Africa, Aldo Pigoli: “È difficile prefigurare una chiara visione europea ed occidentale sul Mali e sul Sahel. Troppo interessi particolari in gioco”

Africa, Aldo Pigoli: “È difficile prefigurare una chiara visione europea ed occidentale sul Mali e sul Sahel. Troppo interessi particolari in gioco”

9 Gennaio 2023 0

In Mali la situazione resta incandescente. Francia, Germania, Inghilterra e i loro alleati dell’UE nel 2022 hanno sospeso progressivamente le operazioni di sicurezza a seguito dei rapporti sempre più saldi tra la giunta militare al governo del Paese africano e il suo suo stretto rapporto con i mercenari russi della Wagner. “Non possiamo rimanere militarmente impegnati al fianco di autorità de facto di cui non condividiamo la strategia e gli obiettivi nascosti“, ha dichiarato per primo il presidente francese Emmanuel Macron.

Due mesi dopo è stato il capo della politica estera dell’UE Josep Borell ad annunciare che l’operazione EUTM avrebbe sospeso le sue operazioni dopo aver notato la cooperazione della giunta militare con i mercenari russi del Wagner Group. A seguire hanno fatto le valige Germania e Inghilterra in aperto contrasto con il Governo maliano.

Ieri è avvenuto uno dei primi segnali di disgelo: l’autorità al potere in Mali ha infatti graziato 46 militari ivoriani che erano detenuti da luglio a Bamako con l’accusa di complottare contro lo Stato. Si può considerare un gesto di apertura importante anche perchè la loro detenzione aveva aperto un aspro dibattito internazionale. Per approfondire il tema del futuro geopolitico del Mali abbiamo interpellato il professore Aldo Pigoli docente di Storia dell’Africa Contemporanea alla Università Cattolica di Milano presso il Dipartimento di Scienze politiche.

Infografica - La biografia dell'intervistato Aldo Pigoli
Infografica – La biografia dell’intervistato Aldo Pigoli

– Professor Pigoli, quali sono le ragioni profonde che hanno condotto il Mali fuori dall’orbita occidentale avvicinandolo alla Russia?

La regione del Sahel, con al centro il Mali, è da oltre un decennio al cuore dell’attenzione internazionale per la crescente instabilità legata a dinamiche, interne, regionali ed internazionali.

Progressivamente, quella saheliana è diventata l’area tra le più critiche al mondo dal punto di vista della sicurezza, in cui convergono sia la diffusione e complessità del fenomeno jihadista, caratterizzato da un numero rilevante di attori che operano su base regionale e che nella maggior parte dei casi fanno riferimento ad Al Qaeda o allo Stato Islamico, sia storici fenomeni di instabilità interna, sia, non ultimo, il mutato scenario internazionale, in cui attori internazionali stanno vedendo crescere la propria rilevanza e influenza. E’ il caso soprattutto della Russia, che ha visto rafforzarsi la sua presenza e politico-militare in diversi Paesi africani, con particolare riguardo a Libia, Repubblica centrafricana, Sudan e, non ultimo, il Mali.

– Francia, Germania e Regno Unito hanno abbandonato il Paese si puó considerare una debacle dalla portata storica? 

Bisogna considerare il quadro sotto un profilo più ampio: nel caso della Francia, ad esempio, il ritiro militare rappresenta la fine dell’operazione “Barkhane”, un’operazione militare molto aggressiva contro i gruppi jihadisti in Mali” e che ben prima del colpo di Stato a Bamako del 2021 aveva mostrato alcuni limiti significativi.

Il cambio di regime in Mali non ha aiutato i rapporti con Parigi e ciò ha decretato l’uscita di scena militare francese. Nonostante ciò, le autorità francesi continuano a considerare il Sahel una regione strategica per i propri interessi nazionali. A livello militare, i francesi mantengono circa 2.500 soldati nell’area, la maggior parte dei quali in Niger e Ciad, oltra ad alcune centinaia di effettivi in Burkina Faso.

Più che di debacle, bisogna considerare quanto accaduto nel corso del 2022 una sorta di ridefinizione della presenza francese ed europea in generale. Le dichiarazioni del capo della diplomazia europea, Borell, di sospendere le operazioni della missione europea EUTM (European Military Training Mission in Mali) e quelle tedesche di ritirare i propri contingenti sia dall’EUTM che dalla MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali). Unitamente alla presa di posizione britannica di fare lo stesso per quanto riguarda il contingente ONU, sono da ricondurre principalmente alla contingenza del conflitto in Ucraina ed alla posizione della giunta militare al potere in Mali nei confronti della Russia ed, in particolare, della presenza del Wagner Group nel paese.

E’ più difficile invece prefigurare una chiara visione europea ed occidentale sul Mali e sul Sahel in generale, troppo diverse essendo gli interessi dei vari Paesi europei e degli USA su quest’area. Se per Washington la lotta ai gruppi jihadisti rimane una priorità assoluta all’interno della politica estera rivolta all’Africa, i Paesi europei risentono di vari aspetti e gli interessi geoeconomici francesi continuano ad essere quelli più evidenti e chiari.

– Dopo l’addio degli Usa in Afghanistan si puó dire che sia in estrema difficoltá il modello di esportazione della democrazia occidentale?

Il modello di esportazione della democrazia ha mostrato molti limiti nel corso degli ultimi anni. In uno scenario geopolitico sempre più complesso e caratterizzato dal peso relativo crescente di molti Paesi a cui questo modello è rivolto, bisogna pensare che per Washington è sempre più difficile imporre i propri modelli politici ed economici.

Il “soft power” statunitense e quello occidentale in generale, benché ancora significativamente incisivi, devono fronteggiare dei “contro modelli” che, sebbene ai nostri occhi appaiano deficitari o addirittura regressivi, rappresentano delle alternative ritenute valide, soprattutto nel continente africano. Si pensi al modello cinese o a quello proposto dalla Russia di Putin. Detto ciò, anche gli approcci di questi ultimi attori sono oggetto di valutazione critica e spesso fanno sollevare proteste, dal basso così come a livello governativo, in molti Paesi africani.

Bisogna tuttavia considerare che larga parte dell’opinione pubblica africana non tollera gli approcci paternalistici o, peggio, neocolonialisti ancora oggi proposti da molte cancellerie occidentali.

– In Mali potrebbe avvenire un intervento contro la Giunta militare dei Paesi componenti la Cedeao?

Negli ultimi anni la comunità africana, guidata dalle istituzioni dell’Unione Africana (UA), ha dimostrato la volontà e la capacità di intervenire per gestire la pace e la sicurezza nel continente. Ciò è avvenuto sia in situazioni di conflitto interno, che su base regionale. Benché le istituzioni politico-militari africane siano ancora giovani e non del tutto in grado di svolgere in autonomia i compiti di “peacekeeping” loro affidati.

È evidente che siamo di fronte ad uno scenario significativamente diverso rispetto a quello che nel 2000 l’autorevole rivista “The Economist”, riferendosi al continente africano piagato d conflitti ed instabilità, etichettava come “The Hopeless Continent”. Organizzazioni regionali come l’ECOWAS/CEDEAO hanno le carte in regola per intervenire nella situazione maliana.

Tuttavia, come recentemente espresso dal Presidente di turno dell’UA, l’approccio africano sembra voler percorrere la strada diplomatica, cercando al tempo stesso di “recuperare” gli Europei rispetto alle loro manifestazioni di sganciamento. Anche le recenti evoluzioni diplomatiche tra Costa d’Avorio e Mali circa la questione dei soldati ivoriani detenuti dalle autorità maliane sembra in fase di soluzione pacifica.

– Quanto influiscono i cambiamenti climatici e la povertá nell’adesione a gruppi terroristici degli abitanti locali?

In Africa la povertà è andata crescendo, se non in termini percentuali, nel numero di persone che vivono in condizioni critiche, soprattutto da un punto di vista alimentare. Dal 2020 la situazione è andata peggiorando.

A ciò contribuiscono sempre più gli effetti del cambiamento climatico, che vanno ad intervenire soprattutto su situazioni di fragilità socioeconomica e di incapacità delle istituzioni di far fronte efficacemente alle sfide che si palesano con sempre più rilevanza. D’altronde anche in Occidente, tali dinamiche stanno mettendo a dura prova la capacità dei sistemi politico-istituzionali di gestire tali fenomeni.

– La pressione degli sfollati dal Burkina Faso rafforza o indebolisce la Giunta militare in Mali?

I flussi migratori intra-africani sono da sempre un fattore in grado di influenzare le dinamiche interne dei Paesi che ospitano comunità provenienti dalle aree limitrofe. Si pensi, ad esempio, ai Somali in Kenya ed Etiopia. Tuttavia, quello migratorio è uno dei tanti problemi che la giunta deve affrontare per mantenersi al potere, soprattutto se consideriamo le forti pressioni che riceve sia a livello regionale che internazionale.

– Ci sarà ancora un futuro per le Ong in Mali? E quanto influisce sulla salute dei cittadini l’espulsione di queste organizzazioni dal territorio?

Per molti Paesi africani la cooperazione internazionale, sia essa pubblica o privata, gli aiuti economici e le partnership per lo sviluppo continuano a costituire elementi imprescindibili per poter far fronte alle criticità di natura socioeconomica, della sicurezza alimentare e a livello climatico-ambientale. Un Paese come il Mali non può affrontare le sfide attuali e future senza poter usufruire dell’operato di tali soggetti.

– Corrono rischi i missionari presenti nel Mali? 

Non penso che i rischi attuali siano significativamente inferiori a quelli già affrontati negli ultimi anni. Certamente, una ridotta o assente presenza ufficiale dei Paesi occidentali non rafforza le garanzie di tutela da parte delle istituzioni locali.

– È corretto sospendere gli aiuti da parte della Francia al Mali?

Si tratta di un tema spinoso. Lo si vede da anni con le varie forme di embargo economico nei confronti di vari Paesi: se da un lato rappresentano uno strumento per cercare di indebolire o far giungere a più miti consigli le autorità governative, non vi è dubbio che l’impatto più rilevante e immediato è quello nei confronti delle popolazioni locali. Il tema è assai complesso e il dibattito è aperto.

Marco Fontana
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