy Package (in vigore dal 2009). Recentemente a Bruxelles, gli sforzi ucraini sembrano avere raccolto alcune voci favorevoli. È il caso, ad esempio, della Vice Presidente della Commissione UE, Margrethe Vestager, che il 9 febbraio scorso ha affermato che il Nord Stream 2 non è mai stato nell’“interesse dell’Europa” aggiungendo che tale aspetto fosse “assolutamente chiaro fin dal principio” [fonte: ANSA]. Le parole della Vestager lasciano supporre che la partita per il Nord Stream 2 non sia ancora del tutto chiusa. Sebbene, infatti, il gasdotto sia (pressoché) ultimato esso non ha ancora ottenuto la certificazione per divenire operativo. Nel settembre scorso l’ente certificatore, la (tedesca) Bundesnetzagentur, aveva dichiarato che si era data quattro mesi per portare a compimento il processo decisionale, salvo poi sospendere in novembre la procedura richiedendo che lo status legale del consorzio che dovrà gestire il gasdotto attualmente soggetto a giurisdizione elvetica sia invece sottoposto al sistema legislativo di Berlino. Sebbene, ad oggi, sia arduo prevedere con sicurezza quali saranno i prossimi sviluppi un dato sembra però assodato: anche nel caso questa ennesima crisi dovesse – come auspicabile – risolversi per mezzo della diplomazia la questione ucraina appare comunque destinata in futuro ad aprire nuovi capitoli gravidi di incognite per l’Europa, soprattutto se il blocco euro-atlantico dovesse spingere ancor più nell’angolo il grande orso russo, che sembra già essere uscito dal suo letargo con alcuni mesi di anticipo sulla primavera.
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Per approfondire: Il conflitto russo-ucraino. Geopolitica del nuovo (dis)ordine mondiale, Eugenio Di Rienzo, Rubettino Editore (2015); Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi, Giorgio Cella, Carocci Editore (2021)
* Parlamento monocamerale della Repubblica Ucraina
** Chief Executive Officer
Si è formato all’Università Cattolica del Sacro Cuore (sede di Milano) conseguendo la laurea magistrale in Storia con indirizzo specialistico storico-religioso. In qualità di studioso di storia delle relazioni internazionali e geopolitica, si è dedicato soprattutto al Medio Oriente pubblicando due studi brevi per i paper digitali curati dalla Fondazione De Gasperi dedicati all’area mediterraneo-mediorientale: Libia: radici storiche di un caso geopolitico (agosto 2016) e Un Califfato improbabile. Genesi e dinamiche storico- contemporanee di Daesh (febbraio 2017). Nel 2017 ha pubblicato il saggio Medio Oriente conteso. Turchi, arabi e sionisti in un conflitto lungo un secolo, con prefazione dell’ambasciatore Bernardino Osio.