“Geopolitica umana” di Dario Fabbri, uno sguardo oltre le ideologie e le convenzioni

“Geopolitica umana” di Dario Fabbri, uno sguardo oltre le ideologie e le convenzioni

12 Agosto 2024 0

La geopolitica umana respinge il metodo descritto come scientifico, composto di standard nei quali incastrare ogni evento, anteponendo la teorizzazione della realtà, ignorando quei fatti che non rientrano in archetipi arbitrariamente angusti.

Il libro ‘Geopolitica umana. Capire il mondo dalla civiltà antiche alle potenze moderne‘ di Dario Fabbri, analista geopolitico salito alla ribalta del grande pubblico in occasione dello scoppio del conflitto in Ucrania, parte dal presupposto che la geopolitica classica, teorizzata tra ‘800 e ‘900, non sia in grado di comprendere appieno la complessità dei fenomeni storici e, sopratutto, dei fatti attuali.

Fabbri fonda la propria analisi su una visione che sia il più multidisciplinare possibile e che privilegi la comprensione delle strutture di fondo della geopolitica, mettendo in secondo piano aprioristiche sovrastrutture ideologiche.

L’irrilevanza dei leader

Per l’autore non sarebbero i grandi personaggi e i più noti condottieri a spiegare i passaggi cruciali nelle varie epoche storiche, ma al contrario sarebbe l’affermazione dello spirito e della volontà dei popoli a darci un’interpretazione genuina dei fatti.

Il tema è affrontato di petto nel capitolo ‘Dell’irrilevanza dei leader’, nel quale si fa notare come condizioni strutturali generate nel tempo, collocazione geografica e specificità demografiche, siano molto più determinanti per una nazione dei voleri dei loro leader: Pietro il Grande di Russia e i Tudor d’Inghilterra, nel medesimo periodo, provarono a diventare potenze marittime, ma solo i secondi vi riuscirono. Nonostante gli sforzi, i russi non divennero mai un popolo di marinai.

La russofobia del ‘deep state’ statunitense

Nel medesimo capitolo Fabbri offre un altro spunto interessante sul tema: i tentativi di alcuni presidenti Usa di apertura nei confronti della Russia sono sempre stati osteggiati, se non direttamente bloccati, dalle varie agenzie federali americane.

Un vero e proprio ‘deep state‘ che blocca ogni sostanziale cambiamento della posizione degli Stati Uniti nello scacchiere internazionale e li rende impermeabili a qualsiasi influenza esterna. Queste considerazioni potranno suscitare nei lettori più accorti una riflessione su avvenimenti controversi e nebulosi come l’omicidio Kennedy, piuttosto che l’odierna guerra in Ucraina.

Interessante poi come l’autore individui un’evidente irrilevanza dei leader rispetto ai sentimenti dei popoli nel fallimento delle élite della Unione Europea nella creazione a tavolino di un’identità comune, rispetto alle rispettive culture originatesi nei secoli nel Vecchio Continente.

Il ruolo dell’impronta etnica

Parte fondamentale di ‘Geopolitica umana’ è il capitolo ‘Nazioni’, nel quale l’analista sottolinea l’importanza dell’impronta etnica che riguarda tanto gli Stati nazionali, quanto gli Imperi.

Come esempio, l’autore prova a far luce sul complesso meccanismo elettorale americano, analizzando le prime grandi ondate migratorie dall’Europa agli Stati Uniti, nelle quali individua una netta affermazione del ‘gruppo etnico’ tedesco: gli Stati chiave per eleggere il Comandante in Capo, infatti, riconducono a territori dove la componente etnica tedesca è sempre stata più forte. Fabbri arriva a parlare di ‘MidWest teutonico’. Del resto non vi è dubbio che la storia americana sia costellata di personaggi autorevoli dai cognomi tedeschi.

Oggi, a qualche secolo di distanza dalla grande colonizzazione, tutti i colossi hi-tech della Silicon Valley sono ad esempio ancora nelle mani di persone di origine teutonica: Jeff Bezos (vero cognome Jorgensen) di Amazon, il fondatore di Meta Mark Zuckerberg e metà del suo management, l’ad di PayPal Dan Schulman, il fondatore di Apple Steve Jobs (vero cognome Schielbe) e l’ex ad di Google Eric Schimdt. ‘Scambiato per britannico, l’Homo americanus – osserva l’autore è di ascendenza germanica e sentire calvinista. La popolazione teutonica dal MidWest costituisce l’anima della nazione’.

Nel saggio la valenza della componente etnica viene scandagliata in lungo e in largo nella storia, dall’Italia alla Francia, passando per la Germania, l’Indonesia e la Cina. Proprio la Repubblica Popolare Cinese di oggi si fonda ad esempio sull’affermazione degli Han contro i Manciù, popolo di lingua altaica, un tempo dominatore e collassato agli inizi del ‘900.

Una geopolitica perfettamente antieconomica

Nel capitolo Potenza Vs Economia Fabbri dispiega una delle sue tesi più ardite: ‘L’economia è persuasa dall’idea che bisogni e interessi regolino l’agire umano. […] L’economia si racconta come stella polare di ogni aggregazione. Non intuisce d’essere prioritaria soltanto nei Paesi che sono satelliti di un impero, mai nelle potenze indipendenti, egemoni o antagonistiche. Non coglie che le principali potenze del pianeta vivono in modo perfettamente antieconomico‘.

L’esempio contemporaneo preso dall’autore è la guerra in Ucraina, visto come un azzardo economico che Vladimir Putin preferirebbe di gran lunga piuttosto che essere ricordato nella storia russa come colui che ha perso l’Ucraina in favore della Nato. In fondo, ritornando al concetto ‘dell’irrilevanza dei leader‘ , è il medesimo sentimento della maggior parte dei russi, opposto a quanto viene invece raccontato dai media occidentali.

L’Occidente non come fine ultimo della storia

Con queste considerazioni Fabbri puntella inoltre una delle premesse alla base della sua concezione di geopolitica umana: l’Occidente non è fine ultimo della storia, stadio che ogni collettività sognerebbe di raggiungere. ‘Impossibile giudicare gli altri popoli – ribadisce l’autore – da quanto siano democratici, giacché tale assetto è proprio soltanto del mondo occidentale‘.

Fabbri si appella ad una fondamentale ed irrinunciabile esigenza, quella di adottare la prospettiva degli altri. In tal senso si muovono le analisi contenute nel capitolo ‘Imperi’, nelle quali si descrivono le dinamiche interne a Paesi per noi culturalmente lontani come Turchia, Iran e Cina, tutti alle prese con una modernità non sempre conciliabile con le rispettive culture millenarie.

Le globalizzazioni

Come la prima globalizzazione della Storia, quella dei Romani, passò attraverso il controllo dei mari, anche quella contemporanea, di chiaro stampo americano, prevede il medesimo presupposto. Non a caso i due capitoli conclusivi dell’opera di Fabbri ‘Dalla terra al mare’ e ‘Chi comanda la Rete’, riguardano in fondo due forme di navigazione, entrambe fondamentali per il controllo del mondo di oggi.

Per la seconda, la cyber navigazione , viene rimarcato come internet sia un fenomeno essenzialmente americano. ‘Internet – afferma Fabbri – è il doppio della globalizzazione, ovvero dell’impero statunitense. Ne è la dorsale virtuale, composta d’altrettanta acqua, depositata negli abissi degli oceani‘.

Il controllo della Rete permette agli Stati Uniti di avere un occhio sull’intimità di miliardi di persone ed impedisce ad altre potenze di essere indipendenti. Viene sottolineato come il web nasca come strumento di comunicazione interna al Pentagono e non dall’estro creativo di qualche ‘genio‘ come vorrebbe la vulgata. Gates, Zuckerberg, Jobs o Musk sono in realtà tutti debitori, e quindi subordinati, rispetto a tecnologie inventate dallo Stato federale.

Nel corso degli anni – osserva Fabbri – Pentagono, Cia, Nsa hanno finanziato , direttamente o indirettamente la nascita di Microsoft , Facebook, Google, PayPal, Yahoo!, Amazon, Twitter e Youtube‘. Nel 2018 Zuckerberg, ad esempio, ha dovuto ridimensionare i propri interessi personali per ‘ragion di Stato‘, avendo ceduto dati ad una società collegata al governo russo.

La guerra per il predominio sulla rete

Sugli stessi presupposti oggi gli Usa hanno dichiarato guerra ‘all’esterno‘ alla app cinese TikTok e prima ancora al colosso telefonico Hawuei. La Cina, da parte sua, non è meno tenera nel controllo del business delle nuove tecnologie: il fondatore di Alibaba, Jack Ma, è sparito dalla circolazione per qualche mese all’inizio del 2021, per poi ricomparire, dichiarando l’iscrizione al partito Comunista Cinese ed il defnitivo ritiro a vita privata.

Gli imperi di oggi come quelli di ieri, come ricordato da Fabbri in vari passaggi del suo saggio, si reggono sul controllo dei mari. La Cina, soprattutto in Africa, da anni sta portando avanti una capillare colonizzazione, sopratutto attraverso la creazione di infrastrutture marittime. Una colonizzazione soft, di natura per ora prettamente commerciale, ma col fine ultimo di contrastare il dominio americano dei mari e l’accesso alle materie prime fondamentali per l’economia di domani.

Lo scontro tra imperi

Uno scontro quindi tra Imperi, dove nessuno dei due principali contendenti vuole, o forse può, tirarsi indietro. ‘Controllano il flusso navale di ogni stretto del globo – scrive Fabbri per descrivere l’egemonia globale degli Usa – e offrono la propria deterrenza nucleare ai clientes. Sopportano sfibranti privazioni per rimanere giovani e crudeli, per attivare gli altri a sé, per conservare la primazia planetaria, rimanendo nel mondo pure quando vorrebbero tornare a casa‘. Una chiosa perfetta questa, per un libro ricchissimo di spunti originali e visioni non banali, sulle intricate dinamiche geopolitiche contemporanee.

Fabio Grosso
fgrosso

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