Crimini di guerra in Ucraina: il difficile “slalom” tra utilizzo di prove satellitari, giudici “alleati” di Kiev e il diritto di veto russo. Il punto con l’avv. Bordandini

Crimini di guerra in Ucraina: il difficile “slalom” tra utilizzo di prove satellitari, giudici “alleati” di Kiev e il diritto di veto russo. Il punto con l’avv. Bordandini

21 Maggio 2022 0

Si può portare il presidente russo Vladimir Putin a processo per gli eventuali crimini di guerra commessi in Ucraina? Abbiamo parlato di questo e dell’eventuale impiego in tribunale di prove fornite dalla tecnologia moderna che siano neutrali nella forma e nella sostanza, con l’avvocato Denaura Bordandini, con esperienza di diritto penale internazionale. Nel 2004 ha collaborato con la Procura d’appello del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY), quando gli stessi uffici della Procura hanno richiesto e ottenuto la nomina di un difensore tecnico per Slobodan Milošević. Bordandini ha lavorato poi alla sezione Oko del Tribunale di Sarajevo, quale membro dello staff internazionale all’interno della Camera bosniaca per i crimini di guerra, competente a giudicare alcuni dei criminali arrestati dall’Ufficio del procuratore dell’ICTY.  Si trattava di una sezione di ausilio alla difesa. Ha seguito i processi contro Gojko Jankovic, Radovan Stankovic e Dragan Zelenovic, su cui pendevano le pesanti accuse di molteplici violenze sessuali su donne e ragazze, il sequestro, il trasferimento forzato e l’omicidio di civili di etnia non serba commessi nell’area di Foča.

Infografica – La biografia dell’intervistato Denaura Bordandini

«La Russia è tutt’ora membro permanente del Consiglio di Sicurezza Onu con diritto di veto che, alla luce della nuova risoluzione A/77/L.52, per essere validamente esercitato, dovrà trovare ampia discussione in seno all’Assemblea dei 193 membri. E’ facoltà del Consiglio richiedere l’intervento del procuratore della Corte penale internazionale (Cpi): ora tale ipotesi è sottoposta alla concreta operatività della recente risoluzione. Qualora nella sostanza rimanga immutato il diritto di veto, appare remoto un intervento del procuratore della Cpi, la cui azione sarebbe tuttavia limitata agli aspetti investigativi di raccolta prove. Alcuni giuristi ritengono che tale situazione possa richiedere l’istituzione di un tribunale speciale per l’Ucraina, come fu per la Jugoslavia ed il Ruanda. Un tribunale che dovrebbe essere costituito dall’Onu, e pertanto questa ipotesi sarebbe sempre legata all’operatività della sopracitata risoluzione. Potrebbe darsi corso ad una terza via, ovvero l’applicazione della giurisdizione universale come prevista dalla regola 157 delle Convenzioni di Ginevra, secondo la quale ogni Stato ha diritto di perseguire i crimini di guerra con le proprie autorità giudiziarie. Nel 2000 la Repubblica democratica del Congo ha contestato innanzi alla Corte internazionale di giustizia l’ordine di arresto internazionale emesso da un giudice belga nei confronti del ministro per gli Affari esteri congolese. La causa si arenò per questioni legate all’immunità riconosciuta ai capi di Stato ed ai ministri degli Esteri, tuttavia nessuna parte contestò la giurisdizione belga sul cittadino congolese. Si dibatteva unicamente sul ritenere o meno necessario che il soggetto accusato fosse presente sul territorio dello Stato che stava dando attuazione alla giurisdizione universale, quindi sulla possibilità o meno di condurre il processo in contumacia». 

Gli Stati Uniti e gli altri Paesi occidentali che hanno aderito alle sanzioni contro la Russia e all’invio di armi, possono essere considerati parti terze a livello giudiziale e di formazione delle prove?

«Sì, nei conflitti, soprattutto internazionali, non è inverosimile che le parti siano supportate militarmente e finanziariamente da altri Stati e ciò non pare aver condizionato le nomine dei giudici nei Tribunali internazionali. Solitamente il criterio per determinare l’incompatibilità è il coinvolgimento diretto nel conflitto. La partecipazione oltre che diretta deve avere una consistenza. A questo proposito ricordo quanto accaduto presso la Camera bosniaca per i crimini di guerra, che si è trovata a decidere relativamente all’incompatibilità di un giudice di nazionalità slovena a far parte del panel giudicante. La difesa dell’imputato sosteneva la mancanza di terzietà, poiché la Slovenia è stata parte della guerra per i dieci giorni, per poi dichiarare la propria indipendenza dalla Jugoslavia. La Corte ha rigettato la richiesta, riconoscendo l’indipendenza del giudizio sloveno. Poi, nulla vieta e anzi trovo processualmente logico, che le difese dei soldati russi possano eccepire la mancanza di terzietà dei giudici di nazionalità appartenenti agli Stati che hanno applicato le sanzioni alla Russia». 

Per un processo equo sui presunti crimini di guerra commessi dalla Russia, potrebbero essere chiamati a giudicare Cina, Israele, India e Turchia che ad oggi non sono schierati?

«Certamente, in quanto membri dell’Onu e quindi della comunità internazionale che dovrebbe giudicare questi crimini. E’ sempre preferibile che il collegio giudicante sia costituito da soggetti terzi». 

E’ corretto da parte degli Stati Uniti invocare l’intervento della Cpi se non la riconosce e non ne ratifica l’atto istitutivo?

«Non mi pronuncio sulla correttezza morale e politica degli Usa in merito alla richiesta. Rilevo tuttavia, che se contestualizzata in seno alle Nazioni Unite potrebbe essere volta ad attivare l’intervento della Corte penale internazionale. Per un fatto di coerenza, ritengo auspicabile che ratifichino lo Statuto di Roma, divenendo finalmente membro della Corte».

Le indagini sui crimini di guerra dovrebbero riguardare tutti i responsabili, siano essi russi o ucraini.

«Sarebbe auspicabile, quando si indaga su crimini di guerra, farlo a 360 gradi dal momento che tutte le vittime hanno diritto di tutela. Non bisogna dimenticare che è ormai condiviso il principio secondo cui “non c’è pace senza giustizia”». 

Potrà mai essere eseguita un’eventuale sentenza di condanna nei confronti di Putin?

«Fino a quando rimarrà entro il vasto territorio russo e fino a quando Mosca non deciderà di rivolgere contro Putin accuse o collaborare con la Cpi e la comunità internazionale, sembra una ipotesi assai remota. Lo stretto legame operativo tra la Cpi e le Nazioni Unite è formalmente in grado di rendere cogente la collaborazione con la Corte anche per Stati non membri dello Statuto di Roma. Tale considerazione è fortemente legata alle nuove modalità di esercizio del diritto di veto. Secondo il principio di giurisdizione universale, invece, la difficoltà interviene prima, nella fase della celebrazione del processo, ed è rappresentata dal contrasto in merito alla possibilità di procedere in absentia dell’accusato».

Dei settanta focolai di crisi al Mondo, analizzati nel 2021 dall’International Crisis Group, quello in Ucraina è il meglio documentato grazie anche all’uso delle tecnologie moderne. Ma la raccolta e analisi di dati su fonti aperte (OSINT), che valenza processuale potrebbero avere dal momento che gli apparati satellitari sono per lo più made in Usa? 

«Le immagini satellitari che dall’inizio del conflitto circolano, potranno essere sicuramente utilizzate per l’inchiesta della CPI; allo stesso modo, le testimonianze dei cronisti e dei soggetti internazionali sul campo potranno dare un contributo. Nonostante l’uso della tecnologia di ultima generazione sia stato massivo, non è però pensabile che si prescinda dai “vecchi” metodi di prova: rilevi sul campo e assunzione di deposizioni di vittime e testimoni oculari. La tecnologia statunitense in sé è affidabile, ma le prove raccolte dovranno essere valutate da un tribunale per accertarne attendibilità e genuinità. Sono in corso una serie di sforzi per professionalizzare la raccolta di dati open-source. Nel 2020 Lindsay Freeman, direttore delle leggi e delle politiche per il Centro per i diritti umani dell’Università della California, Berkeley, ha contribuito a redigere il Protocollo di Berkeley, una serie di principi per la gestione dei media digitali in modo che possano essere utilizzati in tribunale. Bellingcat (il gruppo di giornalisti investigativi olandesi, ndr), ha poi sviluppato una metodologia che i suoi investigatori dicono essere coerente con il protocollo. Una volta che i giornalisti identificano i video di interesse online, li inviano a Mnemonic, una no-profit di Berlino, per essere conservati. Dall’inizio della guerra in Siria, Mnemonic ha raccolto circa 1,7 milioni di video di potenziali crimini di guerra. In sole otto settimane, la ong ha archiviato circa 500mila video dall’Ucraina, tutti raccolti da persone e non da macchine».

Marina Pupella
MarinaPupella

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