Lo strano impero americano secondo il professor Hendrickson. La periferia che detta ordini alla capitale
L’impero americano è proprio strano, dice il professore di scienze politiche David Hendrickson. Qui è la periferia che detta ordini alla capitale, sono gli assistiti che pretendono dal benefattore. È l’amministrazione Biden che soddisfa ogni richiesta di Kiev e di Tel Aviv, arrivando a rischiare il collasso economico e la reputazione stessa dell’America nel mondo.
E nessuno che si opponga davvero all’arroganza di Netanyahu e dei vertici israeliani, o a quella di Zelensky, convinti che spetti loro il sostegno incondizionato di Washington. Sulla rivista del Quincy Institute for Responsible Statecraft, Hendrickson spiega con dovizia di esempi dove possono finire gli USA se non cambiano presto rotta.
La direzione dei sottoposti
Nello strano impero americano, sono i sottoposti a dare gli ordini: presto ne pagheremo le conseguenze. Il sistema di alleanze degli Stati Uniti è spesso definito come un impero, e per una buona ragione. È comunque una forma peculiare di impero, nella quale il centro sembra essere diretto e governato dalla periferia. Se nella concezione classica il comando viene data dall’alto verso il basso, qui non è così.
Tale inversione è massimamente evidente nella relazione fra USA e Israele. Biden ha reagito agli attacchi del 7 ottobre dando a Gerusalemme un sostegno totale per perseguire lo scopo di annichilire Hamas. Lo stesso modello si può notare nei confronti dell’Ucraina. Per 18 mesi l’amministrazione Biden non ha osato mettere limiti agli obiettivi bellici di Kiev, sebbene apparissero assurdi in quanto presupponevano un trionfo sulla Russia e Vladimir Putin alla sbarra. Oggi tali certezze stanno cominciando a cedere.
Nelle ultime settimane vi è stato una sorta di risveglio dentro l’amministrazione, che sembra aver capito che questo genere di rapporto nei confronti dei due Paesi non è sostenibile. Il concetto venuto alla luce è il seguente: gli ucraini stanno perdendo la guerra e devono rendersene conto il prima possibile. Gli israeliani si stanno comportando in modo barbarico e devono essere tenuti a bada, altrimenti la nostra reputazione nel mondo sarà rovinata.
La situazione in Ucraina
Sul fronte ucraino ci sono state due notizie clamorose. Una è il reportage della NBC che ha mostrato un quadro fosco della situazione militare e ha riportato le parole dei diplomatici europei e americani agli ucraini sulla necessità di limitare gli obiettivi. È già troppo tardi per sperare qualcosa di più di uno stallo; e come ha detto un ex funzionario americano: È il momento di trovare un accordo.
Il secondo scoop è stato il lungo saggio sul Time che ha descritto Zelensky come una figura messianica e fanatica, incapace di vedere il peggioramento delle prospettive ucraine. E la corruzione è persino peggiore di quanto riferito. L’Occidente sta raschiando il fondo del barile per dare armi ed equipaggiamenti militari, mentre l’esercito ucraino non riesce a trovare nuovi soldati. Sono problemi che nemmeno ulteriori finanziamenti del Congresso, come i 61 miliardi richiesti dal governo, potrebbero risolvere.
Per 18 mesi l’amministrazione Biden ha insistito sul diritto dell’Ucraina di definire i propri obiettivi e sul sostegno che gli USA avrebbero dato in qualunque caso. Però, poiché l’offensiva estiva di Kiev è stata un fallimento pressoché totale, adesso l’amministrazione sembra fare marcia indietro e lo fa con estrema cautela, con discussioni “private” che si svolgono dietro le quinte. È quindi probabile che i consiglieri di Biden oggi siano divisi: anche se la sua politica ufficiale non si è spostata di un millimetro, la spinta a modificarla è chiaramente presente.
Il rapporto con Israele
Con Israele è tutto molto più difficile. Si dice da molte parti che Biden e i suoi consiglieri ritengono che Tel Aviv abbia imbastito per Gaza un piano folle e che vedono come gli USA, avendo dato a Israele il semaforo verde, un assegno in bianco e tonnellate di bombe, saranno considerati direttamente responsabili per le spaventose conseguenze a livello umanitario. Non credono che Israele abbia definito una strategia con una conclusione coerente; invece temono di stare coprendo un enorme crimine morale.
E si sono accorti di come gli altri stiano precipitosamente ritirando il loro supporto. Nel corso dell’ultimo mese Biden ha avvertito gli israeliani a non agire con ira o con voglia di vendicarsi, quando mettono in atto la rappresaglia per i fatti del 7 ottobre. Li ha sconsigliati da un’invasione di terra su Gaza e ha insistito di evitare il più possibile vittime civili.
I suoi consiglieri militari hanno detto di usare bombe più piccole. La sua amministrazione ha detto agli israeliani che un’erosione del supporto internazionale avrà conseguenze catastrofiche sul piano strategico per le operazioni dell’IDF contro Hamas. Lo scorso fine settimana il segretario di Stato Blinken è andato dal premier israeliano Benjamin Netanyahu per esporgli queste considerazioni e per portargli la richiesta di una “pausa umanitaria”. Ma “Bibi” ha risposto soltanto: no.
L’opzione per Washington di minacciare Israele
A me è venuta un’idea. Gli Stati Uniti potrebbero minacciare Israele di interrompere le forniture militari nel caso in cui non accetti di fare una tregua. Forse potrebbe funzionare. Però è dai tempi di George H.W. Bush che un presidente non ha voglia di sfidare Gerusalemme. L’approccio americano negli ultimi 30 anni è sempre stato quello di un’amico leale: “È davvero per il vostro bene, ma noi non oseremmo mai chiedervelo”.
Abbracciare forte gli israeliani e rassicurarli costantemente della nostra eterna dedizione: era questo il modo per vincere una discussione con loro. Vi sono stati alcuni leader di Israele che hanno reagito bene a questo approccio, ma Netanyahu non è mai stato così. Il commento di Bill Clinton dopo il primo incontro avuto con lui nel 1996 è stato: Ma chi diavolo sarebbe qui la superpotenza?
Queste parole riflettono il ponderato giudizio di Bibi, sicuro di poter chiamare in causa l’opposizione interna degli Stati Uniti con cui annullare qualsiasi minaccia della Casa Bianca. Oggi, secondo i sondaggi, il 66% degli americani vorrebbe il cessate-il-fuoco, ma lo vuole meno del 5% dei deputati della Camera dei rappresentanti: allora, forse Bibi sa di cosa parla. Il gruppo di pressione dell’AIPAC (American Israel Public Affairs Committee) è intento ad attaccare i pochi Congressmencoraggiosi che criticano Israele e invocano una tregua.
Gli USA rischiano di perdere ogni autorità
Biden, tuttavia, deve preoccuparsi del più ampio ruolo che l’America ricopre nel mondo, perché è altamente probabile che i prossimi possibili eventi di Gaza rovinino la legittimità americana.
Nel mondo non-occidentale chi potrebbe sopportare ancora una lezione degli USA a proposito del loro zelante impegno sui diritti umani? E cosa potrebbero ancora dire gli USA contro la Russia? Per quanto riguarda le tendenze attuali (la mancanza di sbocco verso il Sinai per il grosso della popolazione di Gaza, il totale disastro igienico e sanitario, la costante pressione militare israeliana e il blocco economico, il milione e mezzo di profughi), è facile capire che il conto totale delle vittime a Gaza è nell’ordine delle centinaia di migliaia. Probabilmente ne moriranno molti altri più a causa delle malattie e delle epidemie che non dei proiettili e delle bombe.
È un’esperienza, dice Netanyahu, che sarà ricordata “nei decenni a venire”. Ma come la mettiamo se verrà ricordata dall’opinione pubblica mondiale come un crimine storico? Incredibilmente, coloro che vorrebbero la guerra totale contro Hamas invocano Dresda, Hiroshima e altre atrocità per giustificare la loro condotta, dimenticandosi che né la Germania né il Giappone avevano qualcuno che piangesse per loro dopo la guerra. I palestinesi, invece, hanno 1,8 miliardi di musulmani che piangono per loro già adesso.
Biden debole con Tel Aviv e cedevole con Kiev
È ovvio che Israele non potrà andare fino in fondo nel suo obiettivo di distruggere Hamas senza causare morti su scala biblica. E non c’è assolutamente nessun motivo per cui gli Stati Uniti debbano supportare questo obiettivo. L’alternativa per Biden è questa: essere duro con gli israeliani oppure accettare quello che teme diventi una catastrofe gigantesca.
Vi sono dei precedenti di severità con Gerusalemme, ma sono lontani nel tempo. Nel 1956 fu severo Dwight Eisenhower nella vicenda anglo-franco-israeliana di Suez e lo fu Bush I nel 1991 sulle garanzie di prestito per Israele. L’esempio più attuale è però quello del 1982, quando Ronald Reagan disse al premier israeliano Menachem Begin di cessare i bombardamenti su Beirut. Menachem, questo è un olocausto, dichiarò. Con sua sorpresa, l’avvertimento di riconsiderare i rapporti ebbe successo. Non sapevo di avere questo genere di potere, confidò Reagan al suo assistente Mike Deaver.
Al momento della minaccia del presidente, il conteggio delle vittime dopo due mesi e mezzo di conflitto aveva raggiunto i 20mila morti, dei quali quasi la metà erano civili. Biden avrà il coraggio di confrontarsi con Netanyahu? La sua amministrazione forzerà l’Ucraina a sedersi al tavolo dei negoziati? In questo nostro strano impero, nel quale sono i sottoposti a dare ordini, vi sono tendenze profondamente radicate che stanno dettando una risposta negativa a entrambe le domande. Eppure una politica saggia darebbe risposte positive. Forse è giunto il tempo di una nuova politica, nella quale l’America si attenga ai propri interessi piuttosto che a quelli altrui.
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