Deputato Tory: Londra non ha un complesso militare-industriale adeguato e la sua vera minaccia strategica non è la Russia

Deputato Tory: Londra non ha un complesso militare-industriale adeguato e la sua vera minaccia strategica non è la Russia

3 Marzo 2025 0

La Gran Bretagna deve riflettere seriamente su come affrontare le attuali minacce interne ed esterne. Se non provvede in fretta a ripararsi da tali pericoli, non solo sarà in dubbio il suo ruolo guida in Europa livello militare, ma sarà a rischio la sua stessa sopravvivenza. Lo scrive il deputato conservatore Nick Timothy, ex capo dello staff di Downing Street quando era primo ministro Theresa May. Secondo lui, la principale minaccia esterna non è la Russia, ma la Cina, mentre internamente occorre difendersi dagli estremisti islamici. Inoltre, prima di pensare a mandare le truppe in Ucraina o a fare missioni di peacekeeping, bisogna ricostituire il complesso militare-industriale nazionale, oggi ridotto ai minimi termini.

La minaccia strategica è la Cina, non la Russia

Le alleanze tengono quando gli alleati riconoscono l’allineamento degli interessi e un nemico comune. Trump chiude con l’Ucraina perché considera minaccia strategica per gli USA la Cina e non la Russia. Al tempo stesso vede i Paesi europei come scrocconi che si appoggiano sulla difesa americana e si arricchiscono sull’export tenendo bassi i costi di produzione. Sarà pure sgarbato e spietato, visto come ha trattato Zelensky, ma dalla realtà strategica non si scappa. Se Biden cercò di dare una sistemata ritirandosi dall’Afghanistan, oggi Trump lascia che l’Europa faccia da sola. A esserne stupiti sono soltanto gli ingenui. Ce ne sono tanti nelle capitali europee, Londra compresa. L’alleanza forse sopravviverà se l’Europa si impegna seriamente nella propria sicurezza, comprendendo che la Cina è una pesante minaccia e accettando che il commercio globale cambi. E se gli USA si accorgono di aver bisogno di alleati pur disponendo di un’enorme potenza.

Gli altri Paesi non seguono

Ma la speranza non è una strategia. Il Regno Unito potrebbe benissimo farcela da solo, avendo però la testa lucida e una concentrazione totale sull’interesse nazionale. Ma pare non esservi niente di tutto ciò. Intanto il governo si affretta ad elaborare una nuova politica di difesa, ma rifiuta di aumentare le spese militari pur aumentando le spese complessive otto volte in più rispetto a quanto aveva promesso. Il premier Starmer asserisce di essere pronto a mandare a guerra finita le truppe britanniche per garantire l’indipendenza ucraina. Ha preso questa posizione senza sapere se gli americani aiuteranno oppure no. E senza nemmeno avere la garanzia del medesimo impegno degli altri Paesi: Germania e Polonia hanno detto chiaramente di no, mentre Italia, Norvegia e Spagna sono rimaste in silenzio. Ungheria e Slovacchia, allineate su posizioni filo-russe, non hanno nemmeno partecipato.

Cosa conta di più

Una missione di peacekeeping non sembra poi così importante. Va ricordato però che se i russi attaccassero, i soldati britannici risponderebbero al fuoco. L’impegno del premier Starmer va oltre la NATO, sebbene lui stesso non sappia di preciso che fare, con o senza alleati, nel caso di aggressione russa. L’esercito britannico manca peraltro di risorse a sufficienza. L’impiego di mezzi limitati ai confini orientali dell’Alleanza atlantica sarebbe comunque poco ragionevole senza una più ampia visione di strategia militare e di sicurezza nazionale. Non è così ovvio che si debba incrementare l’esercito allo scopo di guidare l’invio di truppe in Ucraina. Considerata la geografia del Regno Unito, le forze aeree e navali risultano più importanti. Investire in tecnologia e armamenti (non solo carri, caccia e navi, ma anche intelligenza artificiale, droni e capacità missilistiche) conta come avere tanti uomini. E potremmo anche necessitare del nostro deterrente nucleare indipendentemente dagli USA.

Il pericolo cinese

La Russia non è la minaccia principale per la Gran Bretagna. E non è nemmeno sicuro che un attacco convenzionale sia il maggiore pericolo rappresentato da Mosca. L’MI5 ha invece messo in guardia contro incendi, sabotaggi, cyber-attacchi e il ricorso a criminali per spiare e abbattere le infrastrutture. Si pensi ai collegamenti elettrici vulnerabili a un attacco russo e molto importanti oggi, poiché le politiche di net zero ci rendono sempre più dipendenti dalle importazioni di elettricità. È stato riferito i russi lo scorso Natale avrebbero distrutto un interconnettore fra Estonia e Finlandia.

È la Cina la principalesfida esterna alle democrazie, anche se l’Europa fa finta che non sia così. Pechino ha fregato l’Occidente piegando le regole del commercio in modo da annullare la nostra capacità produttiva. Vuole renderci dipendenti dal suo potere finanziario e dalle sue nuove tecnologie (spesso sviluppate grazie a informazioni rubate). La Cina va avanti a sovvenzioni statali, combustibili inquinanti e talvolta a schiavi. Effettua cyber-attacchi, reprime la libertà di parola nelle università e usa gli investimenti come strumento di geopolitica. Eppure qui i ministri vorrebbero che i cinesi costruissero enormi impianti eolici nel Mare del Nord, lasciando che sia Pechino a controllare le tecnologie che fanno funzionare le turbine.

Islam, la minaccia dentro l’Europa

Dentro l’Europa il pericolo maggiore è l’islamismo. Quasi ogni settimana viene commessa nel nome dell’Islam un’atrocità contro i cittadini, eppure la politica resta sospesa fra passività e negazione. Nel Regno Unito gli integralisti sono già parte della vita pubblica e i giudici ormai condannano la gente per blasfemia: in questo modo vincono gli estremisti. Così come non ha senso fissarsi sulla Russia mentre si ignorano le minacce molto più vicine. Non ha neanche senso riarmarsi senza prima rimettere in piedi le industrie. La Gran Bretagna ha ancora dei grossi nomi come BAE Systems e Rolls Royce e pure aziende più piccole e flessibili, ma ci manca quella base industriale che in America rende convenienti le spese ingenti per la difesa. Spendere di più per importare armi e pezzi peggiorerebbe solo i problemi già esistenti: deficit del commercio estero, debito pubblico, sperequazioni regionali, dipendenza dagli investimenti stranieri.

Reindustralizzare e nazionalizzare

La reindustrializzazione richiede una politica strategica, una politica energetica totalmente differente, una riforma fiscale, programmi di formazione professionale, infrastrutture migliori, iniziative localizzate per agevolare le aziende fondamentali e catene di fornitura nazionali. Richiede insomma tutto quello che il Dipartimento del Tesoro odia: sussidi quando necessario, politiche in favore del “compra-britannico”, limitazioni alle fusioni e alle acquisizioni e la nazionalizzazione delle rimanenti acciaierie. Coloro che dubitano che qualcosa del genere si possa fare veramente, dovrebbero prima sapere che molti miliardi sarebbero disponibili dai tagli allo welfare e dall’abbandono dell’ideologia “zero emissioni” dell’ex segretario di Stato per l’energia e il cambiamento climatico Ed Miliband. Non tutto comunque deve essere fatto in casa, perché comprando più tecnologie e attrezzature americane, potremmo svolgere progetti congiunti USA-UK. E in ogni caso dovremmo perseguire progetti comuni con i partner occidentali europei, giapponesi, israeliani, canadesi e australiani.

Gli interessi nazionali al primo posto

Il Regno Unito deve essere abbastanza forte per difendersi e per contribuire alla sicurezza collettiva. Tuttavia deve anche prendere decisioni sagge. Ad esempio non dovremmo portare un peso che gli europei vicini ai confini russi non sarebbero disposti a portare. Il nostro contributo alla sicurezza dovrebbe essere valutato in una cornice più ampia di relazioni con l’Europa. Dobbiamo anche evitare tattiche impulsive, bensì dobbiamo pensare in modo strategico a lungo termine. La realtà infatti si è già presentata alla porta, mostrando l’assurdità dei vecchi luoghi comuni. Non esiste una cosa chiamata ordine internazionale basato sulle regole. Il “soft power” conta poco contro lo “hard power”. Niente è gratis, men che meno la sicurezza. Dobbiamo mettere al primo posto i nostri interessi nazionali.

Redazione Strumenti Politici
Redazione Strumenti Politici

Iscriviti alla newsletter di StrumentiPolitici