Dallo stallo in Libia alla tragedia Azawad. Intervista al capo del Consiglio Supremo Tuareg Moulay Jedidi

Dallo stallo in Libia alla tragedia Azawad. Intervista al capo del Consiglio Supremo Tuareg Moulay Jedidi

31 Ottobre 2023 0

In Libia, tra progressi e regressi, il processo politico sembra ormai naufragato. Lo stallo causato dalla divisione politica ed istituzionale, se prolungato, rischia di degenerare in una nuova escalation di violenza. Contrariamente agli attori politici, il tessuto sociale e tribale è riuscito a mantenere finora la propria coesione nonostante le innumerevoli sfide. La legge elettorale approvata dal Parlamento presenta ancora punti di disaccordo.

Tra questi, la possibilità di partecipare all’elezione dei propri rappresentanti per Tuareg e Tebu apolidi, nati e cresciuti in Libia senza numeri nazionali, ma in possesso di matricole amministrative. Preoccupa inoltre la situazione nel Sahel, in particolare Mali e Niger. Ne parliamo in questa rara intervista esclusiva con il presidente del Consiglio Sociale Supremo delle Tribù Tuareg della Libia, Moulay Jedidi.

Grazie, signor Jedidi, per aver accettato questo incontro. A che punto siamo con il processo di riconciliazione in Libia?

“Possiamo dire che la riconciliazione in Libia, nonostante sia stata avviata anni fa, e nonostante gli sforzi compiuti per realizzarla, non ha ancora visto la luce a causa degli ostacoli che si trova ad affrontare”.

Quali sono questi ostacoli?

“Tra gli ostacoli alla riconciliazione nazionale, innanzitutto lo Stato non ha sviluppato un vero progetto in tal senso, non sostenendo i programmi di riconciliazione comunitaria portati avanti da alcune tribù, consigli sociali e istituzioni. La mancanza di garanzie per l’attuazione e l’implementazione di qualsiasi accordo, in particolare i risarcimenti per i danni subiti durante i conflitti. Inoltre, alcuni partiti sono stati dotati di armi al di fuori del quadro statale”.

Le tribù libiche svolgono un ruolo importante nella riconciliazione. Avete il sostegno di qualche stakeholder chiave come il Consiglio di Presidenza, il Governo o Parlamento?

“Le tribù libiche hanno avuto un ruolo fondamentale nella riconciliazione, ma non hanno ricevuto sostegno da nessuno, perché i partiti influenti sulla scena politica hanno voluto sfruttarle per i propri interessi”.

Dopo Derna, una delegazione di cui lei fa parte ha visitato la città occidentale di Al-Zawiya. Chi sono i vostri principali partner e interlocutori in quelle città?

“La visita a Derna e nell’area di Jabal al-Akhdar (la Montagna Verde nell’est del Paese ndr), colpita dalle inondazioni, è stata coordinata da un comitato preparatorio i cui membri includevano elementi provenienti dal sud, dal centro e dall’ovest della Libia. Circa 500 persone provenienti da tutto il Paese hanno partecipato alla missione, via terra, avanti e indietro, sotto il nome di “la delegazione della patria” e dopo alcuni giorni di ritorno dai nostri fratelli della regione orientale, da Tripoli siamo arrivati a Zawiya, dove si è tenuto il secondo incontro, in cui abbiamo convenuto che un terzo incontro si sarebbe svolto in una delle città del sud, con l’aiuto di Dio”.

Qual è il punto di vista del Consiglio Sociale Supremo Tuareg sui recenti sviluppi politici in Libia?

“Il Consiglio Sociale Supremo dei Tuareg della Libia segue da vicino il corso degli eventi in Libia, e anche se chiediamo lo svolgimento delle elezioni il più presto possibile, soprattutto dopo essere stati informati dei risultati dei lavori del Comitato 6+6 nel Consiglio progetto di legge elettorale n. 7 del 2023 d.C., che autorizzava chiaramente nell’articolo n. 88, i titolari di numeri amministrativi a partecipare alle elezioni, siamo rimasti sorpresi dall’emanazione della legge da parte del Parlamento libico in cui quello stesso articolo è stato cancellato”.

“Pertanto, il Consiglio ha rilasciato una dichiarazione in cui conferma che questa legge è viziata perché non rispetta i diritti di un segmento della popolazione Tuareg che detiene numeri amministrativi. Si può dire che è una legge emanata dal comitato 6+5 e non 6+6. Molte dichiarazioni sono state rilasciate anche da organizzazioni della società civile e da giovani tuareg titolari di matricole amministrative. In molti rifiutano questa legge e chiedono di boicottare le elezioni e di non riconoscerne i risultati”.

Crede che le tribù libiche siano in grado di fornire una road map alternativa per far uscire il Paese da un’impasse di lunga data?

Credo fermamente che i libici siano in grado di presentare una road map alternativa per far uscire il Paese da un’impasse di lunga data, a patto che la questione sia lasciata a loro senza interferenze da parte di nessuno”.

Cosa pensi della situazione in Azawad (Mali) e in Niger? Esiste un coordinamento o una comunicazione tra i tuareg in Libia e le componenti di quelle aree?

“Seguiamo con interesse gli sviluppi degli eventi nelle regioni dell’Azawad e del Niger perché ci preoccupano molto e le sue conseguenze direttamente. Siamo legati agli abitanti di quelle zone da vincoli di sangue e di vicinato, sono nostri fratelli e le nostre famiglie, e abbiamo rilasciato numerose dichiarazioni in cui abbiamo affermato la nostra solidarietà con loro”.

“Invitiamo la comunità internazionale e le organizzazioni umanitarie a intervenire per fermare i crimini commessi contro queste popolazioni, per denunciare il programma di genocidio e di pulizia etnica in corso contro di essi. La situazione lì è molto pericolosa, è necessario trovare soluzioni radicali a queste crisi, in modo che il loro contagio non si diffonda a tutti i paesi vicini e tutti se ne rammarichino, poiché il rammarico non servirà affatto”.

I media ne parlano poco, cosa sta succedendo esattamente?

“Quello che sta accadendo nella regione di Azawad, nel nord del Mali, è una pulizia etnica e un genocidio dei tuareg, soprattutto da quando l’attuale governo del Mali si è alleato con i mercenari russi Wagner, e stanno compiendo massacri di residenti indifesi. In molti villaggi e città hanno ucciso anziani, donne e bambini. Hanno bruciato proprietà, ucciso bestiame e avvelenato pozzi. Tutto ciò è avvenuto davanti agli occhi della comunità internazionale e anche con il sostegno di alcuni paesi che ambiscono alla ricchezza di quelle regioni. La cosa strana è che non abbiamo assistito ad alcun movimento, né da parte di paesi né da parte di organizzazioni che pretendono di difendere i diritti umani e proteggere i civili, per fermare questi atti criminali che equivalgono a crimini contro l’umanità”.

“Queste azioni sono ciò che ha suscitato l’urgenza nazionale tra la popolazione dell’Azawad di riprendere le armi, in difesa della propria esistenza, della propria terra e del proprio onore, dopo che avevano promesso la pace firmando un accordo con il governo del Mali nel 2015 sotto la guida e sponsorizzazione algerina. Tuttavia, questa escalation sistematica, sostenuta da alcuni paesi, ha minato la situazione. Tutti gli sforzi miravano a raggiungere la pace, la calma e la riconciliazione con il governo del Mali. Ciò che è accaduto e accade di volta in volta in Niger non è lontano da questo scenario, con gli stessi scopi, ragioni e obiettivi. Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire per fermare il sangue di persone innocenti e proteggere vite umane e proprietà, prima che la situazione vada fuori controllo e l’intera regione precipiti in una guerra senza fine”.

 

Vanessa Tomassini
Vanessa Tomassini

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