Draghi, crisi ad un bivio. Lo schema Mattarella bis è in agguato, ma il premier è pronto ad un nuovo passo del gambero?

Draghi, crisi ad un bivio. Lo schema Mattarella bis è in agguato, ma il premier è pronto ad un nuovo passo del gambero?

20 Luglio 2022 0

Sono ore convulse per la politica italiana e internazionale, anche se fra poche ore sapremo se sarà crisi vera o l’ennesimo bluff all’italiana. Le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi hanno scosso alle fondamenta il deep state italiano come mai era avvenuto prima di oggi. Si moltiplicano in rete e non solo in essa appelli, lettere, raccolte firme, addirittura flash mob (organizzati ‘spintaneamente’ dalla ‘società civile’ di Azione, Più Europa, Radicali e Pd, spesso utilizzando i propri simpatizzanti e movimenti giovanili spacciati per normali cittadini) affinché il banchiere romano non lasci Palazzo Chigi. Era dai tempi dei primi mesi del governo di Matteo Renzi che non si assisteva ad uno schieramento così compatto dell’establishment italiano nell’esprimere il proprio endorsement ad un esecutivo. Eppure sono molti i punti che non tornano in questa vicenda. Prima che l’ex premier Giuseppe Conte aprisse la crisi decidendo di far saltare il Governo sul DL Aiuti, cavalcando uno dei cavalli di battaglia del M5s di Grillo e Casaleggio il no all’inceneritore, la fiducia di Draghi era ai minimi storici. Secondo il sondaggio settimanale di Termometro Politico” realizzato tra il 14 e il 16 giugno 2022 il consenso degli italiani su Mario Draghi continuava a calare. Per la prima volta il premier il presidente del Consiglio vedeva calare sotto al 40% il proprio gradimento tra gli italiani sul suo operato. Il 51% degli intervistati affermava di non avere fiducia nel Presidente del Consiglio mentre un ulteriore 16%, pur approvando il suo operato, auspicava un governo politico l’anno prossimo. Numeri confermati fino a quattro giorni fa, prima dell’apertura della crisi avvenuta la scorsa settimana.

Sondaggio Termometro Politico

Obiettivamente c’è da domandarsi che cosa sia cambiato in pochi giorni affinché un Paese si schieri così compatto a richiedere una prosecuzione del suo mandato fino a fine legislatura, in particolare perchè in fin dei conti mancherebbero pochi mesi alla scadenza naturale del suo mandato. Una inversione di rotta da parte dell’opinione pubblica che andrebbe studiata approfonditamente perché sovverte le regole statistiche.

Nessuno disconosce il curriculum di Draghi, questo è ovvio. E’ però incredibile passare dalle critiche di più di un italiano su due ad un processo di beatificazione come quello al quale stiamo assistendo. L’apoteosi di questo processo di santificazione diventa evidente quando l’agenzia stampa Adnkronos arriva a raccogliere la testimonianza di Emanuele un clochard che vive in piazza San Silvestro e che partecipa alla manifestazione a favore del presidente del Consiglio Mario Draghi organizzata a Roma, il quale ai loro microfoni ha affermato “Draghi fa la differenza per tutto il Paese. L’Italia ha recuperato prestigio e credibilità con lui. Io che sono un barbone lo vedo, c’è un’attenzione verso di noi da parte dei servizi del Comune che prima non c’era ed è anche merito di Draghi“. E’ evidente come qualche cosa non torni nello storytelling che viene presentato all’opinione pubblica.

Sicuramente non è una questione di numeri, Draghi la fiducia l’otterrebbe ad occhi chiusi anche in caso di uscita di Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle. Forte del sostegno incondizionato del Partito Democratico, che meno di tutti vuole andare a votare perchè, sondaggi alla mano, sa che a meno di miracoli non avrebbe alcuna chance di tornare al governo del Paese, il premier potrebbe contare comunque sia del sostegno della galassia di partitini di sinistra e del neonato “Insieme per il futuro” oltre che sul Gruppo Misto che oggi conta ben 106 parlamentari. Altri fattori da non sottovalutare sono la riduzione dei parlamentari, solo 600 dei 954 attuali avranno una chance da giocarsi per tornare a Roma, è evidente quindi che questa riduzione costituisce per molti di loro un ostacolo a staccare la spina e rinunciare a circa 100mila euro di indennità da qui a fine legislatura. Vi è poi la questione della pensione, in particolare per 661 parlamentari al primo mandato, i quali devono raggiungere la fatidica data del 24 settembre, giorno dal quale maturerebbero il diritto alla pensione. Questi sono elementi che potrebbero convincere anche parlamentari di Lega, Forza Italia e Movimento Cinque Stelle a garantire il proprio voto di fiducia incondizionato al premier, abbandonando il proprio gruppo parlamentare. A ciò bisogna aggiungere i subbugli interni proprio ai due partiti di centrodestra al governo: entrambi hanno degli esponenti che da anni stanno flirtando con il Pd per la riproposizione di un sistema proporzionale che veda ripetersi l’attuale schema di governo di unità nazionale. La Lega è stritolata al suo interno dai vari Giancarlo Giorgetti, Massimiliano Fedriga e Luca Zaia; Forza Italia invece dai ministri Maria Stella Gelmini e Renato Brunetta. E’ chiaro che una uscita dal governo potrebbe portare questi esponenti a creare gruppi più o meno grandi d’appoggio al presidente nel tentativo di dare il colpo di grazia al bipolarismo.

Foto – Il centrodestra al Governo in riunione a Villa Grande

Se i numeri danno quindi già ora ragione a Draghi, resta la questione etica. Le trattative e dichiarazioni che si sono consumate dalle dimissioni del premier ad oggi tra i partiti della coalizione di governo dimostrano che non esiste “quell’agibilità politica per proseguire” che Draghi ha invocato e ha utilizzato come conditio sine qua non per dimettersi. E’ chiaro infatti che il Movimento Cinque Stelle anche se si dice pronto a votare la fiducia, continuerebbe a richiamare l’attenzione sui punti della sua lettera programmatica che non sono attuabili da parte di Draghi senza perdere il voto di Lega e Forza Italia. Una serie di veti incrociati che porterebbe ad un tirare a campare inconcludente e sicuramente molto più dannoso rispetto anche alle tanto vituperate elezioni anticipate. Elezioni che non metterebbero a rischio alcunché visto che tanti altri Paesi sono andati al voto in questi mesi senza che si affermasse che avrebbero perso i fondi del Pnrr o del Next Generation.

L’anomalia di questa crisi è costituita dalle pressioni irrituali che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e i leader internazionali stanno esercitando per evitare le elezioni e un governo di colore diverso rispetto a quello attuale. Se sta nelle prerogative del presidente Mattarella tentare di evitare lo scioglimento delle camere, anche se ormai il suo pare più un accanimento terapeutico di parte che il tentativo di curare un Parlamento malato, risultano invece del tutto fuori luogo le ingerenze esterne. In particolare quelle provenienti dal Regno Unito, un Paese che sta vivendo anch’esso una crisi politica travagliata.

C’è da domandarsi se anche questa volta funzionerà lo schema Mattarella. Quello già collaudato prima con il governo giallo-verde, poi con quello giallorosso, quindi con la grande coalizione e infine con il presidente della Repubblica. Un costante logoramento ai fianchi, con richiami alle responsabilità dell’Italia verso l’esterno, per poi disegnare sempre a propria immagine l’architrave istituzionale italiano evitando come la peste il ritorno alle urne. Certamente Mario Draghi ha ancora la possibilità di scegliere il proprio destino: confermare le proprie dimissioni o provare a costruire un secondo Governo con un programma diverso e forse anche con attori leggermente riarrangiati. Confermare le dimissioni però vorrebbe dire mettersi contro la “tecnocrazia” occidentale, e quindi mettere una pietra tombale su un suo futuro al Fondo Monetario o all’Onu: varrebbe la candela? A chi dice che non è uomo da cambiare idea sarebbe da ricordare come il premier italiano dopo pochi mesi da quando definì “dittatore” il presidente turco Erdogan in occasione di un incontro bilaterale ad inizio giugno è riuscito a rimangiarsi tutto affermando che “Italia e Turchia sono partner, amici, alleati. C’è la volontà comune di rafforzare la partnership, i due Paesi lavorano insieme per una pace stabile e duratura“. Non il massimo della coerenza, anche se è evidente che la realpolitik richiede compromessi. Insomma l’uomo è all’apparenza integro, ma messo alla prova conosce anche molto bene l’arte del compromesso. Il passo del gambero Draghi lo conosce e come ha battuto in ritirata per il presidente della Repubblica potrebbe ripetersi oggi.

Foto – Mario Draghi e Recep Erdogan al G20

Non si può che prendere in considerazione la riflessione dell’onorevole Vittorio Sgarbi, che proprie in queste ore ha dato una chiave di lettura sull’esito della crisi e sul futuro di Draghi: “Con il passare delle ore ho la sensazione che il gran rifiuto, che poteva rappresentare una via d’uscita lusinghiera per Mario Draghi, si trasformerà in una incondizionata accettazione del reincarico richiesto da Mattarella e patrocinato da capi di Stato americani ed europei, oltre che da un coro di sindaci e imprenditori che, equivocando i principi elementari della democrazia, hanno indicato in Draghi il solo commissario-salvatore della patria che può dare garanzie nella  situazione perennemente emergenziale dell’Italia. Non è palesemente vero, ed è un danno, non per gli italiani e non per la democrazia che si gioverebbe di nuove, e non veramente procrastinabili, elezioni (vista la composizione abnorme del Parlamento), ma per lo stesso Draghi che, dopo altri 8 mesi di governo , tra guerre, incendi, limitazioni energetiche, tasse, disoccupazione, reddito di cittadinanza, emergenza sanitaria, arriverà alla fine dell’arbitrario (o arbitrale mandato) completamente spompato, e privo di quella residua credibilità che oggi ne avrebbe salvaguardato la rispettabilità, in relazione a un governo palesemente ingovernabile, aldilà della presenza dei cinque stelle. Uscendo oggi o domani, resterebbe Draghi; continuando a governare finirà come Monti, e verrà dimenticato. Pensavo che, consapevole di questa possibile conclusione e certo rischio, confermasse le sue “ irrevocabili” dimissioni. Ma credo che non andrà così. E, in fondo, mi dispiace per lui. E anche per noi“.

Marco Fontana
marco.fontana

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