Washington alla ricerca del candidato giusto per il dopo-Zelensky
Il giornale americano Politico rivela gli approcci attuati da Washington verso i possibili candidati alla successione di Zelensky. Dopo l’umiliazione dello Studio Ovale e le dichiarazioni sull’espulsione dei rifugiati ucraini, questa mossa costituisce un altro tassello del funerale politico che Trump sta allestendo al presidente ucraino.
Contatti con due soggetti importanti
La scorsa settimana, quattro emissari di Trump ha tenuto colloqui riservati con le due principali figure dell’opposizione. Si tratta del predecessore di Zelensky Petro Poroshenko, presidente dal 2014 al 2019, e di Yulia Tymoshenko, prima e finora unica donna a ricoprire la carica di premier, una volta nel 2005 e poi dal 2007 al 2010. Secondo le rivelazioni dei bene informati, fra cui alcuni parlamentari ucraini, il tema centrale dei contatti è stata la fattibilità di elezioni presidenziali entro breve tempo. Gli argomenti naturalmente connessi con questo sono stati l’eventuale partecipazione dei due politici alla tornata elettorale, le loro chance di successo e soprattutto la loro disponibilità a “lavorare” con la Casa Bianca. Entrambi hanno alle spalle una lunga carriera politica agli alti livelli: Washington apprezza il fatto che conoscano meglio di Zelensky il modo di presentarsi come partner affidabili e disposti al dialogo costruttivo.
A Kiev non si scandalizzano
Sia Poroshenko che la Tymoshenko hanno comunque messo le mani avanti. La loro posizione ufficiale è di contrarietà allo svolgimento delle elezioni prima della fine delle ostilità. Inoltre, non potendo negare il contatto avuto con l’amministrazione repubblicana, i due si sono affrettati a raccontarlo all’opinione pubblica come un utile e anzi necessario sforzo per ottenere dai partner americani un maggiore sostegno all’Ucraina in vista delle trattative di pace. Ma a Kiev nessuno sembra essersi scandalizzato più di tanto. Anzi, diversi esponenti politici di vari partiti hanno dichiarato che la priorità del Paese oggi è proprio quella di riparare le relazioni con la Casa Bianca. Per esempio, il deputato indipendente Dmytro Razumkov (un tempo membro di punta del partito di Zelensky) e il portavoce del Parlamento Ruslan Stefanchuk hanno richiesto urgentemente la formazione di un gruppo speciale per la supervisione dei rapporti con gli Stati Uniti.
Messaggio chiaro a Zelensky
Un effetto di questi colloqui è il fatto che rappresentano un chiaro messaggio di Washington verso Zelensky. Un messaggio trasversale, apparentemente involontario, lanciato tramite contatti che avrebbero dovuto rimanere segreti. Ma vi è anche chi i messaggi li manda in maniera esplicita, come il senatore repubblicano Lindsey Graham, notoriamente un falco pro-Kiev, che dichiara la necessità di “qualcuno di nuovo” alla presidenza dell’Ucraina nel caso in cui Zelensky non si allinei ai desiderata di Trump. Inoltre, il mainstream pare sempre meno timido nel riferire gli episodi scabrosi di corruzione o di violazioni di diritti umani che avvengono in Ucraina, con riferimento soprattutto alla ferocia della mobilitazione forzata. In questo modo agli occhi dell’Occidente e degli ucraini stessi l’immagine di Zelensky viene ridimensionata da quella di eroe della democrazia a politicante assetato di potere e disposto a tutto per mantenerlo, anche a sacrificare il bene del proprio popolo.
Come voterebbero gli ucraini
In questo momento corsa alla presidenza si presenta piuttosto aperta, senza alcun vincitore scontato. Tutti i nomi fatti finora hanno delle chance di successo. Comunque possiedono una loro nicchia elettorale, che arriva in doppia cifra percentuale o quasi. Lo dicono i sondaggi e lo si percepisce dall’atmosfera della società ucraina, estremamente divisa e contrastata internamente. Lo stesso Zelensky ha ancora un buon seguito e non perderebbe in modo clamoroso. La sua popolarità è in calo continuo, ma non viene visto come un capro espiatorio. Il sociologo ucraino Oleksii Antypovych ritiene che i cittadini siano mal disposti non tanto contro di lui, quanto piuttosto contro il suo entourage. La sua immagine viene infatti sporcata dalla corruzione e dal nepotismo del suo governo e del suo staff presidenziale, guidato dall’amico Andrii Yermak, ritenuto responsabile dei licenziamenti di ministri illustri e delle assunzioni fatte guardando più alla fedeltà politica che alla competenza.
Le chance dei candidati
Sui media euroamericani circolano almeno altri tre nomi di possibili candidati, graditi in varia misura agli alleati occidentali. Si tratta del sindaco di Kiev Vitali Klitschko, del capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov e dell’ex capo delle Forze armate Valery Zaluzhny, oggi ambasciatore nel Regno Unito. Quest’ultimo potrebbe essere il candidato del partito Solidarietà Europea al posto di Poroshenko. Infatti l’ex presidente è a rischio di venire incapacitato a candidarsi, perché il mese scorso è stato messo sotto sanzioni personali da parte del Consiglio di sicurezza e di difesa nazionale (dunque praticamente da parte di Zelensky). Tuttavia Zaluzhny è chiaramente più vicino alle posizioni britanniche che non a quelle americane. Qualche giorno fa, parlando alla Chatham House di Londra, ha accusato Trump di “distruggere l’ordine mondiale”. Il governo di Kiev ha preso le distanze dalle sue parole, derubricandole a posizione meramente personale dell’ambasciatore.
Il ruolo della Tymoschenko
Sembra dunque in vantaggio la Tymoschenko, che tiene contatti regolari con i rappresentanti occidentali. Fonti interne dicono che le sarebbe stato offerto il ruolo di portavoce parlamentare, che le permetterebbe di diventare presidente ad interim nel caso Zelensky fosse costretto a dimettersi. Serhii Yevtushok, deputato appartenente al suo partito Patria, spiega che la Tymoschenko ha già incontrato il segretario di Stato Marco Rubio e il rappresentante speciale per l’Ucraina Keith Kellogg. Per un altro suo compagno di partito, l’ex ministro Oleksiy Kucherenko, questi colloqui vengono rigorosamente effettuati nel rispetto della cornice costituzionale e coprono tutti gli aspetti della situazione corrente e degli interessi strategici del Paese.

52 anni, padre di tre figli. E’ massimo esperto di Medio Oriente e studi geopolitici.