A chi appartiene il futuro dell’Europa?

A chi appartiene il futuro dell’Europa?

16 Maggio 2021 0

Il 9 Maggio è stata lanciata ufficialmente la Conferenza sul Futuro dell’Europa, CoFoEIl futuro è nelle tue mani, recita a lettere cubitali il sito dedicato. Essa “offre ai cittadini europei un’occasione unica per ragionare sulle sfide e le priorità dell’Europa. Chiunque, a prescindere dalla provenienza o dall’attività svolta, potrà utilizzare questo strumento per riflettere sul futuro dell’Unione europea che vorrebbe.” Un potenziale processo di riforma dal basso che può inserirsi nell’architettura stessa delle istituzioni europee, dando pieno accesso alle idee della società civile. 

Ma tra le nubi di un futuro incerto il raggio di luce della Conferenza rischia di diventare un miraggio: ancora una volta, rigidità nazionali e tecnicismi rendono l’iniziativa di una pesantezza incredibile. La struttura piramidale vede, a salire, la piattaforma online (aperta a chiunque), l’assemblea dei cittadini (composta da soggetti selezionati senza criteri specifici che discuteranno alcune proposte della piattaforma) e la Plenaria, probabilmente composta da 108 membri del Parlamento europeo, 108 dei parlamenti nazionali, 54 di governo e 3 commissari europei. Il Comitato esecutivo è formato da tre rappresentanti per istituzione con tanti saluti alla presenza della società civile. Una sola opposizione sarà sufficiente per bloccare qualunque proposta. Siamo pronti a tutto questo? Dobbiamo chiedercelo perché non è così facile, oggi, esser europei. Piaccia o meno, siamo tali anche perché preda di grandi confusioni e aspri dibattiti. Tutte le sfide globali, direttamente o meno, ci riguardano come cittadini di nazioni e d’Europa.

Dalle crisi dei subprime del 2008 e del debito sovrano nel 2012 fino allo scontro militare nel Donbass nel 2014, l’Unione si trovò divisa su molteplici campi, per molti aspetti a causa di discordanze tra i vari Governi. Dai Paesi virtuosi ai PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), alla mancanza di una politica estera comune, gli Stati si muovono troppo spesso in ordine sparso, concordi sul fatto di non esser d’accordo su iniziative economiche e sociali e sui rapporti con l’extra UE.

Confini e coste esterne sono inoltre comuni fino a un certo punto. Per italiani, spagnoli, greci, ciprioti e maltesi sono zone europee, per gli altri non sempre. Il Mediterraneo, area geopolitica di primaria importanza, è lasciato a singoli interessi di parte confliggenti gli uni gli altri. La redistribuzione (termine di una disumanità abnorme) dei migranti non mette d’accordo gli Stati. Con assurde soluzioni quali pagare a Paesi terzi affinché non arrivino altri poveri disgraziati.

Fino all’inno alla confusione dato dalla Brexit. Un Paese elevato a simbolo di libertà, in disaccordo su tutto e su niente, con la diatriba ridotta a interessi di pesca sulla Manica.

Ora la pandemia, attualità di cui faremmo volentieri a meno e che ci mette di fronte tutte le nostre contraddizioni. Il Next Generation EU è uno strumento per gli Stati europei in un’ottica di ripresa europea con soldi europei. Nuova risposta unitaria, tecnicamente elevata al più alto grado. E mentre l’approvvigionamento dei vaccini viene affidato alla Commissione Europea, l’Unione diventa leader globale nell’export dei sieri. Un modello di solidarietà unico che non solo non viene visto come opportunità geopolitica, ma non viene nemmeno riconosciuto come valore essenziale della nostra casa comune. 

Con l’inflazione prossima minaccia a causa dalla mancanza di semiconduttori e materie prime (dagli impatti ancora tutti da verificare), se i cittadini europei chiedessero una forte revisione dei trattati, cosa succederà? Al contrario, se fuoriuscissero sentimenti e iniziative antieuropee?

Probabilmente stiamo dimenticando le principali sfide con cui fare i conti: dovremmo chiederci se gli europei siano davvero consci di esser tali e se i Governi nazionali siano pronti ad assumersi la responsabilità di dare più responsabilità all’UE. L’Europa non è stata propriamente fatta, possiamo dire di aver fatto gli europei? Verrebbe da domandarsi se non fosse necessario avere, preliminarmente, leader pronti a guidarci nel mare di complessità in cui siamo immersi e farci respirare nuovamente un’idea, una visione con una passione determinante per un vero progetto europeo. Donne e uomini decisi a dar compiuta realizzazione alla casa comune, pronti a farci capire con forza perché serva maggior Europa. Disposti a coinvolgerci tutti e renderci partecipi, certo, ma sul serio. 

Alessandro Regge
Alessandro Regge

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