Bloomberg: “L’Europa sta promettendo all’Ucraina armi che non può produrre”

Bloomberg: “L’Europa sta promettendo all’Ucraina armi che non può produrre”

21 Luglio 2023 0

Sul giornale finanziario americano Bloomberg è apparsa un’impietosa analisi delle condizioni del comparto produttivo dei membri della NATO. Le buone intenzioni e le belle parole del blocco euroatlantico verso l’alleato ucraino sono contraddette dalla realtà dei fatti. In Europa e negli USA i magazzini militari sono quasi vuoti, ma non è un dettaglio trascurabile.

I produttori di armamenti, infatti, semplicemente non riescono a stare al passo coi volumi promessi a Zelensky: figurarsi a ricostituire in tempi brevi gli arsenali occidentali. Le cause e le implicazioni di questa situazione sono descritte da Max Hastings, editorialista e scrittore, ex caporedattore del Daily Telegraph e del London Evening Standard.

Le buone intenzioni del Summit a Vilnius

La settimana scorsa a Vilnius si sono sentite parecchie buone intenzioni pronunciate da tutti i membri dell’Alleanza Atlantica, pur sussistendo tra di essi delle differenze sulla possibile adesione dell’Ucraina. Ma il severo giudizio su quanto sta avvenendo, cioè l’enorme divario tra parole e fatti, è sottolineato dalle pessime condizioni delle forniture di armi su entrambe le sponde dell’Atlantico. Gli Stati Uniti sono messi un po’ meglio dell’Europa, ma persino il Paese più potente nella NATO si trova ad affrontare serie difficoltà nel mantenere il suo appoggio all’Ucraina.

Dimentichiamoci per un attimo delle bombe a grappolo, di cui si è parlato in modo acceso a Vilnius. Consideriamo invece il fatto incredibile che gli USA sono costretti a prendere a prestito o ad acquistare munizioni convenzionali di artiglieria dalla Corea del Sud per poter dare ulteriori forniture all’Ucraina. Ritorneremo dopo sul tema dei magazzini vuoti dell’arsenale americano. La situazione dell’Europa è molto peggiore.

La debolezza degli arsenali europei

Nell’ultimo numero della sua rivista, l’International Institute of Strategic Studies (IISS) ha emanato in un’autorevole analisi il seguente pesantissimo verdetto: Le Forze armate dei membri europei della NATO e dell’Unione Europea si sono impoverite, rovinate da attrezzature fuori uso e da magazzini gravamente svuotati. La debolezza degli arsenali europei, congiuntamente alle limitate capacità del Vecchio Continente di rinnovarli, provoca l’insorgere dell’urgente questione se le industrie europee siano o meno in grado di continuare a sostenere militarmente l’Ucraina coi volumi e coi tempi necessari e se sappiano reintegrare le loro forze nella NATO e nella UE.

Il bluff tedesco

Più di un anno fa il governo tedesco – il trasgressore principale – si era impegnato in un progetto di ricostruzione da 100 milioni di euro per le proprie Forze armate, ormai logore. Oggi però, secondo le stime, avrebbe speso appena l’1% della somma promessa. E il primo documento sulla Strategia di sicurezza nazionale tedesca, pubblicato il mese scorso, invece di enfatizzare la determinazione della maggiore potenza economica d’Europa, ne ha evidenziato la debolezza.

In Germania, così come in tutti gli altri Paesi europei (con la notevole eccezione di Polonia, Repubbliche baltiche e Scandinavia) manca la volontà politica di adottare misure efficaci sia per rinforzare le proprie Forze armate che per sostenere il riarmo ucraino. Vi è una viscerale avversione per l’aumento delle spese militari persino in Gran Bretagna, che ha aiutato l’Ucraina più di ogni altro Stato europeo.

Le esortazioni al riarmo inglesi

Recentemente, un politico di lungo corso del Partito Conservatore si è espresso contro le mie esortazioni al riarmo: Se i russi non riescono a sconfiggere sul campo una potenza di seconda categoria come l’Ucraina, come possiamo pensare che la NATO debba temere Putin? Io ho risposto che siamo terribilmente vulnerabili alle insidie dei russi, ad esempio verso le nostre infrastrutture sottomarine, per non citare la nostra incapacità di sostenere seriamente le forze americane contro la Cina qualora fosse necessario. Soprattutto ho sottolineato la nostra impossibilità di conservare efficientemente il flusso di armamenti per Kiev.

Il mio amico, però, non è rimasto convinto così come non lo sono centinaia di milioni di europei, preoccupati dei loro tanti e diversi problemi interni, come testimoniano le sommosse in Francia. In pochi hanno compreso che i tempi richiesti per aumentare la produzione di armi sono particolarmente lunghi. Lo standard è costituito da due o tre anni che intercorrono fra la commessa e la consegna, persino per le munizioni e i materiali di base.

Quei Paesi NATO ancora abituati alle guerre – in pratica USA, Regno Unito e Francia – si sono concentrati su produzioni relativamente piccole. Semplicemente non ci sono fabbriche per garantire nel breve periodo grosse produzioni nemmeno delle più comuni munizioni di artiglieria.

La crisi delle aziende del comparto bellico NATO

La britannica BAE Systems ha recentemente comunicato al Pentagono che le occorrono almeno 30 mesi per far ripartire la produzione degli obici M777, una delle armi chiave nella difesa ucraina. Un nuovo contratto da 190 milioni di sterline col governo di Londra per i proiettili da 155mm richiede le medesime tempistiche. La tedesca Rheinmetall ha dichiarato che serve non meno di un anno per la riparazione e la modernizzazione dei carri armati da battaglia, a causa dei tempi di fabbricazione dell’acciaio speciale e dei componenti elettronici.

Sono saliti alle stelle i prezzi delle materie prime che non sono estratte nei Paesi EU e che sono impiegate per la produzione di armi. Il governo francese qualche tempo fa ha chiesto alla MBDA Missile Systems di incrementare di 20 unità al mese la produzione dei sistemi di difesa aerea Mistral, e gli è stato offerto di arrivare forse a 40 pezzi mensili entro il 2025. Le Forze armate tedesche si trovano in uno stato di mancanza di munizioni che richiederebbe 20 miliardi di euro di nuove commesse. Ai ritmi attuali di conclusione dei contratti ci vorranno vent’anni.

Lo scorso febbraio Susanne Wiegand, amministratore delegato del RENK Group, che fabbrica le trasmissioni per i tank, ha detto che è giunto appena un piccolo rivolo di nuovi ordinativi. Nel frattempo, alcune industrie sono costrette a fare i conti con le grosse difficoltà commerciali dei loro proprietari. La britannica Rolls-Royce ha tagliato gli investimenti internazionali a causa di grossi guai aziendali. Ad essa appartiene la tedesca MTU, che produce motori per carri e per veicoli corazzati: gli sforzi di quest’ultima per assumere nuovi operai ed espandere la produzione vanno contro la politica dei tagli fatti altrove da Rolls-Royce.

Inoltre, tutti i grandi fabbricanti ci vanno piano col finanziare le espansioni, perché poi magari la guerra in Ucraina di colpo finisce oppure i governi continuano a non volersi armare. Sarebbe ingiusto accusare di miopia le grandi aziende europee finché esse sono alla mercé di governi riluttanti a fare programmi che vadano oltre il prossimo martedì.

L’economia di guerra UE

Gli Stati europei stanno cercando di rafforzare la cooperazione allo scopo di abbassare le spese inutili: ad oggi vi sono 15 società in 11 Paesi UE con impianti capaci di produrre i proiettili da 155mm. Il nuovo Fondo europeo per la difesa, dedicato alla condivisione delle risorse per ricerca&sviluppo, dovrebbe rappresentare un passo nella giusta direzione, ma ci vorranno anni prima che inizi a dare i suoi frutti. Lo studio dell’IISS conclude affermando che il credere nella permanenza dello scudo protettivo dell’America è ancora la causa delle carenze dei governi europei nella difesa.

Nonostante tutte le belle parole pronunciate dall’inizio dell’invasione russa, non si è avuta alcuna ricapitalizzazione importante delle Forze armate né commesse su larga scala indirizzate al miglioramento del potenziale, nemmeno in quella Gran Bretagna che più di tutti si batte il petto in segno di sfida verso Mosca. Intanto, dall’altra parte dell’Atlantico anche gli USA si scontrano con la difficoltà di fabbricare munizioni in quantità tali da sostenere un conflitto prolungato.

Nella Seconda guerra mondiale il presidente Franklin Roosevelt e il primo ministro Winston Churchill decantavano il ruolo dell’America come “arsenale della democrazia”. Oggi, Washington trova duro essere all’altezza di quella nomea. Michael Brenes, docente di storia a Yale, ha firmato un nuovo studio che riflette il pensiero di quegli europei che sono critici verso le performance del proprio continente.

Brenes scrive che la retorica pomposa del presidente Joe Biden sul ruolo dell’America nella fornitura di armi all’Ucraina non corrisponde alla realtà sul campo. E aggiunge: Carenze nella produzione, competenze insufficienti e interruzioni della catena di fornitura hanno azzoppato la capacità degli USA di garantire armamenti all’Ucraina e di espandere il potenziale difensivo (americano).

Il Governo Usa ha le armi spuntate

Durante la Seconda guerra mondiale il governo americano possedeva quasi il 90% degli impianti produttivi nazionali di aerei, navi, pistole e munizioni. Oggi le industrie private rispondono di quasi tutte le commesse nuove. Una tale dipendenza dai privati risale alla Guerra di Corea e si intensificò negli anni del Vietnam. Inoltre, numerose parti di sistemi d’arma fondamentali oggi vengono fatte all’estero.

La catena di produzione del caccia F-35, il contratto militare più costoso della storia, include un magnete proveniente dalla Cina. Pure gli spendaccioni come l’ex presidente Ronald Reagan enfatizzavano i super-progetti come il missile MX, il bombardiere B-2 stealth e il caccia F-22 stealth, insieme all’ormai dissolta Iniziativa di Difesa Strategica (SDI), a danno delle vecchie e noiose armi convenzionali. Quando il budget della difesa venne brutalmente tagliato sul finire della Guerra Fredda, si persero decine di migliaia di posti di lavoro e il numero dei produttori si restrinse sensibilmente.

Oggi vi sono tre produttori di missili tattici, contro i più di dodici che esistevano trent’anni fa, e soltanto due di caccia da combattimento. Gli investimenti privati hanno avuto un triste ruolo sia nella difesa che in molti altri settori, riducendo drasticamente il numero dei piccoli fabbricanti che creavano i componenti di secondo piano di cui oggi gli ucraini hanno un disperato bisogno, ma che generano poco profitto.

Il paradosso cinese

La Cina produce i pezzi principali che occorrono alla difesa con una rapidità cinque volte superiore a quella degli USA. I ritardi nella manutenzione, soprattutto nella Marina, stanno paralizzando l’operatività bellica. Qualche tempo fa il sottosegretario alla Difesa per gli acquisti William LaPlante aveva dichiarato al New York Times che erano stati gli stessi USA a permettere che le linee produttive si raffreddassero e a guardare come i materiali stessero lì a invecchiare.

Nonostante la guerra in Europa, i grandi appaltatori americani si stanno scannando per le grosse commesse come gli ICBM, i bombardieri stealth e simili, invece che per i pezzi a tecnologia relativamente limitata che servono urgentemente agli ucraini. Le Forze armate USA, anche quando combattevano conflitti circoscritti come Iraq e Afghanistan, avevano problemi con la mancanza di munizioni e di equipaggiamenti.

Oggi la carenza è ben peggiore perché in Ucraina milioni di uomini e di donne stanno lottando per sopravvivere. Nei mesi iniziali del conflitto, l’Ucraina ha talvolta consumato fino a 500 Javelin anti-carro al giorno, bruciando un terzo dei magazzini americani solo nelle prime settimane di operazioni. La Lockheed Martin e la Raytheon, che adesso producono complessivamente 2100 Javelin all’anno, hanno detto che raddoppieranno i numeri, ma non prima del 2025.

Dipendenza ucraina e lentezza nel rispondere occidentale

Una tale scarsità di armi a tecnologia relativamente bassa può servire a spiegare il nuovo impegno di Washington di passare alle munizioni a grappolo, che sono vietate dalla maggior parte degli alleati USA a causa della loro pericolosità per la popolazione civile. Coloro che criticano questa decisione rifiutano di riconoscere quanto poco vi sia di altro a disposizione immediata, nel caso in cui le bombe a grappolo non vengano inviate.

L’Ucraina dipende in larga parte dalle munizioni fornite mediante i terzi come la Sud Corea, nella quale il 56% degli elettori si è espresso negativamente rispetto agli aiuti militari diretti. Seul sta vendendo alla Polonia 13,7 miliardi di dollari di carri, jet e altre attrezzature. Nel 2023 ha esportato centinaia di migliaia di proiettili, alcuni dei quali negli USA, mettondoli così in condizione di trasferirli all’Ucraina.

Brenes conclude: Gli Stati Uniti non possono essere l’arsenale della democrazia né per l’Ucraina né per nessun altro Paese, se non riusciranno a far concordare la propria politica estera con quella interna [e] a investire di più nel futuro degli americani tramite un impegno a lungo termine per una nuova generazione di operai qualificati.

La situazione russa

E i russi intanto come se la passano? Le loro perdite umane e materiali a partire da febbraio 2022 sono state enormi. L’analisi forse più credibile tra quelle liberamente consultabili a proposito delle difficoltà di approvvigionamento di Putin è stata effettuata dall’Agenzia ricerche della Difesa di Svezia.

Vi si dice che la Russia non solo sta incontrando carenza di carri, armi ed equipaggiamento militari, ma è anche obbligata ad affidarsi a pezzi ormai vecchi perché quelli più moderni sono stati distrutti. L’affermazione principale però è questa: L’utilizzo intensivo delle munizioni da parte dei russi non può durare a lungo.

Metà dell’arsenale pre-bellico stimato di 16 milioni di proiettili è stato sfruttato nel primo anno di guerra e alcune delle munizioni sparate oggi mostrano danni da ruggine. Per mantenere i consumi bellici russi del 2022 ci vorrebbe una produzione industriale di quasi sei milioni di pezzi all’anno, che è un numero impossibile.

Il modo in cui il conflitto si svilupperà nei prossimi mesi dipende parzialmente da quanto efficacemente la NATO saprà armare l’Ucraina, ma anche da come Corea del Nord, Iran e Cina forniranno armi alla Russia. Qualunque sia l’esito della guerra, dicono gli autori, la nazione del presidente Vladimir Putin avrà bisogno di anni per ricostituire il suo potenziale pre-bellico. Sfortunatamente tale visione conferma lo scetticismo di molti politici occidentali, compreso quell’esperto politico britannico che ho citato prima, riguardo al destinare miliardi per il nostro riarmo.

I vantaggi della Russia rispetto all’Occidente

La Russia, tuttavia, conserva una serie di vantaggi rispetto all’Occidente: poiché la sua economia e le sue industrie sono soggette al controllo diretto del Cremlino, Putin può concentrare lo sforzo produttivo nazionale di armi sulle munizioni che servono di più in Ucraina.

Sebbene a Vilnius siano state dette parecchie cose buone, rimane essenziale riconoscere la gravità della crisi di approvvigionamento della NATO. Uno studio delle sue forze europee pubblicato il mese scorso e scritto dall’ex colonnello di brigata Ben Barry e da un gruppo di altri guru della strategia, dice che una domanda importante è se gli alleati europei siano più seri oggi a proposito degli armamenti di quanto non lo fossero dopo che l’Ucraina venne invasa una prima volta nel 2014. Il capo dell’esercito tedesco, tenente generale Alfons Mais, ha ripetutamente asserito che il suo Paese è rimasto indietro rispetto alle sue stesse ambizioni di riarmarsi.

Viviamo in un’era in cui pochi governi occidentali possono godere del consenso politico necessario per occuparsi di questioni significativamente grandi e complesse, delle quali il cambiamento climatico è quella maggiore, ma la difesa e la ricostruzione delle infrastrutture in decadimento sono tra le principali. In un mondo pieno di minacce, fra cui la Cina che è molto peggiore della Russia, bisogna essere profondamente sconsiderati per non ridare impulso alle nostre industrie e riarmare i nostri eserciti.

L’Ucraina è una prova storica per la volontà e per la determinazione dell’Occidente. E non per la prima volta nella storia, l’esito della lotta sarà deciso non soltanto sul campo, ma anche nelle fabbriche occidentali.

Redazione Strumenti Politici
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