Dimissioni Lecornu: Macron e la Francia sull’orlo del baratro
(Parigi). È durato solo 27 giorni, segnando il record negativo di permanenza di un primo ministro a Matignon. Le dimissioni di Sébastien Lecornu sono un fulmine a ciel sereno soprattutto se si pensa che arrivano poche ore dopo l’insediamento del nuovo governo voluto dall’ex ministro degli eserciti, che dopo un mese di contrattazioni serrate è riuscito laddove tutti avevano fallito: fare peggio del governo precedente, un pasticciaccio dai contorni grotteschi.
Una metafora della débacle politica francese la cui caduta sembra non avere fine: difficile sprofondare più in basso o forse no, manca ancora l’impeachment a Macron ma sarà difficile che il leader della France Insoumise Mélenchon riesca a farla riesaminare. Il nodo gordiano che nessun Alessandro Magno della politica francese ha potuto recidere d’un colpo si chiama semplicemente Bruno Lemaire.
Un errore di casting
Un errore di casting clamoroso che ha provocato una valanga, che prima ha trascinato Lecornu ed ora rischia di trascinare anche il presidente della repubblica. Tenuta segreta fino all’ultimo, la scelta ha provocato in primis la furia del ministro dell’interno frescamente rieletto Bruno Retailleau e dei Républicains, già divisi sulla partecipazione ad un governo che doveva rappresentare il simbolo di una rottura. Retailleau ha denunciato senza mezzi termini la mancanza di fiducia e definito Le Maire il “simbolo dei mille miliardi di debito”, evocando il disastro del deficit 2024 (salito al 6,1% del PIL). Il ministro uscente ha replicato parlando di “reazioni false e sproporzionate” e ha rinunciato formalmente al suo incarico, “per non ostacolare il buon funzionamento del Paese”. Ma la frittata ormai è fatta ed ora i margini di manovra sono ancora più esigui di 24 ore fa, ammesso che ce ne siano ancora.
Intanto il soldato Lecornu lascia tra le lacrime di coccodrillo di chi lo aveva impallinato senza pietà ancor prima di scendere nell’arena politica del voto di fiducia al suo nuovo governo: “Non si può essere primo ministro quando non ci sono le condizioni”, ha dichiarato nel suo discorso di addio, evocando tre settimane di negoziati falliti, tentativi di compromesso e un parlamento ormai “bloccato da egoismi e fantomatiche linee rosse”. Lecornu ha difeso la sua rinuncia all’articolo 49.3 come “una rottura democratica”, ma ha dovuto constatare che “senza fiducia, non si governa”.
Una instabilità da Prima Repubblica italiana
Come ha sottolineato l’autorevole quotidiano Le Monde, la Francia entra ora in una nuova fase di instabilità istituzionale, con un governo dimissionario che potrà solo occuparsi di “affari correnti”, ovvero il minimo indispensabile, una specie di stato vegetativo che fa preoccupare economisti ed investitori. Le urgenze restano molte: il bilancio 2026, la crisi sociale, il rischio di paralisi amministrativa. I ministri uscenti non potranno varare riforme né presentare testi fondamentali, mentre l’Eliseo deve individuare rapidamente un successore in grado di evitare una nuova sfiducia. Esiste?
Di nuovo la coalizione del Fronte Popolare chiede un primo ministro della sinistra che pertanto aveva vinto le ultime elezioni ma da quell’orecchio Macron non ci vuole sentire e pur di portare avanti il suo programma di picconatura dello stato (senza avere l’aplomb di un Cossiga ma dotato al contempo di un cinismo sovrannaturale) sarebbe disposto a morire con tutti i Filistei républicains, schiacciato dalla sua tracotanza istituzionale.
Le strade insidiose
Ora le strade che restano percorribili, ricorda France Info, sono tutte rischiose. La prima è nominare un nuovo primo ministro. Ma dopo i fallimenti congiunti e traumatici di Bayrou e Lecornu, la maggioranza presidenziale è a dir poco in frantumi, se non ridotta allo stato di pulviscolo atmosferico. L’ipotesi di un profilo “neutrale”, come la presidente dell’Assemblea nazionale Yaël Braun-Pivet, viene evocata non senza un barlume di speranza, ma i repubblicani hanno già escluso ogni sostegno a un governo d’intesa con la sinistra.
Il nemico è pur sempre nemico anche se aiuta a tenere il paese a galla. La seconda opzione è lo scioglimento dell’Assemblea nazionale ed è quello che chiedono a gran voce la leader del partito di estrema destra Rassemblement National Marine Le Pen: una soluzione che piace anche a parte Repubblicani, che sperano di capitalizzare il malcontento che serpeggia nell’emiciclo francese. Scioglimento dunque e via a nuove elezioni ancora più incerte delle precedenti. Non si vedono all’orizzonte infatti coalizioni in grado di portare il paese fuori dalle sabbie mobili dell’instabilità.
Elezioni frammentate
Tuttavia, Macron rischierebbe di uscire indebolito da elezioni che, secondo gli osservatori, potrebbero consegnare una maggioranza ancora più frammentata e un Rassemblement national nettamente rafforzato. L’ultima ipotesi, la più estrema ma teoricamente non impossibile, è l’uscita di scena del presidente stesso, attraverso dimissioni o destituzione. È il leitmotiv dell’estrema sinistra di La France insoumise, che ha rilanciato la mozione di impeachment ai danni di Macron giudicando la sua ostinazione “il principale ostacolo alla stabilità del Paese”. Ma la procedura, lunga e complessa, non sembra avere reale possibilità di successo.
Intanto la macchina dello Stato continua a funzionare grazie alla Costituzione e alla prassi repubblicana, ma senza alcuna direzione politica. Una nave allo sbaraglio, in balia delle onde delle agenzie di rating e dei moniti degli organismi finanziari internazionali.
La dead line del bilancio
Il bilancio dovrà essere presentato entro il 13 ottobre, scadenza che appare ormai impossibile da rispettare. Potrebbe dunque arrivare l’ennesima legge speciale o procedura d’urgenza per prorogare i conti del 2025 e garantire il funzionamento dei servizi pubblici. Insomma in meno di un mese, la Francia ha bruciato due governicchi e addirittura in tre anni di presidenza Macron ha seppellito sotto una massa di mozioni di sfiducia e dimissioni ben cinque primi ministri. Tra i peggiori presidenti della storia di Francia.
Che farà ora il bonapartista Macron? Governo tecnico di transizione, l’ennesimo, oppure si getterà nella Geenna di una nuova tornata elettorale? Una cosa è certa, la sua decisione segnerà non solo il suo magro destino politico, oramai segnato, ma anche quello della Quinta Repubblica, che già vive la sua triste aria di fin de siècle.
Le 48 ore di Macron a Lecornu
I media francesi riportano che il presidente Macron ha dato al primo ministro uscente Lecornu 48 ore di tempo per salvare il suo governo e definire una “piattaforma per l’azione e la stabilità” dopo le sue dimissioni di ieri. Le Parisien riferisce che oggi si terrà una riunione a Matignon nell’ambito delle trattative finali di Lecornu per salvare la fragile maggioranza.
Le Monde scrive che Macron è pronto ad “assumersi la responsabilità” se le trattative finali di Lecornu falliranno, secondo fonti vicine all’Eliseo. Lecornu ha informato Macron di non voler essere rinominato primo ministro mentre Bruno Le Maire ha deciso di non entrare a far parte del nuovo governo, annunciando il suo ritiro e citando “reazioni false e sproporzionate” alla sua nomina iniziale.

Giornalista professionista ed autore. Dopo la laurea in filosofia all’Università di Napoli ed un Master in filosofia alla Sorbona di Parigi lavora per l’agenzia nazionale ANSA, al desk di ANSAmed. Ha collaborato per ResetDoc e Gruppo Espresso. Da Parigi scrive per Strumenti Politici, Micromega, Linkiesta, Pagina99, The Post Internazionale, Atlantico, Valigia Blu, Focus On Africa, Imbavagliati.it, Articolo 21. Nel 2012 ha pubblicato un libro sulla censura in Turchia dal titolo « Sansür: Censura. Giornalismo in Turchia » (Bianca&Volta) che nel 2015 s’aggiudica un premio al Concorso Internazionale Giornalisti del Mediterraneo di Otranto. Nel 2016 per il suo libro « Medin. Trenta Storie del Mediterraneo » (Rogiosi), s’aggiudica il Premio di Letteratura Mediterranea Costa d’Amalfi Libri 2016. Dal 2016 coordina con la giornalista Désirée Klein il Festival Internazionale di Giornalismo Civile “Imbavagliati” al PAN di Napoli. Oggi lavora a Parigi presso l’agenzia stampa Kantar per conto della Commissione Europea, la NATO ed il ministero degli interni francese.


