I successi del passato e il declino del futuro: quanto a lungo vivrà ancora la NATO?

I successi del passato e il declino del futuro: quanto a lungo vivrà ancora la NATO?

8 Luglio 2024 0

Il futuro della NATO non è roseo come vorranno mostrare i leader occidentali all’imminente summit di Washington. Le fondamenta dell’Alleanza si tengono infatti in bilico su una serie di istanze irrisolte o forse irrisolvibili. Gli slogan sulla potenza e la coesione del blocco euroatlantico li nascondono agli occhi dell’opinione pubblica, ma a livello di politica e di analisi accademica se ne parla con preoccupazione.

Cenni storici

Il Patto Atlantico venne firmato il 4 aprile del 1949 a Washington. Proprio nella capitale statunitense quest’anno si celebra il 75esimo anniversario di quella data. Di fatto si festeggia pure il superamento della scadenza naturale dell’Alleanza, che avrebbe dovuto sciogliersi o cambiare formazione tre decenni fa. Infatti aveva già egregiamente compiuto la sua missione originaria, quella di contrastare l’espansione sovietica e di difendere il “mondo libero” dalla minaccia comunista. Considerando che l’URSS si sciolse nel 1991 e che le sue truppe lasciarono definitivamente l’ex Germania Est nel 1993, non vi era più alcuna forza nemica che incombesse teoricamente o concretamente sulle democrazie occidentali.

Una subdola hybris

Washington e Bruxelles (dal 1967 sede politica e amministrativa dell’Alleanza) si ritrovavano vincitrici di un confronto storico che nel quale non avevano dovuto impegnarsi in uno scontro armato diretto. E meno male, perché ciò avrebbe comportato con tutta probabilità l’apocalisse nucleare. Il collasso sovietico fu visto come il trionfo incondizionato dell’Occidente. Insieme a una mentalità da “fine della storia”, ciò diede luogo a una sorta di hybris strategica e ideologica che fu tra i fattori principali dell’attuale crisi, ipotizza Anatol Lieven, ex accademico del King’s College di Londra e collaboratore del Quincy Institute. Da qui partì l’allargamento ad est e le azioni contro i governi “canaglia”.

Istinto di sopravvivenza

Era dura rinunciare a una struttura così ben rodata e solida solo perché il grande nemico era venuto meno. Spiega Lieven che come per qualunque altra organizzazione burocratica di enormi dimensioni – da cui dipendono posti di lavoro in svariati settori, dall’esercito agli uffici, dalla politica agli studi accademici – l’autoconservazione è un istinto fondamentale. E allora alla NATO misero da parte ogni prudenza nell’inglobare nuovi membri, spingendosi ai confini della Russia già nei primi anni 2000, con inviti alla collaborazione e a una futura adesione per Georgia e Ucraina. Provarono anche a convincere Mosca che tale allargamento avrebbe implicato la cooperazione con la Federazione Russa. Tutto, pur di fissare nuovi obiettivi che giustificassero la permanenza in vita dell’Alleanza. Meglio ancora, convincere i cittadini che la NATO dovesse costituire la forza su cui poggiare il nuovo ordine mondiale unipolare, occidentale e americanocentrico.

Dentro il successo, i semi del fallimento

Come recita l’iconica frase attribuita al primo segretario generale della NATO Lord Hastings Ismay, la ragion d’essere dell’Alleanza stava in tre compiti chiave: tenere i russi fuori, i tedeschi sotto e gli americani dentro. Missione compiuta su tutti i fronti, con l’URSS disgregata, la Germania riunificata e piena di basi americane e gli USA grande leader dell’Occidente. Eppure, come affermato dalla ricercatrice Jennifer Kavanagh, proprio nel conseguimento di tali successi si celavano i semi del futuro declino. La vittoria nella Guerra Fredda ha fatto rilassare i governi, che hanno evitato di investire i soldi statali nella difesa. Anche dopo il 24 febbraio 2022, solo pochi membri hanno stabilito fattivamente l’accrescimento del budget militare. Tenere gli americani ben stretti ha generato una grave sproporzione nelle quote contributive, così che se Washington dovesse dedicare il suo budget ad altre priorità, si creerebbe un grosso vuoto.

Qualche ipotesi

Non sarebbe facile per i membri europei seguire gli USA ovunque, pur di accontentarli e non farli smettere di finanziare l’organizzazione. Spostare l’Alleanza “Atlantica” a operare nel Pacifico pare un po’ troppo. Tutti sanno che Washington ha molti interessi da difendere sia ad est che ad ovest, ma globalizzare la NATO non si può più. Da qualche anno si parla di un esercito interamente europeo che possa sostituirla. Tuttavia, per il momento gli arsenali sono quasi vuoti e ci sono tempi lunghi per riempirli e per mettere gli eserciti europei in condizioni di fare concorrenza alle altre potenze mondiali. E cosa comporterebbe una sconfitta dell’Ucraina o una pace alle condizioni poste dai russi? Sarebbe forse levare l’ultimo mattone su cui si reggono i muri di una costruzione ormai precaria. Gli analisti e gli esponenti militari dell’Alleanza ci vogliono nemmeno pensare ed è proprio questo un indice di debolezza.

Una fine inevitabile

Secondo il professore di relazioni internazionali al Macalester College del Minnesota Andrew Latham, il decesso della NATO è “inevitabile”. L’Alleanza quasi certamente celebrerà il suo 80esimo anniversario nel 2029, ma dubita che arriverà a festeggiare il centenario. Non sarà tutta colpa di Trump o di Putin, anzi: la sua fine ha origini molto più indietro nel passato. La NATO fu concepita in epoca di contrapposizione di due superpotenze e dei relativi blocchi, mentre la fase attuale si sta sviluppando nel multipolarismo. L’impalcatura dell’organizzazione poteva adattarsi all’unipolarismo americano, ma quest’ultimo è durato poco. Oggi la NATO semplicemente non può dotarsi di scopi e strutture adeguati alla realtà multipolare. Latham afferma: Il sorgere di nuove potenze con interessi in competizione rende difficile plasmare il consenso su una serie di istanze relative alla sicurezza. Focalizzarsi su un singolo avversario non riflette più le varie minacce che si stagliano di fronte all’Alleanza.

Se torna Trump…

La NATO sopravviverà al secondo mandato di Donald Trump? La risposta è: molto probabilmente no. O comunque senza che gli Stati Uniti restino il leader indiscusso e il membro più impegnato di tutti. Lo scrive la Brookings Institution, centro di studio e ricerca fondata nel 1916, con cui hanno collaborato sei futuri presidenti americani e persino l’ex premier Mario Draghi. Il think tank di Washington americano cita le volte in cui Trump ha dimostrato senza mezzi termini scetticismo verso l’Alleanza. Al suo primo vertice nel 2017 si era apertamente lamentato del fatto che i Paesi membri non destinassero il 2% del PIL alla difesa. Nel 2018 aveva suggerito al segretario di Stato Mike Pompeo: Dovremmo fare la storia e uscire dalla NATO? C’era anche il consigliere nazionale alla sicurezza John Bolton, che infatti l’anno scorso ha “profetizzato” il ritiro degli USA dall’Alleanza Atlantica in caso di prossima vittoria repubblicana.

L’ex presidente non aveva nemmeno avallato il famoso articolo 5, ma proprio a differenza dei predecessori, non sembra considerare un’Europa sicura e stabile un interesse nazionale americano. Sul sito della sua campagna elettorale si parla di portare a termine il processo iniziato sotto la prima amministrazione, cioè rivalutare dalle fondamenta lo scopo e la missione della NATO. In altre parole, cominciare tagliando i fondi! Per questo motivo Biden e gli alleati europei si stanno sbrigando a prendere misure “a prova di Trump”, come l’invio di un incaricato speciale a Kiev e l’approvazione di pacchetti multimiliardari a favore dell’Ucraina. Il futuro della NATO non è roseo come vorranno mostrare i leader occidentali all’imminente summit di Washington. Le fondamenta dell’Alleanza si tengono in bilico su istanze irrisolte. Gli slogan del blocco euroatlantico li nascondono agli occhi all’opinione pubblica, ma a livello di politica e di analisi accademica se ne parla con preoccupazione.

Giuliano Pellico
Giuliano Pellico

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