Gli USA agitano le acque del Pacifico: piazzano missili a medio raggio nelle Filippine, con la Cina nel mirino
Washington rinforza le sue posizioni avanzate nel teatro del Pacifico. Piazza i suoi missili a medio raggio nelle Filippine con l’intento mal celato di tenere sotto scacco Pechino. Il riferimento ovviamente è a Taiwan, ma preoccupa soprattutto sfoggio di muscoli da parte statunitense, che alza la tensione e destabilizza ulteriormente la regione.
Arrivano i Typhon
Ad oggi nelle Filippine sono posizionati i sistemi missilistici Typhon, installati dagli americani lo scorso aprile in occasione delle esercitazioni congiunte Balikatan-24 e Salaknib-24. Si trovano sull’isola settentrionale di Luzon, quasi a ridosso dello stretto di Taiwan. Queste piattaforme possono lanciare razzi con una gittata che copre tutto il Mar Cinese Meridionale e dunque pure una fetta consistente di territorio della Repubblica Popolare Cinese. Sui Typhon vanno i razzi SM-6 che fungono sia da antinave che da contraerea. Poi possono lanciare i Tomahawk, pensati soprattutto per attacchi contro la terraferma. Su questi ultimi possono essere montate testate nucleari. Il loro raggio è tale da raggiungere facilmente le zone più popolose della Cina meridionale, forse addirittura Pechino. Non si sa quanti di questi missili siano stati effettivamente forniti o saranno inviati alle basi nelle Filippine. A giudicare dagli ordinativi e dagli arsenali, si va da qualche centinaio a qualche migliaio.
A tempo indeterminato
Gli USA avevano abbandonato nel 2019 il Trattato INF, firmato nel 1987 da Reagan e Gorbachev, che vietava a USA e URSS (poi alla Federazione Russa) l’installazione a terra di missili sia convenzionali che nucleari a medio raggio. Dunque, per la prima volta da questa uscita, Washington impianta stabilmente sistemi di questo genere. Avevano detto che il piazzamento sarebbe coinciso con la durata delle manovre. E invece no: le piattaforme di lancio non sono state smontate. Anzi, circa un mese fa è giunta la conferma che i missili rimarranno al loro posto a tempo indeterminato e che gli USA stanno testando la fattibilità del loro impiego in un conflitto regionale. Il colonnello filippino Louie Dema-ala ha detto che insieme alle autorità di Manila sarà il comando americano nella regione (USARPAC) a decidere quanto a lungo perché, specifica il militare, sono gli americani a possedere i sistemi, non sono nostre attrezzature.
La reazione cinese e russa
Russi e cinesi (questi ultimi in particolare) non potevano certo essere lieti della notizia. Mosca e Pechino hanno espresso condanna al dispiegamento dei Typhon e hanno accusato Washington di fomentare la corsa agli armamenti. Putin ha citato il dislocamento dei Typhon quando ha annunciato la ripresa della produzione dei missili a medio raggio, quelli con la capacità di portare testate nucleari. La Cina ha definito i Typhon come evento che porta con sé un enorme rischio di conflitto bellico nella regione e che questi sistemi d’arma minacciano seriamente la sicurezza regionale e intensificano il confronto geopolitico. Dunque chiede agli USA di toglierli il prima possibile, da essi stessi preannunciato. Un mese fa il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha ribadito che il dispiegamento in questione mina la pace e la stabilità regionale.
Aggressività americana travestita da difesa
Probabilmente le orecchie degli europei percepiscono il tintinnare di sciabole nelle Filippine come un rumore vago e lontano. Per comprendere quanto sia inquietante tale suono, bisogna notare le analogie fra il comportamento attuale degli USA in Asia e quello dei primi anni ‘80 in Europa. Le circostanze non differiscono molto: all’epoca fu il posizionamento dei Pershing in Germania Occidentale, puntati contro l’Unione Sovietica. Ciò generò la cosiddetta “crisi degli euromissili”, uno dei momenti più complicati di un periodo fatto di eventi ad alta pericolosità. Oggi un tipo simile di missile viene piazzato dagli USA in un Paese “alleato”, per avere costantemente nel mirino un altro avversario geopolitico, la Cina. E se nel primo caso a rimetterci erano gli europei, oggi lo sono gli asiatici del sud-est: in entrambi i casi, nazioni lontane dagli Stati Uniti che servono da avamposto armato del Pentagono.
Filippine 2024 come Cuba 1962
Ovviamente il piazzamento di missili a medio raggio è presentato come azione a scopo difensivo, pure con qualche ragione. Ma resta il fatto che Manila viene trattata come filiale a disposizione di Washington, che sta alzando la tensione in maniera esponenziale. Si consideri inoltre che dopo per l’INF gli USA avevano come controparte la Russia. Ma dal momento del loro uscita, hanno sfruttato l’affrancamento dai divieti del Trattato non in Europa, ma anzitutto nel sud-est asiatico. Un altro esempio può aiutare un europeo a comprendere come l’atteggiamento statunitense sia percepito come aggressivo dalla Cina. La distanza fra le postazioni Typhon sulle Filippine e la metropoli cinese di Shanghai è di poco inferiore a quella fra Cuba e la città di Washington. Viene spontaneo il parallelo col 1962, quando gli americani non potevano tollerare che l’isola caraibica ospitasse missili sovietici, al punto da mostrarsi disposti persino alla guerra nucleare…
E adesso pure il Giappone?
A settembre il Japan Times riferiva che gli USA avrebbero espresso interesse a installare sistemi nucleari a medio raggio anche in Giappone. L’intenzione dichiarata è di impiegarli in esercitazioni congiunte: il copione già visto nelle Filippine. Tutto ciò conferma che Washington aveva in mente di occuparsi dell’egemonia in Asia il prima possibile. Purtroppo un copione simile potremmo vederlo anche in Germania, sebbene non prima del 2026, quando gli americani dovrebbero piazzare Tomahawk e altri tipi di missili puntandoli ovviamente contro la Russia. Washington aprirà davvero un doppio fronte di una guerra globale? Per il momento rinforza le sue posizioni avanzate nel teatro del Pacifico. Piazza i suoi missili a medio raggio nelle Filippine con l’intento mal celato di tenere sotto scacco Pechino. Il riferimento ovviamente è a Taiwan, ma preoccupa soprattutto sfoggio di muscoli da parte statunitense, che alza la tensione e destabilizza ulteriormente la regione.
Vive a Mosca dal 2006. Traduttore dal russo e dall’inglese, insegnante di lingua italiana. Dal 2015 conduce conduce su youtube video-rassegne sulla cultura e la società russa.