Sussulti dal gigante incatenato
Fa notizia l’affermazione nei due Land tedeschi della Turingia e della Sassonia di Alternative für Deutchland, nonché del nuovo partito guidato dalla Wagenknecht. Per quanto il primo sia definito di estrema destra e il secondo di estrema sinistra, i programmi non sono molto diversi e, oltre a chiedere norme più restrittive sull’immigrazione, si oppongono all’impegno militare in Ucraina.
La somma dei risultati delle due formazioni si avvicina addirittura al 50%. Evidentemente si tratta di una grave sconfitta dei due tradizionali partiti e in particolare di quello socialdemocratico attualmente al governo.
Tra un anno ci saranno le elezioni nazionali e il cancelliere Scholz è seriamente in pericolo.
Quel che Scholz non può dire
Il capo del governo tedesco paga quel che non ha potuto o non ha avuto il coraggio di dire, ma che gli elettori mostrano di aver capito: che la guerra in Ucraina è fin dall’inizio una guerra contro l’Europa, e in particolare contro la Germania.
Non si può ignorare che da più di cinquant’anni ciò che ha caratterizzato la politica tedesca è stata l’Ostpolitik (la politica verso l’Est), che aveva un certo senso nel contesto della Guerra Fredda e ne ha avuto un altro, non meno importante, dopo. Non si può ignorare infatti che la potenza industriale della Germania si è anche basata sull’integrazione con le risorse naturali russe, oltre che sullo sbocco dei mercati asiatici, e tutto questo dalla guerra in Ucraina è stato messo in crisi.
Non ha nemmeno potuto dire, Scholz, che il sabotaggio del Nord Stream era un messaggio molto chiaro: quel rapporto con la Russia, ormai vitale per la Germania, andava interrotto. E non a caso l’economia tedesca è in difficoltà, nonostante tutti i tentativi di limitarne gli effetti. E, nel particolare accanimento di cui Scholz sta dando prova ultimamente rispetto a un aumento dell’impegno militare in Ucraina, non si può non scorgere la disperazione di un condannato che, di fronte all’esecuzione, parossisticamente si getta tra le braccia dei suoi carnefici.
Quel che in genere non si può dire
A parziale giustificazione di Scholz va detto quello che la cultura politica dominante non ha mai voluto riconoscere. Non solo la Germania, così come il Giappone e l’Italia, a seguito della sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, è stata privata di un’effettiva sovranità nazionale, ma ha subito quella sorta di distruzione psichica connessa con un certo uso politico della Shoah.
Qualunque tedesco, anche nato in anni ben lontani da quegli eventi, avrebbe dovuto vergognarsi per l’eternità di esser tale, e mai osare di affermare qualcosa di sé che fosse in contrasto con le volontà dominanti. Immediatamente gli sarebbe stato gettato addosso tutto il carico di ignominia e di orrore indissolubilmente legato alla sua storia.
Pochi mezzi sanno inibire quanto le catene del senso di colpa.
La grande paura geopolitica
E così è stato tollerato, non senza talvolta malumori, che la Germania risorgesse come potenza economica, perché contribuiva a una globalizzazione sotto il predominio del dollaro, ma, ora che questo scricchiola, quella potenza diventa un pericolo, e ancor più lo è l’integrazione con le risorse naturali russe. Qualora infatti quell’integrazione dovesse mai tradursi sul piano politico, tenendo ovviamente conto della potenza militare russa, gli equilibri mondiali sarebbero ribaltati.
Questo in realtà è da sempre il timore del mondo anglosassone, ed è addirittura all’origine di quella disciplina oggi particolarmente importante che è la geopolitica.
Le ragioni strategiche della guerra in Ucraina
Penso che questo timore, evidentemente grande, possa spiegare il fatto che, stringendo d’assedio la Russia con l’espansione della Nato a est, fino a penetrare, con l’Ucraina, nel cuore dello spazio strategicamente e simbolicamente vitale per la Russia, si sia affrontato così disinvoltamente il rischio di una saldatura di quest’ultima con la Cina e in genere con l’Asia.
Si temeva evidentemente ancor di più un suo congiungimento con l’Europa continentale.
La diga antifascista rischia di crollare
Non può quindi che preoccupare il risultato elettorale tedesco. Il gigante incatenato si sta scuotendo.
Immediatamente è partita una campagna che accosta Alternative für Deutchland ai mostri del passato. E c’è da aspettarsi grandi mobilitazioni di piazza, perché la chiamata antifascista tocca corde comunque profonde. Ancor più che in Francia, non verrà risparmiato alcuno sforzo per agitare i fantasmi del passato, tenuto conto del particolare orrore che la coscienza tedesca ha imparato a riconoscervi.
Non dovrebbe però sfuggire che anche la chiamata antifascista potrebbe nelle circostanze attuali subire un logoramento. Si potrebbe cioè vederne l’uso strumentale, e, qualora ciò avvenisse, qualora la diga morale dovesse crollare, le conseguenze sarebbero imprevedibili.
Sotto questo aspetto è importante il ruolo del partito della Wagenknecht, e non a caso si cerca di screditarlo con l’etichetta di rosso-bruno – come se rappresentasse il peggio, cioè l’unione dei due totalitarismi.
La lingua batte dove il dente duole
Ha evidentemente le sue ragioni tutta la campagna che infuria sui media – anche quelli italiani. Accade spesso che la lingua batta dove il dente duole.
Non si può infatti dormire sonni tranquilli pensando che da noi la tanto temuta destra è già saldamente al potere, che ha giurato fedeltà atlantica ma tutti sanno che non avrebbe potuto fare diversamente, già frena infatti sull’uso delle armi fornite per attacchi in territorio russo e potrebbe anche mutare orientamento qualora gli equilibri internazionali si modifichino. E infatti la Lega già scalpita, e Giorgia Meloni si fa sempre più cauta man mano che ci si avvicina alle elezioni americane.
Insomma, mentre le dichiarazioni della Nato si fanno giorno dopo giorno più minacciose, crescono i dubbi che si possano davvero portare a compimento.
La politica proseguimento della guerra
Diceva Von Clausewitz che la guerra è il proseguimento della politica con altri mezzi. Verrebbe da pensare oggi che può essere vero, in alcune situazioni, anche l’opposto. Cioè, tanto la guerra ha preso il sopravvento su ogni altra cosa, che la politica ha finito per subordinarvisi.
Non c’è dubbio che da Mosca si guardi con interesse al vacillare del sistema politico in Europa e in America, ed è verosimile che ciò venga calcolato, come forse decisivo, all’interno di una strategia globale che ha sempre più probabilità di essere vincente. Verrebbe però da chiedersi come è potuto avvenire che, in Europa e in America, tutto il sistema politico sia stato subordinato a una guerra che è negli interessi di una certa concentrazione di poteri, non certo della popolazione europea e americana
E’ nato nel 1956 a Torino. Dopo la partecipazione giovanile alle vicende politiche degli anni settanta, di cui è testimonianza il libro-intervista I non garantiti, pubblicato da Savelli nel 1977, si è laureato in filosofia con Gianni Vattimo e ha iniziato a insegnare nella scuola superiore. Nel frattempo ha intrapreso un cammino religioso caratterizzato soprattutto dall’incontro con il Dharma buddhista, che paradossalmente lo ha riavvicinato alla fede cristiana. Da tale cammino sono frutto la rivista Interdipendenza (dal 2005 al 2008), l’associazione Interdependence e un ampio numero di articoli, convegni e iniziative educative. Nel 2009 ha pubblicato (con Cristiana Cattaneo) Tornare a educare, un’ampia riflessione filosofica, sociologica e psicologica sulla crisi dell’educazione nella società contemporanea, e nel 2017 Famiglia culture e valori, una ricerca antropologica sul rapporto uomo-donna, la famiglia e l’educazione presso le comunità immigrate di Torino – entrambi i libri da Effatà. Nel 2013 ha curato per Aracne Raimon Panikkar filosofo e teologo del dialogo. Nel 2018 è diventato monaco buddhista, cominciando a dare avvio a un nuovo cammino spirituale, in cui il Dharma si incontra con le due radici dell’Occidente: la filosofia greca e la tradizione religiosa ebraico-cristiana.