La catastrofe umanitaria del Sudan con 2,5 milioni di sfollati e 25,6 milioni di persone martoriate da fame e guerra

La catastrofe umanitaria del Sudan con 2,5 milioni di sfollati e 25,6 milioni di persone martoriate da fame e guerra

16 Luglio 2024 0

A quindici mesi dall’inizio delle ostilità, il Sudan sta affrontando una crisi alimentare senza precedenti nella storia del paese. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef) e il Programma alimentare mondiale del Palazzo di vetro (Wfp) denunciano il rapido deterioramento delle condizioni di vita della popolazione, soprattutto dei bambini, per l’insicurezza alimentare, creata dalla guerra civile, la terza ormai, che devasta il paese dal 15 aprile dello scorso anno.

Le agenzie internazionali si sono mobilitate per fornire una risposta umanitaria al Paese e agli Stati confinanti, «dove oltre 2,5 milioni di sfollati hanno cercato rifugio», si legge in un comunicato dell’Unicef, diffuso lo scorso giugno.

Dati allarmanti

La mancanza di cibo ha lasciato 755mila persone in condizioni drammatiche e il rischio carestia incombe come una spada Damocle in 14 aree, come rivelano gli ultimi dati Snapshot pubblicati dall’Integrated Phase Classification. La situazione più grave si registra nei territori maggiormente colpiti dagli scontri fra le fazioni rivali della giunta militare, formata dalle forze armate sudanesi e dal potente gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf).

Oggi 25,6 milioni di persone hanno raggiunto i livelli più alti di fame, rileva l’Integrated Food Security Phase Classification (Ipc). Per quasi la metà della popolazione sudanese martoriata dalla guerra, ogni singolo giorno è una lotta per la sopravvivenza. A differenza del conflitto del Darfur e del genocidio di vent’anni fa, la crisi attuale ha fagocitato l’intero paese, con la popolazione allo stremo e senza viveri nella capitale Khartoum e nello Stato centrale di Gezira, un tempo granaio del Sudan.

Il silenzio dei media

«La stampa nazionale e internazionale ha riportato solo marginalmente i brutali fatti che hanno travolto nell’ultimo anno anche altre città, come Wad Madani,  White Nile, il Kordofan e negli ultimi giorni la situazione è precipitata nella città di El Fasher», riferisce Giulia Dal Cin, la Desk officer di OVCI, la ong italiana che dal 1982 si occupa di progetti di sviluppo e riabilitazione in Africa, Asia e America Latina.

Al centro di questa nuova catastrofe, dimenticata dai media mainstream e di conseguenza uscita dall’agenda dei decisori politici, sono gli interessi e la brama di potere dei due generali Abdel Fattah al-Burhan, leader dell’esercito regolare (Saf) e Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto come Hemedti, capo del gruppo paramilitare Forze di supporto rapido (Rsf). Entrambi erano al servizio diretto del presidente Omar al-Bashir, caduto nell’aprile del 2019 dopo quasi trent’anni di regime militare.

Il risultato è stato uno scacco netto e drammatico al processo di democratizzazione e di transizione verso un governo civile, per il quale la popolazione sudanese si era a lungo e pacificamente battuta.

Morti e esodi di massa

La guerra ha causato la morte di 30mila persone, secondo l’Unione medica sudanese, e il conseguente sfollamento di altre 2,5 milioni, fuggite nei Paesi confinanti come Ciad, Sud Sudan, Etiopia, Egitto, Libia e Repubblica Centrafricana. Oltre ai rastrellamenti e ai bombardamenti a preoccupare, come dicevamo, è la mancanza di cibo.

La nuova analisi dell’Ipc ha rivelato un peggioramento e un rapido deterioramento della situazione della sicurezza alimentare in Sudan, con milioni di vite a rischio – ha dichiarato il Direttore generale della Fao Qu Dongyu, in una nota -. Stiamo ora consegnando semi salvavita per la stagione principale della semina. Il tempo stringe per gli agricoltori sudanesi. La Fao chiede urgentemente 60 milioni di dollari per soddisfare le parti non finanziate del suo piano di prevenzione della carestia per garantire che le persone, in particolare quelle nelle aree inaccessibili, siano in grado di produrre cibo localmente ed evitare carenze alimentari nei prossimi sei mesi. Dobbiamo agire collettivamente su larga scala – conclude – con accessi senza ostacoli, per il bene di milioni di vite innocenti in bilico.

Un conflitto che si allarga

Nel frattempo gli scontri si stanno allargando, coinvolgendo altre regioni, dove a spezzare il silenzio di città ormai fantasma, sono le scorrerie dei soldati.

Al momento le milizie stanno raggiungendo la zona sud-est di Khartoum – spiega ancora Dal Cin, che ha dovuto lasciare Khartoum, insieme a tanti italiani presenti sul luogo, il 23 aprile del 2023 – da come ci riferiscono i nostri operatori sudanesi. Nei mesi scorsi avevamo valutato la possibilità di tornare, evitando la capitale, dove a circa sei chilometri, nella città più antica di Omdurman, sulla riva ovest del Nilo, avevamo avviato[o2]  nel 1999 le nostre attività di riabilitazione per bambini con disabilità. L’unica alternativa era di raggiungere un’altra città della parte orientale, ma oggi, anche quelle aree sono state occupate dalle Rsf. Pure i nostri operatori  locali hanno dovuto lasciare Khartoum, riparando a Nord o nei territori ad est di Gedaref, Kassala. La situazione nel Paese è molto fluida, cambia rapidamente e al momento permangono le condizioni di insicurezza. Non ci fermiamo e stiamo considerando le soluzioni per continuare il nostro lavoro e dare sostegno alla popolazione.

Anche la Caritas sta cercando di fornire aiuti e assistenza. «Nonostante innumerevoli difficoltà – scrivono – dopo un primo periodo in cui la Caritas non ha potuto operare a causa dell’insicurezza dilagante nel paese, si è avviato un piano per l’assistenza agli sfollati e alle comunità ospitanti in alcune località a sud del Paese. Gli interventi che si spera possano proseguire per tutto il 2024 consistono in sussidi in denaro e materiale per l’igiene a circa 2000 famiglie. Nei Paesi di accoglienza dei profughi le Caritas si sono mobilitate sin dall’inizio del conflitto e stanno fornendo aiuto con beni di prima necessità, trasporto, alloggi d’urgenza, supporto psicosociale. In particolare in Ciad, Sud Sudan, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Egitto. In Ciad inoltre si è avviato un programma per il sostegno alle donne rifugiate tramite la coltivazione di orti comunitari e la fornitura di acqua».

Marina Pupella
MarinaPupella

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