Conflitto israelo palestinese, Margelletti: “L’unica soluzione possibile è la politica dei due popoli e dei due Stati”

Conflitto israelo palestinese, Margelletti: “L’unica soluzione possibile è la politica dei due popoli e dei due Stati”

6 Novembre 2023 0

In queste ore il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, rivolgendosi agli ambasciatori Ue, ha affermato che “La soluzione del conflitto israelo-palestinese non verrà da più guerra e orrori, al contrario in quel caso sarà più difficile mettere la parola fine. Dunque se ne esce solo con i negoziati. Noi siamo pronti a promuovere una conferenza di pace. L’Ue continua i suoi sforzi, non ci sono altre opzioni se i palestinesi e gli israeliani vogliono vivere l’uno accanto all’altro“.

Il quotidiano israeliano Haaretz all’indomani della visita di Anthony Blinken dalle sue colonne ha denunciato come “A un mese dall’inizio della guerra con Hamas, c’è allarme nell’amministrazione Biden che avverte l’assoluta assenza di una ‘exit strategy’ da parte di Israele per la Striscia“. E ancora “L’amministrazione americana teme che, dopo aver creato una catastrofe umanitaria e con migliaia di morti (1400 israeliani, oltre 10mila palestinesi, secondo Hamas), Israele non abbia un piano di alcun tipo di visione per il futuro di Gaza dopo la sconfitta di Hamas. Pare che Netanyahu – almeno questa è l’impressione ricevuta da Blinken e dagli altri diplomatici Usa – non sia disponibile a discutere la questione, nemmeno con il più stretto entourage, a cominciare dal gabinetto di sicurezza“. Una visione che stride con quando affermato, durante l’incontro con gli ambasciatori stranieri, proprio oggi, dal premier israeliano Netanyahu. Il quale ha assicurato che dopo la guerra, quando Israele avrà distrutto Hamas, offrirà al popolo di Gaza “un futuro reale, un futuro di promesse e speranza“.

Per approfondire alcuni risvolti di questo conflitto completo e annoso abbiamo interpellato il professore Andrea Margelletti, presidente del Ce.S.I. e riconosciuto analista geopolitico.

Infografica - La biografia dell'intervistato Andrea Margelletti
Infografica – La biografia dell’intervistato Andrea Margelletti

– Facciamo il punto della situazione su Gaza. Partendo dalla sua esperienza professionale, come vede la vicenda che sta coinvolgendo Palestina e Israele?

– Parlo avendo frequentato a lungo i campi profughi. Dobbiamo pensare una soluzione non solo nel breve, ma anche nel lungo termine, per far sì che smettano di morire sia i palestinesi sia gli israeliani. L’unica soluzione possibile è la politica dei due popoli e dei due Stati, che per una serie di ragioni è incredibilmente difficile da ottenere. Infatti, Hamas è interessata esclusivamente a uccidere gli ebrei, Fatah non ha una leadership autorevole e Gerusalemme in questo momento non vuole concedere territori, perché deve prima risolvere i suoi rapporti interni con i coloni.

– Crede che la soluzione a due Stati possa realmente pacificare la regione?

– Certamente sì, perché permetterebbe a due popoli di continuare ad odiarsi, se lo desiderano, ma facendolo come due Stati: cioè possono farsi guerre commerciali o economiche e avere pessime relazioni diplomatiche, ma senza quello strazio di vittime a cui stiamo assistendo oggi.

– Il conflitto che è scoppiato con gli attacchi del 7 ottobre…

– Il conflitto sorse nel 1948.

– Sì, intendevamo dire gli scontri attuali. Potrebbe farci un’analisi in merito?

– L’aggressione ai civili israeliani è stata una scelta deliberata di Hamas per evitare che vi fossero negoziazioni con Gerusalemme. Hamas ha voluto tagliarsi i ponti alle spalle.

– Ha voluto anche bloccare il processo di disgelo verso tutti gli altri Paesi del Medio Oriente ed evitare l’isolamento?

– L’isolamente era già in atto nel momento in cui i Paesi arabi hanno deciso di cambiare la loro politica dalla formula “pace in cambio di terra” a “pace in cambio di tecnologia e benessere”.

– Che peso ha l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)?

– A Gaza ne ha davvero poco, perché negli anni ha espresso delle leadership deboli. Nell’immediato però non vedo alterative all’ANP.

– Quindi condivide la scelta di Blinken di rifarsi ad Abu Mazen come possibile interlocutore?

– La trovo l’unica scelta possibile, a meno di considerare tutti i palestinesi come terroristi, ma è evidente che non è così. Non è nemmeno possibile chiudere ogni canale di dialogo. Credo che la politica dell’amministrazione americana sia in queste settimane di altissimo spessore.

– Lei è anche studioso dei fenomeni mediorientali e dei personaggi che li hanno accompagnati. Quale differenza vede tra Yasser Arafat e Abu Mazen?

– C’è una profonda diversità. Arafat era l’uomo che ha creato la resistenza palestinese ed era una sorta di collante fra varie realtà che componevano l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Abu Mazen è un prodotto di quella leadership, ma senza averne la caratura.

– Dunque in eventuali trattative con Hamas che peso avrebbe Abu Mazen?

– È pur sempre il rappresentante dell’Autorità Nazionale Palestinese. Non possiamo resuscitare Arafat, quindi Abu Mazen è la persona con cui parlare in questo momento.

– L’ANP ha forze sufficienti per opporsi alle forze di Hamas?

– Non è una questione di opporsi o di scontrarsi con Hamas. L’ANP forse nemmeno andrebbe a combattere contro Hamas. La questione è far capire ai cittadini di Gaza che Hamas è contrario al loro interesse, perché il loro interesse è di avere un proprio Stato e con Hamas non vanno da nessuna parte.

– In questo momento alcune scelte di Israele sono oggetto di critica e di discussione. Ad esempio la mancata rimozione del ministro Eliahu o l’aver inserito un colono che si dice sia legato ad ambienti fascisti a capo della sottocommissione in Cisgiordania. Pensa sia solo un particolare momento oppure stavolta sarà difficile fermare Israele dal suo intento di entrare a Gaza per estirpare Hamas?

– Israele di fatto è già dentro Gaza. I soldati israeliani stanno distruggendo le infrastrutture politiche e militari di Hamas. Con i commandos è entrata quasi subito nella Striscia e ormai sono arrivati a Gaza City. Credo sia previsto un periodo di controllo fisico e territoriale almeno della città e almeno fino alla completa disintegrazione di tutte le strutture operative di Hamas.

– Ciò potrebbe portare a un intervento iraniano?

– Al momento penso che Teheran (e lo si deduce anche dalle parole di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah) sia interessata a vedere cosa succede piuttosto che a intervenire.

– Allora l’allargamento del conflitto è un’ipotesi remota?

– Purtroppo no, è un rischio attuale, ma mi preoccupa di più la situazione in Cisgiordania, dove l’aumento delle violenze potrebbe trascinare in guerra la Giordania.

– Gli USA hanno dato una risposta molto ferma all’Iran. In caso di allargamento del conflitto, Washington riuscirebbe a dare a Israele il supporto voluto, avendo altri fronti aperti, in primis quello ucraino?

– Gli Stati Uniti sono impegnati in Ucraina con il supporto economico, di addestramento e di materiali, non di soldati. Non vi sono truppe occidentali o della NATO in Ucraina.

– Però Washington sta già disaccoppiando gli aiuti militari destinati a Israele da quelli per l’Ucraina.

– Si tratta comunque di tipologie di equipaggiamento differenti. Quello che gli americani danno a Tel Aviv è diverso da quello che danno a Kiev. Possono quindi tenere aperti entrambi i fronti, essendovi differenze sostanziali: in Ucraina gli aiuti sono economici e di attrezzature, mentre in Medio Oriente vi potrebbe essere anche un coinvolgimento diretto delle forze armate statunitensi. Non vedrei però i soldati USA impegnati a Gaza; magari sul fronte siriano o in altre zone in cui ritengano di dover intervenire, ,a nella Striscia di Gaza no.

– Come legge le parole di Erdoğan che dice di non riconoscere più Netanyahu come suo interlocutore?       

– Le leggo come un momento di estrema debolezza della Turchia, che ha problemi economici drammatici. E non dimentichiamo che in tutti i sistemi politici la creazione del nemico è una modalità aggregante del popolo. Inoltre, non mi pare che la Turchia abbia rotto le relazioni diplomatiche con Israele né stia mandando armi ad Hamas. Una cosa è lo scontro politico, magari ad uso interno, e un’altra è la sostanza degli atti. Si potrebbe quindi trattare di un tentativo di Erdoğan di rafforzare la sua leadership sul piano interno.

– Da un punto di vista militare e di intelligence, l’attacco di Hamas era prevedibile?

– Stante la situazione politica tra Israele e Gaza, che prima o poi dovesse succedere qualcosa era inevitabile. Che gli israeliani avessero tutte le informazioni necessarie era evidente. Che le abbiano sottovalutate – anche per presunzione – è altrettanto evidente ed è stato ammesso dalle stesse autorità israeliane.

– Molti parlano di un possibile mandato corto di Netanyahu, persino gli americani. Si dice terminate le ostilità, Netanyahu potrebbe mettersi da parte. Ritieno possibile questo scenario?

– In tanti anni di analisi politiche ho già assistito sia al possibile che all’impossibile. Vediamo intanto come va a finire questo conflitto e poi a bocce ferme trarremo delle conclusioni.

Marco Fontana
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