Ungheria e Slovacchia perseguono la loro linea su energia, Ucraina e interessi nazionali, nonostante pressioni e ricatti di USA e UE

Ungheria e Slovacchia perseguono la loro linea su energia, Ucraina e interessi nazionali, nonostante pressioni e ricatti di USA e UE

22 Settembre 2024 0

Le pressioni e i ricatti perpetrati da USA e UE non spaventano gli unici due Paesi europei che perseguono una politica autonoma: Ungheria e Slovacchia. In particolare, sulla questione del gas e del petrolio e sul conflitto in Ucraina vengono accusati di essere filo-russi, anche se ciò che vogliono in realtà è la pace e la sicurezza energetica.

Linee autonome

I viaggi a Kiev e Mosca effettuati da Viktor Orbán lo scorso luglio sono stati la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non appena Budapest ha inaugurato il suo turno di presidenza del Consiglio UE, il leader magiaro si è recato nelle due capitali in conflitto per tentare di aprire una via di dialogo e di conciliazione. Non lo ha fatto a nome di tutta l’Europa, ma era chiaro che portava con sé le istanze (non espresse apertamente) di una parte consistente degli Stati membri. E l’istanza primaria è mettere fine ai problemi che stanno divorando dall’interno il Vecchio Continente: tutti quelli che ruotano intorno o stanno sotto lo scontro in atto. La sua mossa da grande statista non è stata gradita affatto dall’élite dei vertici europei, che purtroppo oggi si è riciclata nell’attuale Eurocommissione.

Così Orban continua ad essere etichettato come filo-russo, oltre che autoritario, omofobo e antiliberale. Eppure le sue scelte non sono sempre state a favore del Cremlino. Orbán ha in mente anzitutto gli interessi della sua nazione. Lo stesso dicasi nel caso della Slovacchia. Dopo una pausa “umanitaria” dovuta al tentativo di assassinio lo scorso maggio contro il premier Robert Fico, Bratislava è tornata ad essere il costante oggetto delle ipocrite attenzioni di Bruxelles. La Commissione Europea si sforza di trovare sempre nuove questioni con cui accusare gli slovacchi di una qualche nefandezza che violi i principi europei, sorvolando su quanto di peggio fanno in Paesi più allineati ai diktat euroamericani.

Pesanti ingerenze USA

Un ambasciatore poco diplomatico, quello americano in servizio in Ungheria. David Pressman , a Budapest dal 2022, ha esplicitamente detto che è arrivato il momento di “fare i conti” con due questioni che l’Ungheria pone all’Occidente. Ci sono infatti i suoi “problemi di democrazia” e le sue “divergenze in politica estera” che non possono più essere minimizzate come semplice retorica. In altre parole, Washington e i suoi vassalli non dovrebbero più tollerare che Orbán detenga il potere nel suo Paese e che coltivi buoni rapporti di cooperazione con Mosca e Pechino.

Secondo Pressman, le “ambiguità” magiare ormai non sono più comprensibili né accettabili. E rincara la dose parlando di “un’atmosfera di paura” a Budapest, che favorisce la corruzione e il potere totalizzante del governo. Inoltre Orbán ha commesso il peccato di esprimere apprezzamento per Trump, addirittura augurandosi che a novembre vinca le elezioni. Pressman considera queste parole come un’attenzione sgradita e inopportuna… eppure non si accorge che il suo atteggiamento e la sua posizione implicano un’effettiva ingerenza negli affari interni di un Paese terzo. E infine chiede che gli alleati e i partner rispondano all’insolenza ungherese in modo diretto e senza alcuna incertezza.

Sanzioni UE all’Ungheria

Nel frattempo, l’Unione Europea accompagnata dall’Ucraina (o viceversa!) mette paletti a Budapest e fa pressioni economiche per costringerla a votare come serve a loro. Ad esempio, lo scorso anno Kiev aveva inserito nell’elenco degli “sponsor internazionali della guerra” la banca ungherese OTP, accusandola di finanziare lo sforzo bellico russo. Poi l’ha tolta dalla lista nera con l’invito implicito a Budapest di votare “sì” al pacchetto UE di aiuti da 500 milioni di euro. Insomma, un bel ricattino all’insegna dello spirito condiviso dei valori europei… Ma l’Ungheria non aveva ceduto, così come le pressioni europee e ucraine sono continuate imperterrite.

Oggi però la OTP ha dovuto imporre delle restrizioni alle operazioni in euro delle sue filiali russe. In particolare, ha aumentato a partire da settembre le tariffe per i pagamenti in valuta verso l’estero. Ma tutto sommato va ancora bene così, considerando che negli stessi giorni la banca austriaca Raiffeisenbank sospendeva l’effettuazione dei trasferimenti valutari per la maggioranza della clientela delle filiali in Russia. E lo ha fatto su “invito” della Banca Centrale Europea, che allo stesso modo ha raccomandato alla OTP di prendere simili “misure precauzionali”.

Pressioni sulla Slovacchia

Fra le questioni recentemente sollevate contro Bratislava c’è quella della libertà mediatica. L’Unione Europea ha manifestato “preoccupazione” sull’indipendenza dei media statali. Secondo i solerti eurocommissari, infatti, la riforma in atto darebbe alla maggioranza di governo un eccessivo controllo sul consiglio di amministrazione dell’emittente pubblica STVR. Per fare ulteriore pressione, due organizzazioni hanno lasciato la piattaforma statale di vigilanza sulla libertà dei media. In passato l’ente era stato spesso criticato da Fico come “ostile” e “anti-slovacco”. Reporters Without Borders e Investigative Centre of Jan Kuciak hanno scritto al ministro della Cultura Martina Šimkovičová spiegando che le regole sono state violate e che c’è il rischio che i media slovacchi smettano di attenersi agli standard internazionali.

E intanto si pensa anche di bloccare i fondi destinati alla Slovacchia a causa di un’altra riforma che non piace a Bruxelles, quella del codice penale, entrata in vigore ad agosto. L’accusa è sempre quella: “peggioramento degli standard democratici”. La Commissione sta lavorando sui dettagli della proposta di congelamento dei fondi. A subire un trattamento simile finora era stata solamente l’Ungheria. In questo modo Bruxelles cerca di colpire dove farebbe più male a Fico: pare infatti che il Paese abbia grossa necessità di ricevere i sussidi europei, perciò levarglieli significherebbe creare dissenso contro il governo. Chissà cosa direbbe la Commissione Europea se analizzasse per davvero la situazione dei media in altri Paesi, magari in Italia, dove i grandi giornali e le emittenti radiofoniche appartengono per la quota maggiore al gruppo Gedi. Oppure se indagasse sulle violazioni dei diritti umani perpetrate in Francia in occasione delle manifestazioni contro Macron.

La questione energetica

Operazioni bancarie, riforme giudiziarie e libertà di stampa sono solo i paraventi dietro cui i padroni del vapore nascondono l’intento primario: strappare Ungheria e Slovacchia al rapporto di cooperazione energetica con la Russia e renderle clienti eterne di altri fornitori (USA in primis e poi Gran Bretagna, Norvegia e altri). Oggi la gran parte dei rifornimenti di gas di questi due Paesi – a cui si aggiunge l’Austria – viene dalla Siberia passando per il territorio ucraino. Ma non hanno alternative, perché previde dello sbocco sul mare e dunque della possibilità di approvvigionamenti via nave. Inoltre devono rispettare i contratti presi con Gazprom, che scadranno fra diversi anni. Nemmeno a livello politico i rispettivi governi vorrebbero cambiare, tranne forse a Vienna, la cui compagnia energetica non ha però gradito la proposta del ministro di rompere l’accordo con Gazprom.

Oggi, Ungheria e Slovacchia stanno persino aumentando le importazioni di greggio e di gas dalla compagnia russa Tatneft come risposta all’embargo ucraino posto sull’altro fornitore russo Lukoil. A Bruxelles strepitano e si lamentano, accusando i due Paesi di esagerare il timore degli effetti di questa mossa ucraina. Dalla Commissione dicono che dopo l’attuazione dell’embargo di Kiev non si sono viste diminuzioni e che dunque Budapest e Bratislava non dovrebbero approfittare di questa scusa per comprare di più. Ma esse non danno peso alle richieste di informazioni dettagliate sulla presunta crisi energetica incombente e vanno avanti per la loro strada.

Peraltro non si vede perché dovrebbero fare altrimenti, dato che grazie alla cooperazione con Mosca godono di prezzi ottimi, e cioè i loro cittadini pagano l’energia molto meno di quelli dei Paesi vicini. Le pressioni e i ricatti perpetrati da USA e UE non spaventano gli unici due Paesi europei che perseguono una politica autonoma: Ungheria e Slovacchia. In particolare, sulla questione del gas e del petrolio e sul conflitto in Ucraina vengono accusati di essere filo-russi, anche se ciò che vogliono in realtà è la pace e la sicurezza energetica.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

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