La Francia non ha fretta di uscire dal mercato russo

La Francia non ha fretta di uscire dal mercato russo

27 Marzo 2022 0

Nella crisi militare in corso in Ucraina c’è un attore potenzialmente molto importante, le cui decisioni potrebbero influire sulle conseguenze del conflitto: la Francia. Vi sono almeno tre elementi che distinguono Parigi dagli altri protagonisti europei di questo momento storico: il suo essere potenza nucleare dotata di relativa indipendenza rispetto alla NATO (di cui è tornata a far parte soltanto nel 2009), l’essere fra i promotori degli accordi di Minsk sul Donbass e l’avere una compagnia di valore strategico come la TotalEnergies impegnata in Russia da 25 anni in grossi progetti e investimenti. Per quanto riguarda il primo punto, è utile ricordare che durante una delle ultime iniziative ufficiali di “esportazione della democrazia” effettuate dalla NATO in Europa, cioè il bombardamento della Repubblica di Serbia e della sua capitale Belgrado, la Francia insistette affinché fosse data l’approvazione dalle Nazioni Unite, a differenza di USA e Gran Bretagna che volevano fare senza: e in effetti poi fecero senza, usando le basi italiane per bombardare obiettivi sia militari che civili. Poco prima dell’inizio dell’operazione militare russa, Macron si è recato a Mosca e ha incontrato Vladimir Putin, in uno sforzo finale per mantenere la pace; anche stavolta quindi, pur non avendo successo, la Francia ha cercato fino all’ultimo una via di uscita dalla crisi che fosse pacifica e condivisa.

Già a fine febbraio al mondo del business occidentale è stato chiesto di tagliare le relazioni con i partner russi o di abbandonare il mercato della Federazione Russa. Le aziende francesi, però, sono poco propense a interrompere i rapporti commerciali e finanziari per seguire la linea decisa dall’Occidente, o per meglio dire la linea dettata da chi in Occidente è convinto che le sanzioni e il ritiro degli investimenti possano far desistere Mosca dal raggiungimento dei suoi obiettivi. Finora la Russia non ha fatto passi indietro, quindi annunciare la chiusura di McDonald’s e restringere i canali bancari pare non abbia sortito effetto. Secondo la Camera di Commercio franco-russa vi sono circa 1200 imprese francesi operanti nella Federazione Russa: quelle che hanno fermato le proprie attività, però, non sono la maggioranza. Tra le più note, nella nicchia dei prodotti di lusso vi sono Chanel, il gruppo Hermès e LVMH (che controlla marchi come Louis Vitton, Dom Pérignon, Acqua di Parma e altri). L’azienda di trasporti e logistica CMA-CGM ha annunciato che non attraccherà più nei porti russi, specificando però che si tratta di una questione di sicurezza e non di un mezzo di pressione sul Cremlino. Da Parigi hanno ripetutamente dichiarato che in ogni caso saranno le aziende francesi a decidere sul futuro della loro attività in Russia, purché rispettino le sanzioni internazionali.

Nessuno comunque sembra voler boicottare veramente la Russia, ma la pressione politica sul business si è intensificata dopo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto direttamente al Parlamento francese. Come da copione per i suoi videomessaggi ai Parlamenti di vari Stati, Zelensky si è agganciato a un trauma storico nazionale: nel caso della Francia ha paragonato le immagini della città ucraina di Mariupol alle una delle più sanguinose battaglie franco-tedesche della Prima guerra mondiale, quella di Verdun. Ma la differenza stavolta è nell’appello specifico: se agli altri deputati ha chiesto armi, a quelli francesi ha chiesto di impedire di cercare di fare soldi in Russia ed esortare colossi come Auchan, Renault e TotalEnergies a lasciare subito la Russia, perché restare significa sponsorizzare la macchina da guerra russa. Non sono giunti commenti alle parole di Zelensky da parte della AFM (Association Familiale Mulliez), il gruppo che controlla la grande distribuzione organizzata con nomi del calibro di Auchan, Decathlon e Leroy Merlin. In Russia oggi queste catene restano aperte: Auchan vi impiega almeno 30mila persone e genera introiti assai rilevanti per il patrimonio generale del gruppo, il cui fondatore è Gérard Mulliez, che iniziò lanciando proprio Auchan nel 1961 per poi acquisire altre catene, tra cui Kiabi e Norauto. Nel settore degli alimentari, la Danone potrebbe approfittare della decisione della concorrente svizzera Nestlé di bloccare le vendite di marchi molto popolari, da KitKat a Nesquik. Danone ha espresso la sua condanna per le attività militari in Ucraina, ma ha dichiarato che non fermerà la produzione locale di latticini essenziali e di alimenti per bambini in Russia, pur evitando ulteriori investimenti ad esempio in attività promozionali; infine donerà i profitti ad associazioni umanitarie di assistenza. Non ha fatto commenti all’appello del presidente ucraino neppure il gruppo automobilistico Renault, già accusato dallo stesso di finanziare le uccisioni di donne e bambini nel suo Paese e fortemente criticato dal ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, che ha persino invocato un boicottaggio mondiale delle sue vetture. La Renault aveva inizialmente fermato la produzione in Russia, ma l’ha ripresa negli impianti dell’Avtovaz, la sua controllata che è anche una delle maggiori produttrici automobilistiche di tutta l’Europa dell’est. Al momento sembra intenzionata nuovamente a chiudere gli stabilimenti vicino a Mosca. Ricordiamo che il gruppo Renault conta fra i suoi azionisti anche lo stesso Stato francese, con un pacchetto importante che ammonta a circa il 15%.

E pure il gigante energetico TotalEnergies è stato accusato di “complicità in crimini di guerra”: così, per fugare le ombre e i sospetti, ha pubblicato sul suo sito i “Principi di Condotta” ai quali adesso si conforma per il suo business in Russia. Anzitutto ribadisce la ferma condanna dell’aggressione militare ai danni dell’Ucraina, che al tempo stesso minaccia la pace in Europa. Total si attiene alle sanzioni che l’Europa ha deciso di imporre e al tempo stesso sospenderà “gradualmente” le sue attività in Russia, interrompendo anche gli sviluppi dei progetti in corso riguardanti le batterie e i lubrificanti. Inoltre puntalizza che, a differenza di quanto asserito da alcuni commentatori, non sta dirigendo alcun impianto petrolifero o di GNL o di gas in Russia. TotalEnergies è azionista di minoranza in compagnie non sottoposte a controllo statale diretto russo, tra cui Novatek, (19.4%), Yamal LNG (20%), Arctic LNG 2 (10%) and TerNefteGaz (49%), ma metterà in pausa ulteriori investimenti. Total aggiunge che la sua parte nelle aziende oil&gas russe è talmente piccola da non influire significativamente sul corso futuro di tali compagnie, ma non ritiene opportuno semplicemente vendere le quote e uscire tout courtdal mercato russo, perché ciò implicherebbe che altre aziende russe acquisterebbero la sua parte traendone benefici finanziari, e ciò è contrasto con il senso stesso delle sanzioni. Total dichiara che il suo ruolo è di contribuire alla sicurezza energetica del continente europeo, quindi continuerà a fornire GNL dall’impianto di Yamal, peraltro in conformità ai contratti già stipulati, consapevole che le capacità logistiche europee rendono difficile rinunciare all’importazione del gas russo nei prossimi due o tre anni senza avere un impatto sulle forniture energetiche del continente. Per il petrolio la situazione è diversa, e infatti Total già adesso dichiara di avere “unilateralmente” deciso di non rinnovare i contratti con la Russia e di non stipularne di nuovi.

Vincenzo Ferrara
VincenzoFerrara

Iscriviti alla newsletter di StrumentiPolitici