Bini Smaghi: “Ci saranno più disuguaglianze dopo la crisi, non meno. Bisogna aiutare maggiormente il lavoro e chi crea impresa”

Bini Smaghi: “Ci saranno più disuguaglianze dopo la crisi, non meno. Bisogna aiutare maggiormente il lavoro e chi crea impresa”

15 Aprile 2020 0

C’è molta attesa per il vertice che si terrà la prossima settimana con lo scopo di dare il via libera definitivo alla nuova linea di credito del MES dedicata alla pandemia. Sarà quello il momento per chiarire i molti punti che sono rimasti controversi o da definire. E’ noto che l’Eurogruppo ha impostato una condizionalità leggera per l’accesso al MES, ma in modo generico senza chiarire quali saranno le spese “dirette e indirette” dell’emergenza sanitaria che si potranno finanziare, la durata del prestito, quali poteri di controllo sulla spesa potrà esercitare il Mes stesso. In Italia il dibattito al riguardo resta molto acceso. Come Strumentipolitici.it abbia deciso di interpellare su questi temi Lorenzo Bini Smaghi, Presidente di Societe Generale, dell’Associazione italiana degli Alumni of the University of Chicago e già membro del Comitato esecutivo della Banca Centrale Europea

Infografica – La biografia dell’intervistato Lorenzo Bini Smaghi

L’eventuale accordo con l’Eurogruppo porterebbe ad un ulteriore indebitamento per l’Italia. Può permetterselo?

Il maggior indebitamento ci sarà indipendentemente dall’accordo che interverrà nell’Eurogruppo. È necessario per far fronte alla crisi e per evitare una contrazione ancor maggiore del Prodotto lordo. Secondo le previsioni più recenti il rapporto debito/Pil italiano potrebbe avvicinare il 160% l’anno prossimo. Tuttavia, circa il 30% del debito è detenuto dal sistema di banche centrali, e dunque la sostenibilità appare al momento non essere un problema.


– Il dibattito politico si sta cristallizzando sulla questione Eurobond, lei che cosa ne pensa?

È stato finora un dibattito molto superficiale, usato internamente a scopi politici. In sostanza, emettere titoli europei richiede che vengano trasferiti a livello europeo risorse e fette di competenza, da esercitare in modo congiunto. Non significa ricevere regali da qualcuno. È paradossale che si esprimano a favore degli Eurobond forze politiche che vorrebbero invece ridurre le competenze europee. Il fatto che queste contraddizioni non emergano dal dibattito dimostra quanta approssimazione ci sia.


– Il tasso d’interesse di un Eurobond non sarebbe più alto di quello imposto dal Mes?

Sia il MES sia l’Unione europea hanno un rating tripla A, mentre l’Italia ha la tripla B; il tasso europeo è più basso di circa 200 punti base per una scadenza a 10 anni. Significa che per un titolo di 10 miliardi si risparmierebbero circa 200 milioni ogni anno. 


Al nostro giornale Cottarelli aveva dichiarato che l’Europa avrebbe dovuto prendersi in carico i costi degli ammortizzatori sociali, anche in ottica politica. Lei è d’accordo con questa tesi?

Bisogna capire cosa si intende per Europa. Se sono le istituzioni europee, con un bilancio proprio e risorse proprie, bisogna accettare che queste fissino le regole sugli ammortizzatori e possano reperire le risorse. Non mi sembra realistico che l’Europa dia le risorse e ogni paese poi procede come vuole. 


– Dopo il crollo del PIL che avverrà in questo trimestre, molti Paesi registrano previsioni di rialzo ingenti. L’Italia come può battere la storica bassa crescita del proprio prodotto interno lordo?

In effetti la storia dell’ultimo decennio mostra che dopo la recessione, nel 2008-09, la ripresa italiana è stata più debole che nel resto d’Europa e con una seconda recessione nel 2012-13. Il problema è il basso potenziale di crescita italiano, dovuto alla burocrazia, alle incertezze politiche, alla dimensione delle imprese, ecc… Ci vogliono delle riforme profonde, che l’Italia ha sistematicamente rimandato. Non mi sembra che ci siano proposte in tal senso nemmeno ora.


– Come coniugare la condizionalità, seppure ridotta, del Mes con l’instabilità politica dell’Italia?

Non vedo contraddizioni, soprattutto per accedere allo sportello speciale, per le spese sanitarie, che ha come unica condizione la destinazione specifica delle risorse utilizzate.


– Un aumento della quota di debito pubblico italiano in capo alla BCE dopo un primo momento di stabilità, può creare maggiori vincoli condizionali con l’Europa?

Prevedo che per un certo periodo di tempo la BCE continuerà ad acquistare titoli di stato per immettere liquidità nel sistema. Anche quando finirà la politica di acquisti, comunque i titoli in scadenza verranno rinnovati. Nel lungo periodo, tuttavia, sarà necessario che la finanza pubblica italiana venga riportata su un sentiero credibile, come per gli altri paesi europei.


– In un momento storico quale quello attuale al nostro Paese servirebbe una fase costituente?

In questa fase di emergenza bisogna dare la priorità alle misure per sostenere la crescita e uscire dalla crisi. Se non c’è la forza e la coesione per fare questo, figuriamoci per avviare una fase di riforma della costituzione. Anche se il modo in cui è stato affrontata l’emergenza sanitaria suggerisce qualche revisione nella distribuzione dei poteri tra lo stato centrale e le regioni.


– Quali riforme considera prioritarie per diventare un Paese credibile sia nei confronti degli altri partner europei sia soprattutto dei mercati?

La lista delle riforme è nota, ripetuta regolarmente dalle istituzioni internazionali come il Fondo monetario, l’OCSE, la Commissione europea. Si dovrebbe cominciare dalla scuola – è inaccettabile nel 21 secolo che molti giovani finiscano gli studi senza sapere correttamente l’inglese – fino alla giustizia e i suoi tempi e alla burocrazia. Non si tratta di innovare, ma di mettere in atto quello che hanno fatto altri paesi.


– C’è chi avanza l’idea di una patrimoniale chi invece di introdurre la Flat Tax: due idee agli antipodi. In Italia esiste una sproporzione nella tassazione? Il Fisco va riformato? Ma soprattutto con l’adesione agli strumenti europei, comunque si chiamino, tornerà di moda la parola austerity? 

La patrimoniale, come quella del 1992, è il segnale del fallimento di una classe dirigente. Una classe dirigente che tuttavia è stata scelta dagli italiani. La Flat tax è una tassa disuguale, che colpisce tutti allo stesso modo, indipendentemente dal livello del reddito. Ci saranno più disuguaglianze dopo la crisi, non meno. Bisogna aiutare maggiormente il lavoro e chi crea impresa. 


– L’Europa resisterà alla prova del coronavirus?

Questa crisi dimostra che c’è bisogno di più Europa, e che da soli non si va da nessuna parte, anzi ci si scontra con gli altri con danni per tutti. Il mondo di domani non sarà meno globale e vedrà ancor più di prima la necessità di investimenti strategici, che possono essere promossi solo al livello del continente.

Marco Fontana
marco.fontana

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