Riforma fiscale, viceministro Pichetto: “Con la manovra di fine anno iniziamo a dare fiato ai cittadini più colpiti dalla tassazione record italiana”

Riforma fiscale, viceministro Pichetto: “Con la manovra di fine anno iniziamo a dare fiato ai cittadini più colpiti dalla tassazione record italiana”

23 Dicembre 2021 0

L’Italia nel 2020 ha registrato un aumento dell’incidenza della tassazione sul Pil, era al 42,4% e ora si attesta al 42,9%. La Penisola si piazza quindi al quarto posto tra i Paesi industrializzati che formano l’area Ocse, dove il rapporto tasse/Pil è stato in media del 33,5% (+0,1 punti) e ha quindi registrato un incremento maggiore della media, da cui si è allontanata ancor più. Il quadro emerge dal rapporto ‘Revenue Statistics 2021‘ dell’Ocse in particolare registra un aumento dalle tasse sui redditi personali e dai contributi sociali. In queste settimane però è tutto un parlare di riforma fiscale e riduzione della pressione fiscale, a partire già dalla prossima manovra. Abbiamo interpellato il viceministro dello Sviluppo Economico Gilberto Pichetto Fratin in merito, essendo anche uno dei proponenti di questa riforma.

Infografica – La Biografia dell’intervistato Gilberto Pichetto

– A che punto è la riforma fiscale? E già tutto definito?

– La legge delega è in discussione alla Camera. Sarà questa legge a fissare i vincoli e i confini dei decreti legislativi e dei DPR che dovranno essere attuati. Nella manovra di fine anno c’è un primo piccolissimo passo sull’IRPEF e l’IRAP: per quanto riguarda la prima, c’è una omogeneizzazione che toglie l’eccesso di curva delle aliquote. Con gli interventi degli anni scorsi e con l’inflazione, coloro che avevano un reddito tra i 25mila i 50mila pagavano delle aliquote marginali spropositate rispetto a tutti gli altri. Oggi viene resa lineare la curva di crescita delle aliquote e quindi della tassazione. Rimaniamo tuttavia un Paese con un tassazione molto alta, in cui permane un’aliquota del 43%, che è scoraggiante. Ancora di più se, tenendo conto dell’inflazione, calcoliamo che il lavoratore dipendente medio o un lavoratore autonomo medio alla fine subisce livelli di tassazione che superano il 50%.

– Si è parlato anche di un abbattimento dell’aliquota del 27%?

– È la prima volta negli ultimi 45 anni, ossia da quando entrò in vigore il modello attuale di tassazione, che abbassiamo in modo uniforme le aliquote e le imposte dirette, con un passaggio dal 27% al 25%, e pure dal 38% al 35%. 

– In altre parole, con questa manovra risparmiamo tutti?

– Tutti riusciremo a risparmiare qualcosa, ma il risparmio maggiore è concentrato in particolare nella fascia di coloro che avevano un carico marginale maggiore, una “gobba” eccessiva.

– Quindi la classe media viene per la prima volta sostenuta.

– Il concetto è quello di Forza Italia ed ero stato io a lanciare “l’aliquota del ceto medio”, il 35%.

– Secondo le possibilità di bilancio, sarà possibile andare verso la flat tax?

– Sinceramente no. Per raggiungere quel livello di gettito che ha il sistema di imposte dirette no. La flat tax impone un ragionamento diverso rispetto alle imposte indirette. Bisognerebbe andare verso una tassazione dei consumi più uniforme ed elevata: chi consuma di più, paga di più, e poi passare dalla tassazione sulle persone ad una che si concentri sulle cose, sui beni e infine mantenendo un minimo di progressività delle imposte dirette per rispettare l’articolo 53 della Costituzione.

– E per quanto riguarda gli equilibri nel bilancio, di cui Draghi parla spesso, il fatto di aver provveduto a un abbassamento sostanzioso ma minimo delle aliquote significa che si vuole verificare nei prossimi anni la tenuta del gettito e prevedere ulteriori abbassamenti della aliquote?

– Vuol dire solo che se abbiamo il coraggio di fare delle riforme, dobbiamo adeguare il nostro sistema. Una vera riforma presuppone il rendersi conto che i redditi sono difficilmente individuabili nella società moderna, o comunque molto più difficili da individuare rispetto per esempio al 1973. Oggi è possibile produrre in Cina, assemblare in Thailandia, trasferire con una società registrata alle isole Cayman, mandare in Gran Bretagna e da lì spostare gli articoli in Italia con un intermediario lussemburghese. Ma il player di questo meccanismo dove dichiarerà il suo reddito? Lo dichiara in un Paese dove paga il 70% oppure altrove? E allora, le imposte dirette non sono facilmente individuabili: in Italia esse vengono caricate sulle spalle di coloro che non possono sfuggire al fisco. Cioè le solite piccole imprese e piccoli autonomi e poi tutti i lavoratori dipendenti. Questi soggetti pagano per tutti. Quindi dobbiamo eliminare le impostazioni ideologiche e andare a valutare i contenuti calandoli nella realtà per applicare un modello di tassazione che faccia leva sulle cose e che permetta di raggiungere un equilibrio fra le imprese e le persone.

– Dal momento che Draghi è espressione dell’europeismo, possiamo affermare che esista la tendenza a voler unificare la tassazione in tutta la UE? A fatica si è riusciti ad avere una tassazione uniforme verso i colossi del web: in quali tempi si potrebbe arrivare a un modello europeo unico di tassazione?

– L’Europa ha cominciato a ragionare da Stato federale e non più da condominio solo con il Next Generation UE. La web tax è stato un piccolissimo passo in avanti, non europeo ma internazionale e per nulla risolutivo, ma che rappresenta un segnale più politico che sostanziale. Siamo però lontanissimi da un modello uniforme di tassazione: la UE è formata da 27 Stati e da 27 governi che fra loro hanno ancora momenti di frizione e temi di attrito.

– Federalberghi ha emesso una nota in cui si dice molto preoccupata sia dalle regole degli ammortizzatori sociali, che si trovano in una condizione di forte incertezza, sia sulla questione dei ristori nel caso in cui passassero delle norme più restrittive che vadano a toccare il comparto turistico. Il Ministero sta provvedendo a elaborare misure contro un eventuale inasprimento della crisi pandemica e ad accantonare risorse per i ristori?

– Sì, c’è parecchia preoccupazione verso le varianti, in particolare la Omicron che sta durando più delle altre; forse non siamo neanche arrivati nemmeno al suo picco. Riceviamo dalle varie associazioni i segnali che ci mostrano la situazione sia a livello sanitario sia a livello energetico. Il bilancio dello Stato è peggiorato rispetto al 2019; sì, c’è il Recovery Fund, ma si tratta di investimenti per il futuro. Noi possiamo dare aiuto, ma non possiamo risolvere perdite per centinaia di miliardi. Non abbiamo il bilancio della Germania.

– E allora proprio in ambito energetico, ricordiamo che il ministro Cingolani continua a rilanciare il nuclare: potrebbe essere una soluzione a medio termine per diminuire la dipendenza dalla produzione energetica di altri Paesi?

– Io ho fiducia nella scienza e dico che dobbiamo percorrere tutte le strade possibili. Oggi vengono fatte sperimentazioni per arrivare a un nuovo nucleare, per esempio in Francia, a cui partecipano anche imprese italiane. Sono politiche che andrebbero affrontate ormai a livello di Unione Europea. Prima abbiamo detto che in Europa non è stata ancora unificato il sistema di tassazione: credo a maggior ragione che sarebbe opportuno unificare pure quello dell’energia!

– Confindustria ha appena lanciato un allarme sul pericolo di contrazione del PIL; la crescita rischia di fermarsi. Sottolinea anche come in 2 anni vi siano stati 100 miliardi di risparmi rimasti fermi in banca. Percepite questi due punti come potenzialmente dannosi? Come si possono convincere i cittadini a usare quei risparmi, a rimetterli in circolo nell’economia?

– La nostra società è fortemente interconnessa col sistema europeo e poi con quello mondiale: quasi un terzo del PIL italiano è legato ai rapporti con l’estero. Dunque le valutazioni economiche non andrebbero fatte riferendosi solamente alla realtà dell’Italia, ma occorre guardare a quello che accade anche a livello internazionale. Così, ad esempio, se la Germania o l’Austria si mettono in quarantena, se la Francia o la Gran Bretagna inaspriscono le restrizioni, le conseguenze poi le subiscono anche le nostre esportazioni. Oppure se dall’altra parte del mondo la produzione di microchip rallenta, le nostre imprese rischiano di non poter lavorare. Infine, se il gas aumenta del 40%, del 50% o del 60%, manda fuori prezzo tutta una serie di produzioni italiane. Quindi a minacciare il normale funzionamento del sistema vi sono molti fattori diversi, non solo strettamente italiani.

– È recentissima la notizia che Gazprom non ha prenotato la capacità del gasdotto Yamal-Europa per mercoledì.

– Quindi significa che Gazprom tiene chiuso il rubinetto.

– Per rispondere a questa decisione e calmierare un minimo i prezzi dell’Energia non sarebbe possibile per l’Italia aumentare la sua produzione di gas?

– Noi siamo un Paese che ha disponibilità di gas. Ma per una serie di cause burocratiche e di scelte politiche anche locali, usiamo pochissimo questa risorsa. Ci troviamo dentro una situazione paradossale: il nostro gas nel mare Adriatico viene sfruttato dalla Croazia. Noi dovremmo poter utilizzare le nostre risorse: e seppure non sarebbe un’opzione totalmente risolutiva, avrebbe l’effetto di un calmiere.

Marco Fontana
marco.fontana

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