BRICS e sovranità digitale, apripista di una prospettiva che interessa anche la UE

BRICS e sovranità digitale, apripista di una prospettiva che interessa anche la UE

4 Novembre 2024 0

Il BRICS riunito per la prima volta nel formato allargato ha discusso a Kazan diversi temi di grande interesse. Anzitutto, i criteri di accettazione dei nuovi membri, essendovi almeno altri 30 Paesi interessati. Poi la de-dollarizzazione e tutte le questioni finanziarie e commerciali ad essa collegate. Infine la gestione dei dati informatici, argomento strettamente connesso a quelli sopra.

Sovranità valutaria, sovranità digitale

Nel mondo sta avvenendo una sorta di riflusso dalla globalizzazione. Il nazionalismo economico torna in auge e se ne parla in termini concreti con frequenza crescente. La sua attuabilità passa anche e soprattutto dalla sovranità digitale, molto più complicata da definire e implementare rispetto, per esempio, al protezionismo effettuato coi dazi doganali. I servizi digitali, infatti, coinvolgono uno spettro enormemente ampio di settori: dai sistemi di pagamento alla pubblica amministrazione, dall’identificazione personale ai trasporti. Con tutta evidenza si tratta di un tema strategico: basti pensare ai Paesi che in questo ambito devono dipendere dai software e dai portali con titolarità americana come Microsoft o Google.

Uno dei passi verso la de-dollarizzazione, che coinvolge anche la sovranità sui dati nazionali, è rappresentato dall’iniziare a utilizzare le valute locali per le transazioni internazionali. Hanno discusso di tale sostituzione del dollaro Dilma Rousseff, presidente della banca dei BRICS ed ex presidente del Brasile, e il leader russo Vladimir Putin che a Kazan faceva gli onori di casa. E proprio nel documento finale siglato dai partecipanti al summit, la “Dichiarazione di Kazan”, i componenti del gruppo dei BRICS chiedono la definizione di un quadro globale equo e giusto per la gestione dei dati, compresi i flussi transnazionali di dati, che riguardi la raccolta, la conservazione, l’utilizzo e il trasferimento dei dati; che assicuri l’interoperabilità dei quadri di gestione dei dati a tutti i livelli: che distribuisca con i Paesi in via di sviluppo i benefici monetari e non monetari dei dati.

Minaccia a stelle e strisce

Se poi si considera l’importanza crescente dei social network, delle valute digitali e dell’intelligenza artificiale, è chiaro come il tema della sovranità digitale sia già uno degli argomenti chiave della prima metà del XXI secolo. Ora anche i BRICS se ne stanno occupando. Un aspetto della questione è il luogo – o meglio lo Stato – in cui si trovano i dispositivi fisici dei server, le nuvole informatiche (cloud) e gli archivi dei dati. Tutti questi elementi costituiscono asset strategici che ormai sono riconosciuti come tali dai governi. Naturalmente questi ultimi non gradiscono che ad averne l’accesso, la custodia e soprattutto la giurisdizione siano altri Paesi, in particolare quelli con cui manca un rapporto di completa e reciproca fiducia. Qualche anno fa la Rousseff, quando era presidente del Brasile, propose ad esempio di deviare il traffico Internet per non farlo passare dagli Stati Uniti.

La finalità era di evitare altri casi di spionaggio politico e industriale da parte della National Security Agency (NSA) ai danni dei Paesi alleati. Furono vittima di questa pratica, fra gli altri, Angela Merkel la stessa Rousseff. Gli USA in questo caso usufruirono dell’aiuto della Danimarca, che detiene alcune stazioni di approdo di cavi sottomarini che vanno verso o che arrivano dalla Svezia, dalla Norvegia, dalla Germania, dall’Olanda e dal Regno Unito. L’idea della leader brasiliana era proprio quella di sviluppare un sistema di cavi a fibra ottica che porti il traffico Internet fra Sud America ed Europa senza passare dagli USA. Curioso come il giornale britannico The Guardian abbia presentato questo piano come “controverso”, implicando quindi che fosse bizzarro o negativo. Guai a contrastare gli interessi angloamericani! Altrimenti si diventa automaticamente “controversi”, persino quando si vuole semplicemente non essere spiati dagli “amici”…

Lo hanno capito persino in Europa

Sembrano averlo capito persino in un’Europa perennemente succube degli interessi di Washington. O meglio degli interessi delle compagnie cosiddette Big Tech, i giganti quotati in borsa che hanno una posizione pressocché monopolistica sui vari segmenti del mercato. Questi colossi hanno la sede e gli uomini chiave proprio negli USA. Se le loro scelte siano dettate dal governo americano o se invece sia vero il contrario, è un altro discorso che merita approfondimento. Ma rimane l’interconnessione fra la politica di Washington e il dominio mondiale del Big Tech ed è ciò che preoccupa sempre di più i cittadini e i governi di tanti Paesi. Un caso piuttosto recente è quello del Clarifying Lawful Overseas Use of Data Act o CLOUD Act, legge federale del 2018 con cui le autorità statunitensi possono ordinare alle aziende tecnologiche di fornire qualunque dato su cui abbiano controllo, indipendentemente dal luogo in cui è ubicato.

La norma ha provocato critiche e contestazioni oltreoceano. Il Garante europeo della protezione dei dati ha ritenuto il CLOUD Act in conflitto col GDPR, come confermato successivamente dalla Corte di giustizia UE. Proprio qualche settimana presso l’Europarlamento si è tenuta una conferenza intitolata “Verso l’Indipendenza Digitale Europea: Costruire l’Euro Stack”. Promossa fra gli altri anche da due accademiche italiane, Francesca Bria e Cristina Caffarra, l’evento voleva illustrare i modi con cui l’Europa possa, anzi debba, prendere il controllo del proprio futuro digitale. Dunque occorre sviluppare infrastrutture critiche capaci di rispondere alle esigenze pubbliche, proteggendo i diritti dei cittadini e sostenendo la democrazia. Gli obiettivi dell’indipendenza digitale e della sovranità tecnologica devono entrare nell’agenda della prossima Commissione Europea. Comunque, anche gli Stati membri e i loro eurodeputati devono impegnarsi in questo percorso.

Brasile, battaglie legali e prospettive geopolitiche

Anche il Brasile ha dato un contributo a questo evento del Parlamento UE. Il Paese sudamericano ha già una certa esperienza in termini di battaglie per la sovranità digitale. Ad esempio, ha combattuto e vinto una contesa legale con X, il vecchio Twitter, che la Corte suprema brasiliana aveva temporaneamente bloccato sul territorio nazionale per il mancato rispetto delle sue richieste. Elon Musk ha protestato, ma alla fine ha ceduto, e la Corte ha levato il bando. Casi del genere vengono alternativamente etichettati come relativi alla libertà di stampa o alla censura, ma non è questo l’aspetto principale. Il nocciolo della questione, come si evince anche dalla Dichiarazione di Kazan, è la sovranità digitale. Nel momento in cui una piattaforma social con sede in un altro Paese decide cosa si può scrivere, cosa nascondere e cosa evidenziare, ciò costituisce già un atto politico ai limiti dell’intromissione nella politica altrui.

Nel 2025 proprio il Brasile sarà al centro di eventi importanti a livello globale. Presiederà il BRICS e ne ospiterà il vertice annuale e inoltre sarà sede del summit per il clima COP30. Avrà quindi l’opportunità di mettere in primo piano le esigenze del Sud Globale anche sul piano della sovranità digitale. Se davvero sta emergendo un nuovo ordine multipolare, allora si potrà avere una struttura giuridica e politica equa e giusta in questo ambito. Si potrà costruire un’industria digitale e le relative infrastrutture in modo che siano sovrane e giuste. Il BRICS riunito per la prima volta nel formato allargato ha discusso a Kazan diversi temi di grande interesse. Anzitutto, i criteri di accettazione dei nuovi membri, essendovi almeno altri 30 Paesi interessati. Poi la de-dollarizzazione e tutte le questioni finanziarie e commerciali ad essa collegate. Infine la gestione dei dati informatici, argomento strettamente connesso a quelli sopra.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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